Prima di condividere questa recensione potevo aspettare qualche giorno, ma il libro di cui vi sto per parlare l’ho trovato talmente bello e ben scritto che ho deciso di dirvene subito.
Si tratta di Boccadaride di Marco Milli, edito da Sensibili alle foglie.
È un libro breve, ma intenso e carico di temi importanti, tutti trattati con tanta sensibilità.
Era da tempo che mi non mi capitava di leggere un romanzo così impegnativo e cercherò, nelle prossime righe, di parlarvene senza rovinare il piacere di una vostra futura lettura.
La storia, ambientata nel dopoguerra, è narrata in prima persona dal protagonista, che, con il suo racconto, ci fa entrare quasi in punta di piedi nelle più intime pieghe della sua stessa personalità.
Dopo un breve prologo il libro si apre con il paragrafo intitolato ‘La fine del mondo’.
Ma di quale mondo stiamo parlando?
Sicuramente del luogo di origine del nostro protagonista.
Questobp luogo è la campagna e il Palazzo, che definisce così:
Il Palazzo. Qualcuno lo aveva chiamato così in maniera ironica, quando il nonno aveva deciso di costruirsi una casa tutta sua, allontanandosi, sebbene di poco, dalla sua famiglia.
Questo luogo è molto più di un edificio, è una sorta di alcova in cui il narratore ripone sentimenti, identità, affetti e valori, che una volta lasciato non ritroverà più.
Il Palazzo e i suoi dintorni sono stati la mia scuola di vita. Lì ho capito che le paure più grandi sono quelle che teniamo dentro di noi.
Questo luogo però non garantisce una totale protezione.
Infatti, quando era ancora bambino arriva inaspettato il primo trauma, che inizierà a segnare delle profonde ferite nel suo animo.
Per motivi di salute dovrà trasferirsi a Roma da quella che lui crede essere la zia Elsa, invece è sua madre e quelli che credeva essere i suoi veri genitori si riveleranno i nonni.
Mi ero sentito truffato, perché avevo ‘perso’ due genitori, in vero un po’ in là con l’età, e ne avevo acquistato uno solo perché Elsa era la mia vera madre, mio padre dov’era e, soprattutto, chi era?
Al trauma della scoperta sulla vera madre, si aggiunge come una zavorra insostenibile, la partenza per Roma con il distacco da quel luogo di confort che si era creato e la consapevolezza di non avere un padre.
Quest’ultimo aspetto sarà un elemento costante, che si ripresenta in tutte le fasi della vita del protagonista e che non sarà mai superato e per il quale l’unica persona colpevole sembra essere solo Elsa.
A distanza di molti anni posso dire che il mio rapporto con Elsa, con mia mamma, è stato di amore e di odio, sicuramente più amore. Dentro di me non ero riuscito ad assolverlo totalmente da una accusa che era prodotta solo ed esclusivamente dalla sofferenza, quella di avermi fatto provare una vita di inferno. Pure, l’ho amata tanto, le ho invidiato la forza e il coraggio.
Altro tema importante e trattato con molta delicatezza è l’omosessualità del protagonista e il suo successivo ammalarsi di AIDS.
Anche questo momento viene vissuto tragicamente, perché non accetterà mai la malattia, per la quale incolperà la persona che gli ha trasmesso il virus, covando rancore fino alla fine.
Il momento di rottura è rappresentato dalla morte di Elsa.
In questo attimo si rompe un equilibrio che lo porta letteraralmente a sragionare e al conseguente epilogo.
Il protagonista di questo romanzo si mostra forte, ma allo stesso tempo estremamente fragile.
La sua fisionomia è come un filo d’erba che si piega al vento impetuoso, ma non vi dico altro, vi ho detto già troppo.
Vi invito a leggere questo libro e a fare un tuffo in una narrativa quasi di altri tempi.