Era un giorno come tanti e la vita aveva preso il suo nuovo corso regolarmente. Da quando era partita da Palermo molte cose erano cambiate. Non aveva più contatti con la sua vita passata. Nessuna telefonata, nessuna visita, nessuna traccia della sua nuova esistenza. Questo era il prezzo da pagare per aver denunciato e testimoniato in un processo di mafia. Quando Anna decise di denunciare tutte le cose orribili che suo marito commetteva, non era pienamente consapevole di ciò che le sarebbe accaduto, ma se voleva che i suoi figli vivessero una vita onesta, non poteva fare diversamente. La mattina in cui si recò al commissariato di polizia era un ricordo ancora vivo, come vivo era il ricordo della paura di essere scoperta e delle conseguenza delle sue azioni.
Quando entrò nel commissariato il suo arrivo non passò inosservato. D’altronde era la moglie del boss, di uno dei principali esponenti del clan Ussaro, che da diversi anni iniziava a controllare il territorio imponendo il proprio traffico di droga e eliminando senza scrupoli ogni ostacolo. Fu un discorso del marito fatto al primogenito, un bambino di appena 3 anni, il primo giorno di asilo a far prendere la decisione ad Anna di denunciare lui e tutto il clan.
“Figliolo, oggi per te è un giorno importante. Ricorda sempre che tu sei il figlio di Giovanni Ussaro e se qualcuno dovesse darti fastidio, penserà tuo padre a mettere le cose al loro posto. Un giorno tu erediterai il mio ruolo e le mie ricchezze, non dovrai temere nessuno, ma saranno gli altri a dover temere te. Vai, fatti rispettare e non dimenticare chi sei e da dove vieni.”
Anna capì che il destino dei figli era già deciso, ad aspettarli c’era una esistenza fatta di sangue, di morte, di orrore e non poteva accettarlo. Aveva sposato quell’uomo costretta dal padre. Aveva 17 anni quando suo padre, un piccolo commerciante di quartiere, le diede la notizia che di lì a un anno sarebbe diventata la “Signora Ussaro”. Nulla valsero le sue proteste, era la sola ad opporsi a quel matrimonio, se sua mamma fosse stata ancora viva, forse non si sarebbe ritrovata sola e avrebbe avuto la possibilità di ribellarsi. Anna era stata scelta per la sua bellezza e forse anche per la sua intelligenza, era la migliore della scuola e gli insegnanti le ripetevano che avrebbe fatto sicuramente carriera se avesse continuato gli studi. E quello era il suo sogno, andare all’università e diventare insegnante di lettere, ma quel matrimonio aveva distrutto ogni speranza di un futuro diverso. Il rapporto con il padre si era ormai logorato, lui le ripeteva che quello era per il suo bene, che non avrebbe sofferto la povertà e i sacrifici, non c’era altra possibilità per lei perché era stata scelta proprio dal boss, il quale non avrebbe accettato un rifiuto. Dal matrimonio nacquero due bambini, Rocco e Beatrice, che al momento della denuncia di Anna, avevano rispettivamente 3 e 1 anno.
Quando entrò nel commissariato, timidamente si guardava intorno, cercando un volto che le desse sostegno, ma notò lo stupore del poliziotto che la accolse all’ingresso. Effettivamente la moglie del boss era andata alla polizia e aveva chiesto di parlare con il commissario. Da quel momento aveva avuto inizio un altro incubo. I suoi figli erano stati prelevati al nido e all’asilo e con loro Anna aveva iniziato a vivere in una città sicura e sotto scorta. Aveva iniziato a parlare di suo marito, dei suoi traffici, degli omicidi commessi, fornendo prove concrete che portarono all’apertura di un processo e allo smantellamento dell’intero clan. Il marito, Giovanni Ussaro, fu condannato a tre ergastoli e tutta la sua famiglia, i fratelli e i cugini, incarcerati con altre pesanti condanne.
Fu molto difficile per Anna iniziare a vivere in una nuova città, fidarsi delle persone, passeggiare con i figli senza avere il sospetto di essere seguita, non raccontare a nessuno la sua storia e parlare della sua vera identità. L’idea di aver fatto la cosa giusta per il suoi figli la confortava e le dava la forza per andare avanti, ma il terrore si riaffacciò nella sua vita improvvisamente. Nella cassetta della posta trovò una cartolina a lei indirizzata, proveniva da L’Aquila, la città in cui il marito stava scontando la sua pena. C’era scritto:
“Non si possono cancellare le proprie radici, i figli ritornano sempre nei luoghi dove sono nati per ritrovare le proprie radici e continuare il lavoro dei padri”.
Anna si sentì gelare il sangue nelle vene. La prima reazione fu quella di guardarsi intorno, poi scappò in casa per chiamare la polizia. Il giorno successivo erano in un’altra città, stavolta all’estero. Bisognava ricominciare tutto daccapo, forse sarebbe stato così per tutta la vita.
Il racconto del lunedì: Contro la mafia
