Così lo ricordano in molti, sdraiato su un’amaca del colore della sabbia, tra due palme da giardino, la cui chioma regalava l’ombra nel caldo pomeriggio di un agosto torrido. Uno sguardo sornione, pantalone scuro e camicia bianca, il pensiero abbandonato al vento, che dolce accompagna e accarezza i pensieri più profondi.

Quando morì, una folla ininterrotta si accostava a rendere omaggio al feretro del medico che per decenni era stato una sorta di santone, uno di quei guaritori che con il solo sguardo riesce a curare da un’oscura maledizione. Parole di circostanza, ma sentite, passavano di bocca in bocca e trovavano il consenso, l’approvazione soddisfatta di ognuno, nella convinzione di aver perduto una parte importante del paese. Tutti listati a lutto, gli uomini con il bottone nero appuntato all’occhiello della giacca, le donne, in abito scuro e veletta, portavano al viso un candido fazzoletto ricamato con fiori di lavanda e stringevano un rosario per affidare alla Vergine l’anima del pover’uomo, troppo presto strappato alla vita. Terminati i funerali, la grande casa colonica, con tante stanze una dentro l’altra, chiuse per sempre i suoi ampi finestroni alle stagioni del tempo. Ognuno ritornava nelle proprie abitazioni, con ancora nell’animo la sensazione del triste distacco e nella mente le parole di commiato delle autorità locali che dal pulpito della chiesa di San Lorenzo si alternavano per ricordare, con parole cariche di trasporto, la rettitudine, l’equilibrio e la dedizione di un uomo che aveva speso la propria vita per aiutare gli altri. I volti delle persone sedute tra le fila dei banchi erano tirati, affranti e accaldati per il caldo di una primavera inoltrata. Qualcuno si scambiava sguardi di approvazione per le frasi del sindaco che rievocavano la retorica del secolo passato, altri, invece, sussurravano al vicino brevi frasi sulla vita e sulla morte. In fondo alla chiesa gli uomini che rimanevano in piedi, lasciavano alle proprie donne la possibilità di occupare i banchi e qualcuna si girava di tanto in tanto per assicurarsi che il proprio compagno stesse seguendo la funzione religiosa e non distraendosi in chiacchiere inutili o addirittura uscendo dalla chiesa, producendo sul sagrato quel chiacchiericcio che tanto infastidiva il vecchio don Ignazio. Una strana atmosfera si era creata quella sera dopo i funerali, il cielo si era coperto di nuvole sottili, un venticello fresco si era alzato, regalando un po’ di respiro dopo l’inconsueta calura del giorno. Il paese era avvolto da una tenue luce che ispirava pensieri malinconici, il silenzio nelle strade era interrotto solo dai rumori provenienti dalle case. Un bambino, seduto sul gradino di una casa, aspetta i compagni per l’ultimo gioco, gli uomini si incamminano, come ogni sera, verso la piazza del paese, mentre alcune donne si raccolgono nell’aia di donna Maria. Le più anziane erano sedute sulle vecchie sedie impagliate, le più giovani, invece, sulla scala che portava ai piani superiori. Parlavano della giornata trascorsa, del lavoro che avrebbero dovuto fare l’indomani, delle rose del giardino, ma quella sera i discorsi assumevano un altro valore, erano più che mai carichi di circostanza. Nessuna aveva il coraggio di affrontare per prima quel discorso, come se fosse proibito parlare di chi non c’era più. Ma quando giunse la domestica che si occupava quotidianamente del medico fu facile iniziare il discorso. Si sedette tra le donne più anziane, in una posizione che quasi le permetteva di catturare l’attenzione di tutte, e iniziò a raccontare quelle due tristi ultime giornate trascorse a servire il medico del paese. Alle prime ore del mattino si era recata nella grande casa per sbrigare le faccende domestiche, la preparazione della colazione e l’avvio del pranzo, che il medico gradiva fare sempre allo stesso orario, alle dodici in punto così da garantirgli il riposino pomeridiano e poi le visite che ormai aveva diradato perché in pensione, ma che continuava a fare quando, di tanto in tanto qualcuno del paese ne aveva bisogno. Dopo la colazione, non avendolo ancora incontrato, la cameriera si recò nella sua stanza che trovò vuota e con il letto disfatto. Pensando fosse sveglio e magari in qualcuna delle tante stanze di cui la casa era composta, iniziò a chiamarlo, ma non ne ebbe risposta. Uno sguardo al giardino, nessuna traccia del medico. Allora pensò che fosse uscito per qualche urgente visita. Effettivamente c’era l’anziana madre del falegname in fin di vita, sicuramente era andato da lei. La domestica raggiunse poi la biblioteca, sarebbe stata la prima stanza da riassettare per la partita di poker che il medico aveva in programma per quella sera. Come di consueto pochi erano gli amici, tre in totale, che amavano, tra gli scaffali colmi fino al soffitto di libri che avevano l’odore del tempo e dei sigari, quel luogo come una tana sicura. Lo aveva trovato lì, seduto sulla sua poltrona dietro la grande scrivania. Disse di aver creduto che stesse dormendo. Spesso il sonno lo coglieva durante una lettura serale, ma quando si accostò per svegliarlo si accorse che ormai la sua esistenza si era conclusa quella notte. Stranamente non provò spavento, nessun grido, nessun tentativo di riportarlo alla vita, come se fosse normale che il medico morisse in quella maniera, come se fosse solo una questione di tempo. Continuava il racconto la cameriera, il tono della voce era pacato, degno del miglior narratore. Il medico era morto, non aveva moglie, non aveva figli ne fratelli e non sapendo a chi rivolgersi, la cameriera si diresse al telefono nell’ampio corridoio per chiamare il maresciallo dei carabinieri, uno dei tre amici del poker. Aprì la porta di casa e attese il suo arrivo seduta sulla panca all’ingresso. Fu il maresciallo a chiamare il medico legale. La morte era sopraggiunta per un infarto, il cuore si era praticamente spezzato in due; il povero medico non avrebbe avuto nessuna possibilità di sopravvivere, nemmeno se con lui ci fosse stato qualcuno a soccorrerlo. Il maresciallo, amico sincero del defunto si occupò dell’organizzazione del funerale, aveva avvertito tutto il paese come se fosse morto un suo familiare, era lui ad accogliere le persone alla camera ardente e a ricevere le condoglianze. Fu lui a far cadere la prima manciata di terra sulla bara calata nella fossa e a lasciare per ultimo il piccolo cimitero del paese. A questo punto si interruppe il racconto della cameriera, il resto si era svolto alla vista di tutti. Ma le donne, che nel frattempo continuavano nelle loro faccende, il ricamo o un rammendo, misero da parte la piccola attività e rivolsero alla cameriera lo sguardo di chi vuole sapere altro. Allora la donna senza farsi pregare, iniziò a raccontare la storia del medico del paese. Figlio unico visse fin da piccolo nell’apprensione dei genitori, che vedevano in ogni angolo un pericolo per la sua salute, che pur essendo solida, ai loro occhi era minacciata anche da un raggio di sole al tramonto. Visse nella casa paterna fino ai tempi del liceo, che nonostante le apprensioni dei genitori, frequentò in una città a pochi chilometri di distanza. Terminati gli studi liceali, si iscrisse alla facoltà di medicina perché quella era la carriera che il padre aveva scelto per lui. Nonostante la passione per l’astronomia, il giovane portò a temine la carriera universitaria con il massimo dei voti, divenendo in poco tempo uno dei migliori medici della zona. La posizione che aveva raggiunto non tardò a trasformarlo in un buon partito. Molte furono le proposte di matrimonio, alcune delle quali anche di ottimo livello, che avrebbero migliorato anche la sua posizione sociale. In fin dei conti proveniva da una famiglia borghese; il padre era proprietario terriero e molte delle terre che possedeva erano state vendute proprio per pagare gli studi del figlio, ma ciò non bastò all’anziana madre per individuare una buona moglie per il figlio. Medico affermato e giovane di sane intenzione, ma di certo non era uno di quei ragazzi la cui bellezza rimaneva impressa. Nonostante ciò, la donna non riuscì a trovare in nessuna delle pretendenti le giuste qualità che, secondo il suo parere di madre attenta ed amorevole, potevano soddisfare il carattere del figlio. Nessuna donna era all’altezza del figlio. Le risultavano interessate solamente alla posizione sociale che il figlio aveva raggiunto, o erano troppo sciocche o poco signorili. Per non parlare di quelle che erano troppo audaci e che sicuramente lo avrebbero condotto in qualche torbida situazione, screditandone il buon nome. Insomma, se il medico non si era sposato era colpa della madre e del carattere debole del figlio, che non riuscì ad imporsi quando incontrò la figlia del professore di lettere, verso la quale provava un amore sincero. Una giovane dai modi gentili, viso delicato, ma che per la madre di lui aveva il grande difetto di non essere abbastanza ricca. Era stata inserita, con un giudizio sommario, nella categoria di quelle donne che mirano solo agli averi senza provare vero affetto per il futuro marito. In breve tempo si sarebbe rivelata un’arpia e non una compagna amorevole. Così il giovane medico rimase senza moglie e quando morirono i genitori, fu completamente solo. Si dedicò alla medicina e alla cura dei malati. I primi tempi sembrò essere sereno, ma con il passare del tempo iniziò a condurre una vita sempre più isolata. Aveva abbandonato le sue letture, gli amici si erano diradati, solo in tre erano rimasti per la partita settimanale di poker, forse più per abitudine che per amicizia. Più passava il tempo e più il suo modo di comportarsi e di pensare regrediva. È come se si fosse lasciato andare diceva qualcuno, in realtà stava solamente mostrando il suo vero modo di essere, da uomo misantropo che non sa far altro che osservare la vita dall’angolo di una stanza, con le spalle al coperto, senza riuscire a fare un passo in avanti e buttarsi nella mischia. La paura di commettere un errore, il terrore di prendere la decisione sbagliata lo aveva fatto morire solo nel suo studio che odorava di libri vecchi e di tabacco.