Il libro di cui vi parlo oggi è di grande attualità, perché parla di terrorismo, ma anche di speranza e rinascita. Sto parlando del libro di Nuccio Franco, Il mio nome è Jamal. Dalla Jihad alla redenzione, edito da Edizioni 2000diciassette.
Il libro è introdotto da Yassine Lafram, presidente U.co.i.i., il quale individua le tematiche principali della storia del protagonista Jamal, raccontata con “un linguaggio accurato, corretto, idoneo, con cui lo scrittore persegue la finalità prima: «raccontare la Storia ed i personaggi che la animano attraverso lo specchio dell’anima».”
La vicenda narrata da Nuccio Franco è ambientata in Libano a partire dal 1975 e racconta la vicenda umana di un giovane, Jamal, prima convinto sostenitore della Jihad poi uomo libero e redento. Il Libano, con la sua capitale Beirut, “erano definitivamente stati trascinati in una sanguinosa guerra civile”, dove Imam deviati inculcavano interpretazioni contorte del Corano, piegandolo agli scopi terroristici. Il paese è nelle mani dei terroristi, che compiono quotidianamente attentati, sbandierando un credo che apparentemente difende valori identitari e culturali. Jamal è convinto che quella sia l’unica strada da intraprendere e si lascia trascinare in una spirale di morte. Oltre alla frequentazione di personaggi dell’ambiente terroristico, Jamal è perseguitato dalla sua coscienza, che gli si manifesta quasi come una figura reale e che lo spinge ancora più in basso, come una matrigna assetata di sangue.
Nemmeno l’allontanamento dal Libano, voluto dal padre per tutta la famiglia, riuscirà a distoglierlo dai suoi atti terroristici. Riuscirà a tornare in Libano, nella sua vecchia casa, per completare la sua guerra, ma un evento inaspettato gli farà aprire gli occhi su quanto fosse sbagliata la strada percorsa fino a quel momento. Inizia, così, un lento e lungo percorso di redenzione, che oltre al dolore morale gli farà vivere l’inganno e la tortura.
Quello che più mi ha colpito di questo libro sono due cose: la prima è la descrizione del Libano. Nuccio Franco è stato molto bravo a scrivere di un paese martoriato e lo fa senza retorica, mostrandoci la distruzione materiale e morale come se invece di parole stessimo guardando fotografie. Inoltre, ho trovato molto interessante, all’interno del percorso di redenzione di Jamal, la corretta interpretazione del Corano e come questo sia stato beceramente piegato a deliranti interpretazioni.
Costoro, avevano applicato quanto scritto senza sforzarsi minimamente di approfondire la Parola nel suo significato autentico ma di averla piegata solo ai loro scopi radicali e politici. Era come aver pescato alcune carte da un mazzo senza conoscere il valore delle altre. Jamal si sentì tradito ed un senso di pentimento e di vergogna permearono la sua anima come mai era successo prima.
Questo libro, con il suo Jamal, è la testimonianza che c’è sempre una via di uscita, anche quando tutto sembra irrimediabilmente perduto.
Tuttavia, quanto accaduto aveva pian piano creato un profondo solco nell’animo di Jamal, nelle sue convinzioni. Una ferita profonda che lo aveva spinto a riflettere dopo anni trascorsi a combattere. Stava prendendo coscienza di un nuovo modo di stare al mondo, che le cose non erano o bianche o nere ma che esisteva un’esile terra di mezzo dove poter ricominciare a sorridere alla vita.
E Jamal ci è riuscito, come speriamo possano riuscirci in tanti altri.
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