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Il coraggio della felicità, il libro di Loredana Scaiano

Il coraggio della felicità è il diario di viaggio di una donna che ha avuto la forza di compiere un viaggio intorno al mondo alla scoperta di sé e dell’altro.

Credete alla possibilità di cambiare vita alle soglie dei cinquant’anni? Di compiere quel passo che vi porta alla felicità che avete sempre sognato e mai raggiunto? Se la risposta a queste domande è no, allora dovete leggere il libro di Loredana Scaiano, Il coraggio della felicità.

Il libro è il resoconto di un viaggio, ma non aspettatevi il solito viaggio di piacere per conoscere il mondo. Il libro di Loredana è molto di più, è un percorso di vita, di riscatto sulle orme di una grande donna, Ida Pfeiffer, che nel 1848 decise di compiere un’impresa mai vista prima: il giro del mondo in solitaria.

Come vi dicevo, nel viaggio di Loredana c’è dell’altro. La sua vita, alla vigilia di questo viaggio, aveva accumulato solo negatività e un matrimonio ormai finito, a cui si aggiunge il forte desiderio di cambiare la vita. L’essersi imbattuta nella storia di Ida Pfeiffer ha dato a Loredana la spinta e il coraggio per compiere il suo viaggio alla scoperta del mondo e di sé stessa.

Parte così un’avventura straordinaria, durata 134 giorni, nel corso dei quali Loredana ha visitato 20 paesi, visitando posti meravigliosi, vivendo emozioni importanti, ma soprattutto ha imparato ad affrontare gli imprevisti della vita. Il viaggio diventa così metafora di vita, perché ci insegna che non tutto può essere programmato e previsto. Anzi, nella vita ci sono più gli imprevisti a destabilizzarci, che la normalità. Ma è in quei momenti di sconforto è necessario reagire e trovare nuove motivazioni.

In tal senso, il viaggio di Loredana è la testimonianza concreta che bisogna avere coraggio se si vuole essere felici. La felicità inizia dal Brasile, l’ultima tappa della Pfeiffer, per continuare poi per il Cile, Cina, Sri Lanka, India, Oman, Iran, Polinesia, Isola di Pasqua e tantissimi altri luoghi che approdano in Grecia, ad Atene.  Culture, cibo, colori, profumi sono solo alcune delle suggestioni che questo racconto-diario ci presenta, ma è soprattutto una sfida al superamento dei preconcetti a cui siamo indissolubilmente ancorati. È questa la vera sfida che Loredana ha superato e forse anche quella che ognuno di noi dovrebbe prima o poi affrontare.

In viaggio con Leopardi da Recanati a Napoli

Quando vado in libreria per “dare solo un’occhiata” capita sempre che qualche libro mi cade tra le mani. Questo acquisto casuale procede verso due direzioni: verso un romanzo insolito, che nessuno conosce e di cui anche l’autore stesso si è dimenticato, oppure su un saggio.

È quello che è esattamente accaduto con il libro di cui vi sto per parlare: In viaggio con Leopardi di Attilio Brilli, ed. Il Mulino.

Ed eccomi di nuovo a parlarvi di Giacomo Leopardi. La volta precedente mi soffermai su un volumetto che raccoglieva la corrispondenza che il poeta marchigiano inviava ai parenti nel periodo in cui ha compiuto i sui viaggi per l’Italia (leggi qui l’articolo).

Il saggio di oggi ci mostra, tappa dopo tappa, quelle che sono le città che Leopardi ha visitato, partendo dalla sua Recanati, fino ad approdare a Napoli, dove la morte lo colse.
Leopardi non fu un grande viaggiatore, usci da Recanati ormai adulto, ma il suo desiderio di vedere il mondo fu un vero e proprio atto di ribellione, per conoscere dal vero ciò che aveva solo visto attraverso i libri e tanto idealizzato.

Visitò le maggiori città italiane, tra cui Roma, Bologna, Milano, Pisa, Firenze, ma non possiamo parlare di Leopardi come di un turista, nonostante abbia ripercorso i tragitti e toccato le tappe obbligate del tanto famoso Gran Tour.

Qual è l’indizio che ci suggerisce che in Leopardi non c’è voglia di Gran Tour? Il fatto che Leopardi non tiene un diario di viaggio, nella sua corrispondenza epistolare non sono descritti i luoghi che visita, né le opere d’arte che ammira. Accenna solo a quelli che sono i suoi spostamenti o da giudizi lapidari, e quasi tutti negativi, delle città e dei costumi di chi le abita.

Giacomo Leopardi. Fonte Wikipedia

Leopardi investe il viaggio di una valenza metaforica; il viaggio è qualcosa che lo libera dalla “gabbia” recanatese, ma esso non rappresenta mai un approdo definitivo e rassicurante:

Nel novero dei suoi viaggi Leopardi non conosce approdo effettivo, poiché i luoghi nei quali soggiorna esistono non in sé e per sé, con le loro fisionomie e le loro caratteristiche, ma come lacerazione e distacco del luogo natìo e quindi come manifestazione della sua mancanza.

Le città che visita si rivelano una delusione. Troppo grandi, generano spaesamento e solitudine. Chi le abita è privo, seppur con le dovute eccezioni, di quella profondità necessaria ad appagare il suo spirito. In breve tutto gli viene a noia.

Ovunque vada, con una significativa eccezione, il poeta avverte che fra lui e la città in cui risiede si frappone una distanza incolmabile che determina un reciproco senso di estraneità, che inibisce il pur effimero contatto.

Lo stesso conflitto si genera in Leopardi nei confronti della sua Recanati: ogni ora mi par mill’anni di fuggir via da questa porca città.

Casa Leopardi a Recanati

Leopardi crede di poter trovare altrove quella libertà che tanto aveva sognato, ma ben presto si rende conto che lo spaesamento della nuova città è generato da un’idea di città stessa che è venuta a modellarsi sul proprio luogo di origine. Ovunque andrà, cercherà quel modello recanatese che, seppur con connotati negativi, non riesce a ritrovare, creando così un ulteriore distacco tra sé e il mondo circostante.

Abbiamo detto precedentemente che Leopardi non ci racconta nulla, non ci descrive il viaggio in sé per sé, eppure Brilli ci racconta le tappe del viaggio leopardiano in Italia.

Per far questo, per mostrarci cosa il poeta ha potuto vedere e sentire, ricorre alle narrazioni di altri viaggiatori che poco prima o subito dopo, e qualche volta contemporaneamente, hanno toccato gli stessi luoghi visitati da Leopardi.

Pagine di diari ci aiutano a comprendere le difficoltà di un viaggio in carrozza o nel trovare un alloggio spesso non all’altezza del rango sociale; i disagi dovuti al caldo o al freddo nel corso delle stagioni; i continui pedaggi che si dovevano versare; i controlli, ma anche i timori di attacchi di briganti e malviventi.

In questo breve e intenso saggio ciò che più ci colpisce è sempre lui, Leopardi, che con il suo sottile intelletto in poco tempo sa, e con poche e semplici pennellate, cogliere l’essenza vera di un luogo e di coloro che lo abitano.

La statua di Leopardi a Recanati

L’Africa della rinascita nel diario di Michelangelo Bartolo

Il libro di cui vi parlo oggi è il frutto di una collaborazione con la casa editrice Infinito e di una lettura condivisa con il blog Libri sul comodino di Caterina Maestri. Non è il solito libro, perché non è un romanzo, non è un saggio, non è un manuale, non è una raccolta di racconti, ma si tratta di un diario di viaggio, di un viaggio speciale.

L’Afrique c’est chic è il diario di viaggio di Michelangelo Bartolo, un medico da anni impegnato in missioni umanitarie.

Michelangelo Bartolo in uno dei suoi viaggi in Africa

Nato a Roma nel 1964, è medico, angiologo. Dirige il reparto di Telemedicina del Complesso Ospedaliero San Giovanni Addolorata di Roma. È tra gli ideatori del programma DREAM della Comunità di Sant’Egidio, per la prevenzione ed il trattamento dell’Aids e della malnutrizione in Africa. Dal 2001 ha compiuto decine di missioni in Paesi africani per aprire centri clinici di cura e servizi di Telemedicina. Socio accreditato e Componente gli Organi Collegiali della Società Italiana Telemedicina e sanità elettronica (SIT). Fondatore e Segretario Generale della Global Health Telemedicine Onlus.

Le esperienze che Bartolo fa nei suoi viaggi in Africa diventano pagine da leggere e libri da sfogliare, descrizioni appassionate di un lavoro che è vera vocazione e aiuto agli altri.
Bartolo è stato ideatore e promotore di tantissime iniziative e campagne umanitarie che ci vengono raccontate in forma diaristica, attraverso uno stile semplice, ma coinvolgente. Si legge tra le righe come il nostro autore e i suoi compagni di avventura siano affetti dal mal d’Africa e posso dire che quasi il lettore ne è contagiato.

Sapere direttamente da chi ci mette la faccia, il tempo, le forze, come stanno le cose in un paese martoriato da guerre, carestie, sfruttamento, povertà, ci dà sicuramente una percezione diversa della situazione.
L’insegnamento più grande di questo libro è senza dubbio il fatto che è possibile fare del bene, che ognuno può dare il proprio contributo secondo le proprie capacità e possibilità. Chi non crede che le cose possano migliorare, in realtà non ha voglia e interesse nel cambiarle.

Questo libro si legge in brevissimo tempo, anche perché è appassionante sapere gli aneddoti legati ai diversi viaggi, che l’autore ha compiuto, e rientra in un progetto molto interessante della casa editrice.
Si tratta di “Leggo, penso, sono”, un vero esercizio mentale, finalizzato a suscitare in ognuno idee e opinioni.

Abituiamo la mente a pensare, leggendo e apprendendo. Il pensiero in questo modo acquista forza e con fluidità accende idee e immagini sconosciute. Percorrendo questa strada la lettura da “evasiva” diventa “inclusiva”, mettendoci in contatto con la realtà.

Non vi resta dunque che allenarvi, magari a partire proprio da L’Afrique c’est chic di Bartolo, che è anticipato da due interessanti prefazioni di Roberto Gervaso e Andrea Camilleri.

In quest’opera c’è tutto Michelangelo e c’è tutta l’Africa. La leggi come leggeresti un romanzo d’evasione e scopri un cosmo che non conosci, ma che lui ti fa conoscere. Conoscere e amare. Professore, continua così. (Roberto Gervaso)

Questo è in un certo senso è un libro irraccontabile perché è una catena di piccoli e grandi racconti, che sono come gioielli incastonati l’uno nell’altro e che compongono un’opera appassionante. (Andrea Camilleri)