Si leggono in un attimo i dodici racconti che compongono Buio di Dacia Maraini, edito da Rizzoli.
Mi trovavo a Napoli, a Port’Alba, frugando tra le diverse bancarelle di libri che ancora si trovano per strada. Tanti i titoli interessanti, ma ad attirarmi fu la copertina del libro della Maraini. Avevo letto di questa autrice Chiara d’Assisi e francamente, dopo un inizio accattivante, il romanzo prende una piega narrativa che non mi ha entusiasmato affatto. Era dunque il caso di leggere qualcos’altro e quella era una buona occasione per ritornare sulla scrittura di Dacia Maraini. Il libro era sigillato, in quarta di copertina nessuna informazione che potesse convincermi o meno sull’acquisto, solo l’immagine o il titolo e forse il prezzo molto conveniente mi convincono. Per alcuni giorni il libro è rimasto sulla scrivania, poi una sera, prima di addormentarmi decisi di leggerne le prime pagine. Il giorno dopo già lo avevo terminato.

La Maraini ci racconta in maniera essenziale, con una scrittura lineare, priva di orpelli inutili, le storie di bambini, donne e famiglie che vivono nel “buio”. Il buio è la metafora di un luogo, di un tempo in cui accade ciò che non dovrebbe accadere, in cui vivono inermi e inascoltate le vittime di abusi domestici o per mano di uomini deviati. L’intento della Maraini non è quello di emozionare, ma il suo narrare senza intervenire con giudizi o accuse ci permette di osservare i fatti nel loro svolgersi. Sono i fatti stessi a condannarsi, sono gli omicidi, le violenze sulle donne, lo sfruttamento di bambini a creare indignazione e a spingere il lettore a cercare i motivi che stanno alla base di determinate azioni. Così si alternano in chi legge la ribellione e il disgusto o ancora la rabbia e l’incredulità.
Eppure non ci si trova di fronte a scene descritte in maniera tragica, ma sono semplicemente narrate come un fatto che ci è estraneo, come uno dei tanti racconti di cronaca a cui siamo abituati, ma che ci fa riflettere per indagarne le cause e cercarne le colpe. Un po’ come Adele Sòfia, la commissaria che indaga sui casi e che mantiene sempre la giusta distanza dai fatti, attenta e scrupolosa nell’accertare la verità di fatti che lasciano l’amaro in bocca. Sarà questo, forse, il motivo per il quale Adele Sòfia mangia spesso pesciolini di ‘liquorizia’.