Intervista | Francesca Innocenzi si racconta e racconta la sua poesia

Francesca Innocenzi si racconta e racconta il suo libro Canto del vuoto cavo, una silloge poetica con sessanta componimenti poetici

Canto del vuoto cavo è la silloge poetica di Francesca Innocenti. In questa intervista, la poetessa ci racconta il significato della sua poesia tra vuoti, catarsi e rinascite.

Prima di parlare dell’opera, mi piace conoscere meglio l’autrice. Chi è Francesca Innocenzi e cosa fa nella vita?

Grazie mille per l’invito! Sono nata e vivo nelle Marche, dove insegno letteratura e storia nelle scuole secondarie di secondo grado. Mi sono avvicinata alla scrittura già da bambina e all’età di venticinque anni ho iniziato a pubblicare. Canto del vuoto cavo è la mia ultima silloge, uscita alcuni mesi fa, in un periodo in cui ho preso a dedicarmi con particolare intensità alla lettura di poeti contemporanei. Credo che in questa epoca in cui si è perso il senso dell’essere collettività, la poesia possa fare molto, incentivando riflessioni scambievoli e condivise, portatrici di significati profondi. È in quest’ottica che sto cercando di far conoscere la raccolta.

‘Canto del vuoto cavo’ è il titolo della sua silloge poetica. Cosa ci suggerisce il titolo?

Il titolo suggerisce un’immagine del vuoto in quanto scaturigine della poesia. Il vuoto può essere più cose insieme. È lacuna e mancanza, quindi percezione dolorosa, che però può rivelarsi spazio fertile di nuove possibilità; una sorta di catarsi, di rinascita. Per me il vuoto è la solitudine, temuta e amata, che ha segnato la mia adolescenza, come pure la vertigine agorafobica degli attacchi di panico. Nel libro c’è anche questo.

Il vuoto, dunque, è al centro della sua poetica, ma in una società così ricca di stimoli, quanto sono effettivamente vuote le nostre esistenze?

Gli stimoli che ci circondano sono spesso inconsistenti: basta un blackout per cancellare tutto. Ma questi blackout, che sono, appunto, buchi neri, vuoti, ci mostrano quanto siamo dipendenti da cose futili, non essenziali. Recupero del vuoto è saper stare con l’essenza. Il tempo della pandemia Covid con i conseguenti lockdown ha costituito una grande opportunità di scoperta, eppure in tanti hanno continuato ad aggrapparsi ad un’idea di libertà superficiale.

Le sue poesie hanno una struttura metrica precisa, ce la può spiegare?

Qui la metrica è quella dell’haiku doppio, quindi due strofe da 5-7-5, o quella delle sue varianti, come il tanka, che è un haiku ampliato da due ulteriori settenari.

Da cosa nasce questa scelta stilistica?

Per un certo periodo, la metrica dello haiku (doppio, soprattutto) ha costituito per me una sorta di rassicurante contenitore. Mi sembrava avesse un ritmo intrinseco che trovavo appagante. Oggi trovo fuorviante definire haiku questi componimenti, poiché dello haiku c’è, appunto, poco: lo schema metrico, come anche la tendenza ad evitare l’uso della prima persona. Ma, in tutto il resto, vi è assolta libertà. E la natura resta sullo sfondo, ha un ruolo assolutamente marginale.

C’è un filo conduttore che unisce i vari componimenti o sono opere singole su uno stesso tema?

I lettori attenti noteranno che l’ultimo testo della silloge, il congedo, si collega in maniera esplicita all’incipit. È da qui che si può capire che il libro comprende il percorso dei miei primi quarant’anni. Non a caso, ho iniziato a scrivere di getto le prime poesie della raccolta solo un paio di giorni dopo il mio compleanno. Non vi è completezza né sistematicità, e neppure linearità temporale. Emergono a sprazzi frammenti di vita delle varie epoche, dall’infanzia al lockdown del 2020, l’«interrotto inverno» in cui ognuno ha perduto qualcuno o qualcosa.  E cerco anche di far posto ad una vasta umanità che mi sta a cuore: i reietti, gli immigrati, i rom, tutti gli imprigionati nel vuoto della solitudine e dell’emarginazione.

Progetti per il futuro?

Nell’immediato vorrei continuare a dedicarmi soprattutto alle mie letture-colloquio con altri autori, perché sto scoprendo una comunità poetica ricca e bellissima, che neppure immaginavo esistesse. Poi vorrei riprendere lo studio dei poeti greci del tardoantico, su cui ho svolto un dottorato anni fa, per portarli a dialogare idealmente con autori del Novecento e oltre. Ma questo è un progetto ancora da strutturare.

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