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RECENSIONE | Anja, segretaria e moglie di Dostoevskij, nel romanzo di Giuseppe Manfridi

Anja. La segretaria di Dostoevskij è un romanzo di Giuseppe Manfridi, edito da La Lepre Edizioni, in cui è narrata una parte della vita dello scrittore russo. L’autore ha concentrato la sua attenzione ad un anno in particolare, il 1866, e ad un arco temporale di un mese circa. Dostoevskij non ha ancora compiuto cinquant’anni, ma è affaticato nel corpo e nello spirito. È ammalato da tempo e afflitto dai debiti causati dal fallimento di una attività editoriale intrapresa con il fratello defunto, Mikhail.

A fatica, ma lo riconoscerebbe, anche se la mole dell’uomo si è fatta negli anni notevolmente massiccia e afflitta da una lieve gibbosità. L’aspetto è senile, malgrado i cinquant’anni non ancora compiuti. La capigliatura, già a suo tempo in crisi, è ancor più malridotta.

Per far fronte al debito di 3000 rubli, una somma enorme per l’epoca, Dostoevskij è costretto dal suo editore a firmare un contratto capestro, che lo obbliga a consegnare in brevissimo tempo un romanzo, pena la perdita dei diritti su tutte le opere passate e future, con la conseguente e inevitabile perdita di status di scrittore. Il suo editore, all’epoca il maggiore, è Stellovskij, che nel romanzo ci è presentato così:

Vista da vicino e non di sotto, di dietro una finestra, la testa calva dell’editore, col suo emisfero circolare che pare fatto col compasso senza la minima impurità, è decisamente bella. La cute, ben lustra, ha la qualità di un’epidermide giovane. Nel complesso, il fascino di una simile calvizie dà valore a tutta la testa, che il vetro offuscato faceva invece immaginare sgradevole, ma quasi per principio, solo per il fatto di essere calva e basta. Altrettanto bello è il viso: stretto e lungo, magro ma sano. Sottili e magre le labbra, sottili e lunghe le sopracciglia, larghi e verdi gli occhi. La fronte è rilassata. Nessuna ruga. Sulle guance sfinate, le fedine erompono a semiluna in due folti e soffici grovigli di riccioli castani e il labbro superiore adombra un accenno di baffetti in crescita. L’uomo, dal portamento sinuoso e dai gesti armonici, veste di scuro, con un bel panciotto di velluto trapunto da una fitta serie di piccole pietre preziose a bottoncino, ciascuna provvista di una sua scintilla.

Questa descrizione rende bene la distanza e la differenza tra l’editore e lo scrittore anche in termini di condizioni sociali ed economiche. L’editore è un imprenditore e si dimostra un uomo senza scrupoli. Sa che Dostoevskij è in difficoltà e cerca di sfruttare a suo vantaggio la situazione. Dal canto suo, lo scrittore non si tira indietro, sa di avere la possibilità di scrivere un libro in brevissimo tempo, l’unica difficoltà consiste nella stesura materiale del testo. Dostoevskij è malato, soffre da tempo di epilessia ed è fiaccato nel profondo.

Anna Grigor’evna Snitkina – Fonte Wikipedia

Gli vengono in soccorso gli amici, che gli suggeriscono di rivolgersi alla scuola di stenografia, una nuova e promettente attività, che si va man mano affermando. Lo scrittore si rivolge all’Istituto Ol’chin e il direttore individua in Anna Grigor’evna Snitkina, la migliore tra le allieve. Per Anja, questo uno dei suoi diminutivi, è una emozione grandissima. Conosce le opere di Dostoevskij, le ha lette e se ne è appassionata grazie anche al padre, morto da poco, che le ha trasmesso la passione per la letteratura e gli scrittori contemporanei. Anja è presa da un turbinio di emozioni; è giovanissima e la sua giovinezza include timori, angosce, ma dal canto suo possiede determinazione e carattere, che le permetterà di guadagnarsi la fiducia dello scrittore. Non è facile delineare bene i contorni di questi personaggi. Essi sono complessi, pieni di sfaccettature, che emergono dall’incontro gli uni con gli altri.

La prima parte del romanzo è, infatti, popolata da diversi protagonisti che fanno parte sia del mondo di Dostoevskij che di Anja. Ognuno rappresenta un tassello importante nella vicenda, ma quello che più di tutto ha colpito la mia attenzione sono gli ambienti. Manfridi è molto bravo a restituirci le atmosfere e a descriverci i luoghi, dando al lettore la possibilità di vivere realmente quel momento. Questo, ad essere sincera, ritengo si estenda anche ad altre cose: gli oggetti, gli indumenti e in maniera più ampia al pensiero e ai sentimenti dei protagonisti, garantendo la possibilità al lettore anche di stabilire un collegamento empatico ora con Anja ora con Dostoevskij. C’è nel romanzo un’altra protagonista che è presente, ma non parla: Pietroburgo, la città che sta sorgendo.

Una città in cui il domani è a disposizione dappertutto, a portata di mano di chiunque. Non c’è luogo che non la identifichi. La sua natura è esplicita, e pure dove non appare la si annusa, la si coglie a colpo d’occhio. La si patisce, a volte, come negli spurghi delle grondaie che annaffiano a gettiti implacabili i marciapiedi inzuppando gonne, ghette, scarpine di seta e stivali d’ordinanza.

(…)

Pietroburgo ha inventato il traffico moderno, un traffico che nulla ha a che fare coi sovraffollamenti infetti di Londra e di Parigi è il traffico di chi va costantemente da qualche parte, di chi ha fretta, di chi si muove di continuo, senza troppe distinzioni di censo.

(…)

«C’erano mille cose da fare nella mia città nuova di zecca». Nuova di zecca: anche noi l’abbiamo definita così, Pietroburgo. Limpida. Pulita. Intonsa. Un motore alla sua prima accensione, quando ancora la fuliggine, le polveri tossiche e i vapori incandescenti non lo hanno insozzato come è normale che avvenga.

Il romanzo ovviamente parla anche dell’unione di Dostoevskij e di Anja, che diventerà sua moglie e sarà lei a curare poi la stesura delle opere dello scrittore anche dopo la sua morte. In questo caso potremmo dire “galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse”…o lo dettò.