Leggendo l’opera di Lewis Carroll, autore di Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie e del sequel Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, ci si lascia prendere così tanto dalla lettura che la mente viene stimolata da una infinità di suggerimenti, collegamenti, interpretazioni. Nascono così due riflessioni, che saranno proposte in due post differenti, in cui non ci si vuole soffermare a quella che è l’analisi dei vari personaggi, di Alice, della Regina di cuori o del mondo fantastico in cui la protagonista si ritrova ad agire, ma quello che si vuole tentare di fare è una analisi di due elementi che Carroll inserisce in entrambe gli scritti: le illustrazioni e le poesie.
Iniziamo con la poesia. Entrambe i volumi, che possono rientrare nelle categorie del libro illustrato i cui destinatari non sono necessariamente i bambini, anzi forse essi sono gli ultimi, anche se Carroll probabilmente non ne era consapevole all’atto della scrittura avendolo destinato alla piccola Alice, non sono opere del tutto fantasiose poiché prendono origine da un contesto reale. Essi prendono il via con un testo poetico con funzione di prologo che spiega l’antefatto e da dove si genera il viaggio di Alice. Quindi la poesia, che è sempre figlia di uno stimolo reale, ha un ruolo essenziale e di primo piano. Apparentemente essa può essere intesa come tentativo di ritmare la narrazione attraverso una forma stilistica più veloce, oppure può essere un tentativo di incuriosire e divertire il lettore in una serie di giochi linguistici e di non-senso, ma essa – a nostro avviso – assume un ruolo quasi di cornice, di legame fondamentale tra le parti per esplicitarne meglio il significato. E come se quel prologo funzionasse ancora all’interno del testo per chiarire determinati aspetti. Per comprendere bene tutto ciò può essere d’aiuto un esempio pratico tratto dal secondo volume in cui il non-senso la fa da padrone ed è ben esplicitato dalla poesia recitata da Tuidoldìi. In una strofa recita:
Il Tricheco accoppiato al Carpentiere
passava per di là;
Piangeva nel veder di quella sabbia
L’enorme quantità.
“Se sol si potesse spazzarla via,
Somma felicità!”
La poesia di Carroll è certamente figlia della sua epoca e il ricorrente e non casuale utilizzo di figure retoriche come le allitterazioni, le onomatopee o il gioco di scambio sonoro e di significato di alcune parole suggeriscono una certa consapevolezza del mezzo poetico a cui l’autore vuole dare un connotato simbolico, al limite con il surreale, ma che è perfettamente coincidente con il contesto ambientale e narrativo dell’intera opera. Dopo quella di apertura, in Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie, compare la prima poesia pronunciata dal Topo. E proprio in virtù di chi la declama, la poesia assume la veste grafica della coda del topo. Questo ricorda molto la scomposizione e la ricomposizione poetica, se così si può definire, di autori come Apollinaire. Ma il nostro autore sembra molto vicino anche alla corrente poetica dannunziana, per quella forma panica che consente una piena osmosi tra la parola e l’ambiente.
La correlazione più significativa è forse con il Futurismo. È come se in Carroll già fosse presente, in maniera sapiente, quanto il Futurismo teorizzerà in Italia. Ed è proprio nella relazione tra Alice e Humpty Dumpty che tale corrispondenza è molto coincidente. La parola si deforma e diviene portatrice di altro, la frase si scompone, il significato si capovolge anche se apparentemente esso ha la sua logicità. Sarà poi Alice a dire di avere le idee, ma di averle non chiare.
Humpty Dumpty ad Alice:
«Cuociglia» indica le quattro del pomeriggio… cioè quando cominci a preparare la griglia per cuocere la cena. […] – E cosa sono i «tlucà»? – Be’, i «tlucà» sono qualcosa come i tassi… e qualcosa come le lucertole… e qualcosa anche come i cavatappi. […] – E allora «rabividasa»? – chiese Alice. […] – Ebbene, un «rabo» è una specie di maiale verde; ma «vidasa» mi lascia incerto. Penso che sia una abbreviazione di «via da casa»… nel senso che essi avevano perso la loro strada, capisci.
Rifacendoci a quanto Marinetti indica nel Manifesto tecnico della letteratura futurista (11 maggio 1912) o a indicazioni tecniche nel testo Parole in libertà (11 maggio 1913) – quindi abolizione di punteggiatura, aggettivazione, utilizzo del sostantivo e del suo doppio – vediamo come Carroll possa essere considerato un futurista ante litteram, poiché applica quelle regole che solo a distanza di anni dalla pubblicazione della sua opera saranno ufficialmente teorizzate da uno dei movimenti culturali più importanti del ‘900 italiano.