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J.-A. Barbey D’Aurevilly tra dandismo e horror

Poco conosciuto in Italia, Barbey D’Aurevilly è un autore francese del XIX secolo, che ho incontrato durante gli studi universitari.

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J.-A- Barbey D’Aurevilly

Jules-Amédée Barbey nasce nel 1808 a Contentin (Normandia) e solo successivamente aggiunse al suo nome il titolo D’Aurevilly, che la famiglia possedeva dal 1756, quando il nonno dell’autore se lo procurò. Studiò legge all’Università di Caen e negli anni della gioventù si fece fervente rappresentante di opinioni anticlericali e repubblicane. Fu autore di numerosi racconti e opere di narrativa, tra questi Un prete sposato e La Stregata, ma fu anche autore di un volumetto sul dandismo e su George Brummell. Il dandismo fu per Barbey D’Aurevilly una vera e propria ossessione. Cercò di vivere alla maniera del dandy, avendo come modello Brummell che tuttavia non incontrò mai personalmente, ma che conobbe attraverso le descrizioni dell’amico Guillaume-Stanislas Trébutien. Si trasferì definitivamente a Parigi nel 1833 (dove vi morì nel 1889), vivendo agli inizi lontano dal mondo letterario e giornalistico, ma subendo il fascino degli ambienti aristocratici e di personaggi d’oltremanica come Lord Byron e Scott. Visse nell’agio, sperperando parte degli averi per conformarsi a quell’idea di dandy che si era costruito. Ritornò alle sue origini cattoliche, monarchiche e aristocratiche, divenendo sostenitore di Napoleone III. In realtà egli risultò sempre contraddittorio sia come cattolico che come dandy. Come dicevamo in precedenza, D’Aurevilly fu scrittore di numerosi racconti, i quali rispecchiano pienamente il suo tempo. L’opera più conosciuta forse è Le diaboliche, una raccolta di sei racconti in cui l’autore mostra tutta la sua arte nel porgere e mostrare una storia.

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Chi oggi intraprende la lettura dell’opera di D’Aurevilly potrebbe stancarsene subito. Infatti, la caratteristica principale del nostro autore è un gusto nel raccontare e descrivere gli antefatti che rallentano la narrazione della vicenda. Questa tipologia di scrittura è certamente figlia di un’epoca che amava ascoltare, soffermarsi sui particolari e trascorrere il tempo nei caffè a leggere e scrivere. C’era un certo piacere narcisistico nel narrare e nell’ascoltare, piacere che lo stesso D’Aurevilly descrive nei racconti, quando le vicende sono narrate da un personaggio/narratore ad ascoltatori in un salotto o ad un singolo interlocutore, come avviene nei racconti A un pranzo di atei o La tenda cremisi.  Le lunghe introduzioni servono al nostro autore anche ad aumentare la curiosità del lettore, il quale al termine del racconto si sarà fatto un’idea del protagonista, ma avrà sempre una sensazione di incompletezza dovuta a quella capacità di D’Aurevilly di attribuire il mistero alla vicenda o intorno al personaggio. Le protagoniste di Le diaboliche – titolo non casuale – sono donne avvenenti, spregiudicate, calcolatrici, diaboliche appunto. Quell’aura di mistero che l’autore costruisce intorno a personaggi spregiudicati, capaci di commettere ogni tipo di azione o di provare sentimenti forti come l’odio e la vendetta fino agli estremi termini, aiuta l’autore a mettere insieme un percorso di narrazione che conduce il lettore alla sorpresa e alla meraviglia.

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Quando parliamo di sorpresa o meraviglia ovviamente facciamo riferimento non ad una azione spettacolare ma ad una caratteristica specifica. Mi spiego meglio: oggi potrebbe risultare alquanto macabro custodire il cuore essiccato di un figlio morto prematuramente, o fare a pezzi il corpo di un contendente in amore e darlo in pasto ai cani può apparire alquanto orribile… invece tutto questo è presente nei racconti di D’Aurevilly e viene narrato con una naturalezza tale da apparire quasi la normalità. Questo è l’origine della meraviglia, di cui si è persa l’essenza vera, ma che possiamo riscoprire grazie ad autori come D’Aurevilly. Egli ci narra storie semplici ma che sottendono a qualcosa di mostruoso. Forse in esse è possibile vedere quel gusto per l’horror o la letteratura gotica tanto in voga nella seconda metà del Settecento fino all’Ottocento inoltrato e che di sicuro non sfuggirono a D’Aurevilly.