Antonio Petito, il più grande Pulcinella dell’’800

Quando parliamo di Pulcinella subito ci viene in mente la figura del servo scaltro, devoto e ignorante, del poveraccio che si arrangia per vivere, dell’uomo semianimalesco, gobbo e trasandato. Se invece lo pensiamo in scena immancabile si ricorre a Scarpetta, Eduardo De Filippo o Raffaele Viviani, ma insieme a questi grandi interpreti ve ne è uno forse ancora più importante, il quale ha dato al Pulcinella teatrale una impronta ben definita, parlo di Antonio Petito.

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Antonio Petito

Antonio Petito nacque a Napoli nel 1822 da Salvatore e Giuseppina D’Errico, entrambe impegnati nell’attività teatrale. La madre era ballerina e impresaria di un baraccone teatrale mentre il padre era un attore. E fu proprio il padre che investì Antonio del ruolo di Pulcinella, passandogli – come era uso in teatro – la maschera sul palcoscenico.

 

Al culmine della carriera lo stesso Petito scrisse, di suo pugno, un’autobiografia custodita nella Biblioteca Lucchesi Palli, la sezione della Biblioteca Nazionale di Napoli dedicata al teatro.  Leggere questo testo è molto interessante per diversi motivi. Il primo perché è possibile assaporare il teatro popolare attraverso il racconto di chi lo ha vissuto e messo in atto con il conseguente movimento culturale, il secondo è puramente linguistico. Antonio Petito era un semianalfabeta, a stento sapeva leggere e scrivere e il suo tentativo non è altro che la testimonianza linguistica di un semicolto che apprende la scrittura in maniera autonoma, trascrivendo ciò che il suono della parola gli suggerisce. Il valore letterario dell’opera non lo si può ben definire, forse essa non ne ha, ma sicuramente essa è la testimonianza, forse non del tutto obiettiva, delle capacità artistiche di un uomo, di un attore la cui identità diviene leggendaria e diviene quasi un tutt’uno con il personaggio, che lo accompagna fino alla morte avvenuta proprio in teatro, il mitico San Carlino di Napoli, in seguito ad un arresto cardiaco la sera del 24 marzo 1876.

Di seguito vi propongo l’incipit dell’autobiografia scritta da Petito:

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Brano tratto da ‘Andonio Petito’ Autobiografia di Pulcinella (Enzo Grano, ed. ABE -Napoli 1978)
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Incipit dell’autobiografia di Petito – autografo

Sulla sua difficoltà di scrittura Eduardo Scarpetta, in Dal San Carlino ai Fiorentini, testo del 1900, scrive:

Petito era capace di buttare giù una commedia in pochi giorni, ma per scriverla aveva bisogno di parecchie dozzine di penne d’oca e di un litro d’inchiostro, metà per la commedia, metà per imbrattarsi gli abiti, le mani e la camicia […]. E le lettere si allungavano […] come tracciate dalla mano incerta di un bambino, ora tenendosi ritte a stento, ora barcollando […]. Le righe si mutavano da orizzontali in trasversali, e così si andava avanti per intere pagine.

Molte sono le storie che si narrano sulla vita di Antonio Petito, storie nate dalla sua straordinaria interpretazione di Pulcinella, capacità che evidentemente era innata e che egli raffinò fin da piccolo direttamente sul campo, ma che la sua scarsa cultura non gli impedì di affrontare. Come diceva Scarpetta, Petito era in grado di comporre in pochi giorni un’opera teatrale. La difficoltà nella trascrizione pare venisse superata attraverso la dettatura o attraverso la memorizzazione delle parti principali della vicenda, lasciando all’improvvisazione il resto della sceneggiatura. Nonostante ciò, non possiamo definire il teatro di Petito un teatro analfabeta, anche perché non è possibile ammettere che la cultura trasmessa oralmente sia circoscrivibile nell’ambito della non-cultura, se così fosse cadrebbero le basi culturali di ogni paese. Ed è proprio l’oralità ad essere un elemento fondamentale per Petito, poiché attraverso di essa è possibile ascoltare, ripetere, imitare, cogliere la realtà.

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Antonio Petito in una foto di scena

Petito non era uno sprovveduto, pare che frequentasse non solo i teatri popolari, ma si tenesse aggiornato anche sulle opere culturalmente “elevate”. La frequentazione di determinati ambienti gli consentiva, insieme ad una notevole arguzia intellettiva, di poter trarre le vicende per poi parodiarle. Tuttavia nelle sue opere non troviamo solo la banale parodia, ma esse si caratterizzano per l’equilibrio tra folklore ed espressività popolare, tra teatro di piazza e Commedia dell’Arte, tra opera buffa e romanzo d’avventura… e così via.

Tra le opere che ebbero maggiore successo si ricordano la Francesca da Rimini, Palummella zompa e vola; Don Fausto, So’ morto e m’hanno fatto turna’ a nascere, Flick e Flock.

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