Ogni mattina quando si svegliava era come se dovesse partire per affrontare la più grande delle battaglie. Diceva tra sé che la sua vita era una canzonatura fin dalla nascita e aveva avuto il sigillo della beffa quando i suoi genitori le assegnarono il nome: Speranza.
Grandi aspettative erano caricate su di lei: era la speranza di mamma e papà, la speranza delle maestre di vedere i frutti del loro lavoro, era la speranza del datore di lavoro, era la speranza di un mondo migliore…
Ma Speranza l’aveva persa la speranza!
Aveva raggiunto un livello di frustrazione che non la faceva più dormire. Ogni sera si infilava esausta nel suo letto, ma appena poggiava la testa sul cuscino si sentiva come il cellulare messo in carica: i suoi occhi si sbarravano e il sonno andava via… Anche il sonno scappava da lei, prima la fiaccava poi se ne andava chissà dove.
Così trascorreva le notti a ripensare ai momenti salienti della sua vita. Ognuno ha dei ricordi indelebili, momenti di festa, giornate trascorse con la famiglia e gli amici, o forse no? Sì, anche Speranza ce li aveva: ricordava bene il giorno della sua prima comunione. Tutte le bambine erano vestite da sposine, con il bouquet di roselline bianche… come erano belle! Le ricordava ad una ad una soprattutto quando si rivolgevano a lei chiamandola “Suor Speranza”, perché sua mamma aveva deciso che sarebbe stato opportuno metterle il vestito da suora, il velo e il crocifisso sul petto. Alla fin dei conti non importava, pensava Speranza, oggi incontrerò Gesù e a lui non interessa cosa indosso, ma le risatine non se le era dimenticate negli anni, come non aveva dimenticato la bella festa al ristorante. Ogni tavolo sembrava un mondo a sé, tutti i parenti litigati tra di loro e il fatto che fossero costretti a stare seduti tutti in una sola stanza aveva alimentato un astio proprio verso Speranza, che era il motivo di quella convivenza forzata. Ma Speranza era troppo piccola per poter capire certe dinamiche e di certo non riusciva a comprendere perché la nonna le dicesse che il pranzo offerto era paragonabile al cibo per maiali… Ma non importava nemmeno questo a Speranza, anche se non aveva dimenticato quel tono di voce aspro con cui la nonna si rivolgeva a lei. Non aveva dimenticato le cattiverie delle cugine che le rubavano ogni cosa e quando rompevano un oggetto a casa della nonna davano sempre la colpa a lei. Non aveva dimenticato che alle sue feste di compleanno nessuno era mai andato e finiva per giocare da sola e spegnere le candeline con quel magone in gola che faceva un gran male.
Ormai era grande, aveva superato tutte quelle sciocchezze, tutte quelle piccole cattiverie e angherie che era costretta a sopportare gratuitamente. Era certa che sarebbe arrivato il giorno in cui tutto le sarebbe stato restituito, tutta la sua disponibilità, tutta la sua voglia di aiutare, ma ogni giorno sembrava allontanare sempre di più questa idea. Il colpo di grazia le arrivò quando conobbe Ivan, un ragazzo di bell’aspetto, gentile, affettuoso che non mancava di confessarle quanto le volesse bene, quanto lei fosse importante per lui. Ma un giorno Speranza perse anche la speranza in Ivan, ciò avvenne quando capì che lui voleva bene a Speranza, ma fino ad un certo punto, che Speranza era importante per lui, ma fino ad un certo punto. Insomma, Speranza era importante per Ivan per tutto quello che lei era in grado di dargli, ma lui non ricambiava nemmeno con un caffè fatto in ufficio… Per lei non c’era mai, aveva sempre qualcosa da fare o qualcuno da raggiungere in qualche posto. Ben presto Speranza capì che bisognava dare una svolta alla sua vita e la prima cosa che decise di fare era cambiare il suo nome. In una di quelle notti insonni decise di farsi chiamare Bellezza, perché lei, nonostante gli altri, voleva continuare a vivere e a farlo nella bellezza contro la bruttezza del mondo.