La tappa di febbraio del GDL del Le avvelenatrici ha previsto la lettura del racconto di Herman Melville, Bartleby lo scrivano, che io ho letto nella edizione Universale Economica Feltrinelli.
Il testo fu pubblicato inizialmente in maniera anonima in due puntate apparse sul Putnam’s Magazine nei mesi di novembre e dicembre del 1853. Nel 1856, con qualche variazione, fu inserito nella raccolta The Piazza Tales. A quanto pare ad ispirare l’opera a Melville fu un saggio di Emerson dal titolo Il trascendentalista.
In questo scritto, Melville racconta la storia di uno scrivano, Bartleby, un po’ strano e taciturno, il quale inizia a lavorare da un avvocato di Wall Street. La storia ci viene raccontata proprio da questo avvocato, che si definisce in apertura un uomo piuttosto anziano, come a dire che nella sua vita ne ha viste tante, ma nessuna supera la storia di Bartleby.
La natura della mia professione, negli ultimi trent’anni, mi ha portato ad avere contatti fuor del comune con ciò che direbbesi un interessante ed alquanto singolare genere di individui, dei quali fino ad ora, ch’io sappia, nulla è stato scritto. Mi riferisco ai copisti legali, ovvero scrivani. In gran numero ne ho conosciuti, sia per pratica di lavoro che a titolo personale, e, quando volessi, potrei narrare svariate storie, che forse farebbero sorridere le persone benevole, e forse farebbero piangere le anime sentimentali. Ma rinunzio alla biografia d’ogni altro scrivano per pochi momenti della vita di Bartleby, che fu scrivano, il più stravagante di quanti abbia mai veduto, o di cui abbia avuto notizia.
Effettivamente Bartleby è un tipo strano. Un giorno si presenta nell’ufficio di questo avvocato e viene assunto dopo aver letto una inserzione di lavoro:
In risposta ad un’inserzione, un immobile giovanotto compare un bel mattino sulla soglia del mio ufficio, essendo la porta aperta perché s’era d’estate. Rivedo ancora quella figura, scialba nella sua dignità, pietosa nella sua rispettabilità, incurabilmente perduta! Era Bartleby.
Bartleby sembra essere sbucato dal nulla. Il suo passato è avvolto nel mistero e la sua figura non gli attribuisce doti particolare agli occhi dell’avvocato. Infatti, appare scialbo e immobile.
All’inizio Bartleby svolse una straordinaria quantità di lavoro scritturale. Quasi fosse da lungo tempo affamato d’alcunché da copiare, egli pareva pascersi con ingordigia dei miei documenti. Non si concedeva pausa per la digestione. Si dava da fare notte e dì, copiando sia con la luce del sole che a lume di candela. Mi sarei senz’altro compiaciuto di tanta solerzia, fosse egli stato allegramente operoso. Invece continuava a scrivere in silenzio, con moto scialbo e meccanico.
Nonostante queste stranezze, Bartleby all’inizio sembra essere un buon scrivano. Ma i problemi iniziano a sorgere quando alle richieste dell’avvocato di svolgere alcune mansioni Bartleby, inaspettatamente, risponde negativamente, sempre con la stessa espressione: avrei preferenza di no, a cui non aggiunge ulteriori chiarimenti. Questo atteggiamento potrebbe far innervosire chiunque, potrebbe far scattare un licenziamento in tronco, ma il nostro avvocato invece reagisce differentemente.
Con chiunque altro sarei andato su tutte le furie; bandita ogni altra chiacchiera, l’avrei senza scrupoli cacciato via. Ma v’era qualcosa in Bartleby che, non soltanto stranamente mi disarmava, ma puranco, in modo assai sorprendente, mi toccava e sconcertava.
L’atteggiamento dell’avvocato, quindi, non è quello di rabbia nei confronti di Bartleby, anche se in alcuni momenti ci sono dei moti di ribellione. Ma l’avvocato si incuriosisce alla figura del suo scrivano e prende a studiarlo fino a quando non scopre, casualmente, che Bartleby vive nel suo ufficio. Esasperato da questa situazione, l’avvocato cerca una soluzione, ma l’atteggiamento di Bartleby è risoluto. Ad un certo punto si rifiuterà persino di scrivere e di essere licenziato. L’avvocato, all’ennesimo rifiuto di Bartleby, impietosito forse dalla sua situazione di solitudine e di povertà, decide di lasciarlo lì e di trasferire l’ufficio altrove.
Bartleby non lascerà mai quell’ufficio e continuerà ad occuparlo anche quando arriveranno i nuovi affittuari. La situazione con i nuovi affittuari prende una brutta piega perché il nuovo inquilino decide di far arrestare Bartleby. Nel frattempo il nostro avvocato aveva cercato di dissuaderlo dal suo atteggiamento, ma la risposta che dà è sempre la stessa “avrei preferenza di no”. L’esito della vicenda è, come si può immaginare, negativo, perché Bartleby muore in carcere, anche se l’avvocato aveva continuato a prendersi cura di lui.
La storia singolare di quest’uomo ci lascia un misto di sensazioni tra la rabbia e lo sconcerto ed è servita a Melville per dare una lettura della realtà contemporanea. Ambientato nella strada di Wall Street quando sta per trasformarsi nel grande centro dell’economia americana, questo racconto e il suo personaggio rappresentano lo straniamento dell’individuo in una società che diventa sempre più capitalistica. L’uomo perde la sua forza individuale, è isolato e destinato ad una povertà materiale e spirituale in un contesto dove non tutti sono in grado di comprendere l’altro. L’avvocato ha ancora una coscienza, ma gli altri scrivani sono presi dalle “regole personali” di giustizia e produttività incuranti dell’altro e incapaci di comprenderne le azioni.
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