La donna mancina è considerato il capolavoro di Peter Handke, scrittore nato in Austria nel 1942, il quale vanta una importante produzione sia letteraria che teatrale.
La donna mancina, pubblicato nel 1976, ricevette subito l’apprezzamento di pubblico e di critica per il suo stile asciutto e privo di inutili orpelli linguistici. Nel 1978 diviene un film diretto dallo stesso Handke e presentato in concorso al Festival di Cannes in quell’anno.

Il romanzo segnò una svolta nella narrazione dell’autore che abbandonò lo stile sperimentale per uno stile minimo, essenziale che però non trascura di mettere in evidenza tratti essenziali della psiche dei personaggi.
Marianne è una giovane donna che, nonostante una vita familiare serena, decide improvvisamente di mandare via di casa il marito, costringendolo a convivere con la maestra di Stefano, loro figlio. Non c’è nessun motivo grave o apparente che spieghi tale decisione, ma Bruno la accetta, assecondando la strana richiesta della moglie, che intanto ritorna a fare la traduttrice. Marianne resta a casa con il figlio e inizierà così una nuova vita che è destinata alla solitudine, ma che allo stesso tempo si configura come la riconquista di una vera libertà interiore.
La donna mancina è un romanzo breve, in cui la vicende viene presentata quasi come se fosse una pellicola cinematografica, in cui l’autore lascia al lettore, osservatore esterno, trarre le conclusioni. Non è un romanzo descrittivo, i luoghi, i sentimenti e le sensazioni sono quasi del tutto annullate, ma ciò non evita al lettore di entrare in empatia con la protagonista. L’autore non ci dice mai come si sente Marianne o cosa stia pensando; tutto è lasciato alle parole e alle azione dei protagonisti, che possono risultare anche stranianti per il lettore. Ad un primo approccio questo romanzo può lasciare perplessi, tuttavia Marianne resta nel pensiero del lettore per molto tempo e questo credo sia la grandezza della scrittura di Peter Handke.
