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“Vivo nel terrore di non essere frainteso”. Gli aforismi di Oscar Wilde

Oscar Wilde non ha mai scritto un libro di aforismi, ma a farlo per lui fu la moglie Constance Lloyd. Alcuni li ritroviamo nella raccolta edita Feltrinelli.

Oscar Wilde – Fonte Web

Chi non ha mai letto un aforisma o non se ne è servito per descrivere un pensiero e uno stato d’animo? Sul web se ne trovano tantissimi e forse i più diffusi e anche i più sagaci sono quelli di Oscar Wilde. In realtà, l’autore de Il ritratto di Dorian Grey non ha mai scritto di suo pugno un libro di aforismi, ma il  primo testo pubblicato con questi brevi pensieri comparve nel 1895 con il titolo di Oscariana e fu curato dalla moglie di Wilde, Constance Lloyd.

Wilde e la sua famiglia
Fonte web.

Il libro che ho appena letto, Oscar Wilde. Aforismi è stato pubblicato dall’editore Feltrinelli nella sezione dei Classici della collana Universale Economica ed è stato tradotto e curato da Silvia Mondardini.

I suoi aforismi hanno una particolarità: tendono tutti ad acquisire la fisionomia del paradosso che, più che essere una forma corrente dell’espressione di Wilde, ne è quasi una categoria del pensiero. Gli aforismi wildeani sembrano infatti delle battute da uomo da palcoscenico, che non hanno solo l’intento di stupire o far riflettere, ma posseggono una grande forza agonistica”

In questo volume, Silvia Mondardini ha concentrato la sua attenzione sul Wilde “grande conversatore, salottiero, compagno di riflessioni e di risate, uomo dotato di un fascino da vero incantatore che, al di là dei pruriginosi fatti di cronaca, aveva fatto innamorare di sé buona parte della società vittoriana”.

Leggendo questa raccolta, che segue una strutturazione basata su temi ben precisi, si nota la profondità intellettuale di questo scrittore, suscitando nel lettore ora lo stupore, ora il riso, ma anche l’indignazione o l’entusiasmo. Io leggendo il volume ne ho selezionati alcuni (tanti in realtà) e ora ve ne propongo qualcuno.

  1. Gli uomini diventano vecchi, ma non diventano mai buoni.
  2. Spesso penso che Dio, nel creare l’uomo, abbia in qualche modo sopravvalutato la Sua capacità.
  3. Nessun uomo è abbastanza ricco da poter ricomprare il proprio passato.
  4. L’evoluzione dell’uomo è lenta. L’ingiustizia dell’uomo è grande.
  5. Un uomo non può sempre essere giudicato in base alle sue azioni. Può rispettare la legge, e tuttavia non valere niente. Può infrangere la legge, ad essere eccellente.
  6. Un uomo che moraleggia è solitamente un ipocrita, mentre una donna che moraleggia è decisamente insignificante.
  7. Nessun uomo può avere successo nel mondo a meno che non abbia una donna che lo sostenga, e le donne governano la società.
  8. Più uno studia la vita e la letteratura più fortemente sente che dietro tutto ciò che è meraviglioso sta la persona, e che non è il momento che fa l’uomo ma è l’uomo che crea l’epoca.
  9. Adoro recitare. È tanto più reale della vita.
  10. Se un uomo tratta la vita artisticamente, il suo cervello è nel cuore.
  11. Si può vivere anni talvolta senza vivere affatto, e poi tutta la vita si concentra in una sola ora.
  12. È pura e incontaminata vita campestre. Si alzano presto al mattino perché hanno così tante cose da fare e vanno a letto presto perché hanno così poco a cui pensare.
  13. Siamo i demoni di noi stessi, e rendiamo questo mondo il nostro inferno.
  14. Il mondo è un palcoscenico, ma le parti della commedia sono assegnate malamente.
  15. Mi sorprendo sempre. È l’unica cosa per cui vale la pena vivere.

    Oscar Wilde, 1882. LEHTIKUVA / EVERETT COLLECTION / Jerry Tavin (Fonte web)
  16. Ma il passato non ha alcuna importanza. Il presente non ha importanza. È con il futuro che dobbiamo avere a che fare. Perché il passato è ciò che un uomo non avrebbe dovuto essere. Il presente è ciò che l’uomo non dovrebbe essere. Il futuro è ciò che sono gli artisti.
  17. Tutte le donne diventano come le loro madri. Questa è la loro tragedia. Un uomo no. E questa è la sua tragedia.
  18. La felicità di un uomo sposato dipende dalle persone che non ha sposato.
  19. Nessuno dovrebbe avere segreti per la propria moglie, lei li scopre regolarmente.
  20. Una famiglia è un ingombro terribile, specialmente quando non si è sposati.
  21. Morire per una credenza teologica è il peggior uso che un uomo possa fare della propria vita.
  22. Un sermone è una salsa triste quando non hai nulla a cui accompagnarlo.
  23. Sono fin troppo consapevole che siamo nati in un’epoca in cui solo i cretini sono trattati seriamente, e vivo nel terrore di non essere frainteso.
  24. Date ai bambini la bellezza, non la descrizione di massacri sanguinosi e di risse barbare che definiscono storia, o della latitudine e longitudine di luoghi che nessuno vuole visitare, che chiamano geografia.
  25. Una scuola dovrebbe essere il luogo più bello del mondo in ogni città e villaggio – talmente bello che la punizione per i bambini disobbedienti dovrebbe essere impedire loro di andare a scuola il giorno seguente.
  26. I parenti sono semplicemente un noioso gruppo di persone che non hanno la più pallida idea di come vivere, né il minimo istinto circa quando morire.
  27. Non mi farò mai un nuovo amico in vita, anche se forse me ne farò qualcuno dopo che sarò morto.
  28. L’unico obbligo che abbiamo nei confronti della storia è quello di riscriverla.
  29. L’indifferenza è la vendetta che il mondo si prende sui mediocri.
  30. È sempre con le migliori intenzioni che si realizza il peggiore lavoro.

 

Cinque consigli di lettura per l’estate tra classici e nuove uscite.

Dopo qualche perplessità, mi sono convinta a farvi un articolo in cui vi consiglio delle letture per l’estate. Si tratta di nuove uscite e qualche classico, che ritengo importante leggere o rileggere. Ho scelto questi libri perché mi sono piaciuti o mi piacerebbe leggere a breve (anche se non li ho letti, conosco lo stile dell’autore e so che difficilmente mi deluderà). Alcuni li ho anche regalati e magari potreste anche voi regalarli a qualcuno che amate. Ma bando alle ciance, ecco i miei consigli per l’estate: 

Le cinque donne di Hallie Rubenhold (Neri Pozza)

Sinossi:

Londra, 1887: l’anno, recitano i libri di storia inglese, del Giubileo d’Oro, dei festeggiamenti per il cinquantenario dell’ascesa al trono della regina Vittoria. L’anno, però, anche di una storia di cui pochissimi sono a conoscenza, e che i più preferiscono dimenticare: la storia di una senzatetto, Mary Ann Nichols, detta Polly, che bivaccava come tanti a Trafalgar Square. A differenza della monarca, la sua identità sarebbe presto caduta nell’oblio, anche se il mondo avrebbe ricordato con grande curiosità il nome del suo assassino: Jack lo Squartatore. Polly fu la prima delle cinque vittime «canoniche» di Jack lo Squartatore, o di quelle la cui morte avvenne nel quartiere di Whitechapel nell’East End. Al suo omicidio seguì il ritrovamento dei cadaveri di Annie Chapman, Elizabeth Stride, Catherine Eddowes e Mary Jane Kelly. La brutalità degli omicidi di Whitechapel sconvolse Londra, soprattutto perché l’assassino riuscì a darsi alla macchia senza lasciare indizi circa la sua identità. Mentre il cosiddetto «autunno del terrore» volgeva al termine, Whitechapel si riempì di sedicenti giornalisti intenti a cavalcare l’onda. I giornali andarono a ruba e, in mancanza di informazioni certe da parte delle autorità, le pagine furono sommerse di infiorettature, invenzioni e voci infondate, come quella secondo cui i pensionati di Whitechapel fossero «bordelli di fatto, se non di nome», e quasi tutte le donne che vi risiedevano, con pochissime eccezioni, fossero delle prostitute.
Per centotrenta anni le vittime di Jack lo Squartatore e le loro vite sono dunque rimaste invischiate in una rete di supposizioni, pettegolezzi e ipotesi inconsistenti, cosicché oggi, le storie di Polly, Annie, Elizabeth, Kate e Mary Jane portano ancora impressi il marchio e la forma che i valori vittoriani hanno dato loro: maschili, au-toritari e borghesi. Valori elaborati in un’epoca in cui le donne non avevano né voce, né diritti. Ma chi erano queste donne, e come hanno vissuto prima che la loro esistenza venisse barbaramente spezzata dalla mano di un feroce assassino? Attraverso un imponente lavoro di documentazione e una scrittura che lo rende appassionante come un romanzo, Le cinque donne riesce pienamente nel suo obiettivo di dare un volto alle donne che per troppi anni sono rimaste oscurate da un mito, restituendo loro ciò che tanto brutalmente hanno perduto insieme alla vita: la dignità.

Il grande Gatsby di F. Scott Fitzgerald (Bompiani)

Sinossi:

Scritto in modo magistrale con la tecnica dello scorcio perfezionata da Henry James, Il grande Gatsby, ambientato a New York e a Long Island nell’estate del 1922, racconta – con la voce di uno dei personaggi, Nick Carraway – l’età del jazz, le sue contraddizioni e la sua tragicità narrando pagina dopo pagina la disintegrazione del mito americano e la strenua difesa di un abbacinante sfavillio di facciata. Nick vive accanto alla sfarzosa villa di Jay Gatsby, personaggio eccentrico e misterioso che organizza feste sfrenate frequentate dall’alta società, ed è tormentato da un pensiero fisso: riconquistare Daisy, la donna di cui è innamorato da sempre, sposata con Tom Buchanan, famoso giocatore di polo. La relazione clandestina in cui Gatsby riesce a coinvolgerla trascinerà entrambi verso un epilogo tragico. Sorta di autobiografia spirituale di Fitzgerald che, accantonati alcolismo e vita da playboy, voleva capire i motivi del suo stesso inabissamento, ha avuto vari adattamenti cinematografici, tra cui la versione del 1974 diretta da Francis Ford Coppola con Robert Redford e Mia Farrow e l’ultima, nel 2013, protagonista Leonardo di Caprio, premiata con due Oscar.

Stoner di John Williams (Fazi Editore)

Peter Cameron scrive:

«William Stoner ha una vita che sembra essere assai piatta e desolata. Non si allontana mai per più di centocinquanta chilometri da Booneville, il piccolo paese rurale in cui è nato; mantiene lo stesso lavoro per tutta la vita; per quasi quarant’anni è infelicemente sposato alla stessa donna; ha sporadici contatti con l’amata figlia e per i suoi genitori è un estraneo; per sua ammissione ha soltanto due amici, uno dei quali morto in gioventù. Non sembra materia troppo promettente per un romanzo e tuttavia, in qualche modo, quasi miracoloso, John Williams fa della vita di William Stoner una storia appassionante, profonda e straziante. Come riesce l’autore in questo miracolo letterario? A oggi ho letto Stoner tre volte e non sono del tutto certo di averne colto il segreto, ma alcuni aspetti del libro mi sono apparsi chiari. E la verità è che si possono scrivere dei pessimi romanzi su delle vite emozionanti e che la vita più silenziosa, se esaminata con affetto, compassione e grande cura, può fruttare una straordinaria messe letteraria. È il caso che abbiamo davanti. La prima volta che l’ho letto sono rimasto sbalordito dalla qualità della scrittura, dalla sua pacatezza e sensibilità, dalla sua implacabile chiarezza abbinata a un tocco quanto mai delicato. Dio si nasconde nei dettagli e in questo libro i dettagli ci sono tutti: la narrazione volteggia sopra la vita di Stoner e cattura ogni volta i momenti di una realtà complessa con limpida durezza […], e attraversa con leggera grazia il cuore del lettore, ma la traccia che lascia è indelebile e profonda».

La strada di casa di Kent Haruf (NN Editore)

Sinossi:

Jack Burdette è sempre stato troppo grande per Holt. È fuggito dalla città lasciando una ferita difcile da rimarginare, e quando riappare dopo otto anni di assenza, con una vistosa Cadillac rossa targata California, la comunità vuole giustizia. È Pat Arbuckle, direttore dell’Holt Mercury e suo vecchio amico, a raccontare la storia di Jack: dall’adolescenza turbolenta all’accusa di furto, dal suo lungo amore per Wanda Jo Evans al matrimonio lampo con Jessie, donna forte e determinata. Uno dopo l’altro, i ricordi di Pat corrono no al presente, rivelando le drammatiche circostanze che hanno portato Jack ad abbandonare la città e la famiglia. Il suo ritorno farà saltare ogni certezza, minando la serenità di tutti, specialmente quella di Pat. Ancora una volta Kent Haruf, con il suo sguardo tenero e implacabile sulla vita e il destino, ci racconta la storia di un’umanità fragile, ostinata e tenace. Scritto prima della Trilogia della Pianura e già con la stessa grazia letteraria, La strada di casa è l’ultima opera di Haruf non ancora tradotta in Italia, il canto di una comunità dolente, un romanzo epico che ha tutti i segni distintivi del classico americano contemporaneo. Questo libro è per chi cerca punte di frecce nei campi, per chi crede alla promessa di I love you in a thousand ways di Lefty Frizzell, per chi balla tutta la notte senza mai arrendersi alla stanchezza, e per chi torna a casa per vedere le sue montagne, anche se non ci sono, anche se sono soltanto una tenue linea frastagliata all’orizzonte.

I Vicerè di Federico De Roberto (Feltrinelli)

Dalla prefazione di Luigi Lunari:

“I Viceré si iscrive a mio avviso nel capitolo delle grandi saghe che con la potenza di un affresco narrano alcuni decenni di storia attraverso le vicende di una famiglia, di una stirpe, di un ceto sociale, assunti come monade del mondo che li circonda. […] I Viceré è una disperata, sofferta, dolorosa confessione. La confessione di un essere umano che si identifica totalmente con una precisa società, e ne racconta i fatti e i misfatti con una oggettività insistita e impietosa; come un serial killer che una volta preso e smascherato svuota finalmente il sacco dei suoi delitti, rivelandone addirittura di insospettati. […] I Viceré è dunque davvero un lungo, dolente monologo. Dal suo senso più profondo possono anche distrarre i fatti, i conflitti, i personaggi che ne animano le pagine, e che nel romanzo tengono desta l’attenzione, incuriosiscono, e addirittura appassionano. Ma il più autentico filo conduttore è quello: il dolore, forse anche la disperazione, che ne fanno il sofferto epicedio di questa società di naufraghi della Medusa, atavicamente impotente, alla quale l’autore è atavicamente legato e alla cui sorte si immola.”

 

 

GDL #LEAVVELENATRICI | Bartleby lo scrivano è stata la lettura di Febbraio

La tappa di febbraio del GDL del Le avvelenatrici ha previsto la lettura del racconto di Herman Melville, Bartleby lo scrivano, che io ho letto nella edizione Universale Economica Feltrinelli.

Il testo fu pubblicato inizialmente in maniera anonima in due puntate apparse sul Putnam’s Magazine nei mesi di novembre e dicembre del 1853. Nel 1856, con qualche variazione, fu inserito nella raccolta The Piazza Tales. A quanto pare ad ispirare l’opera a Melville fu un saggio di Emerson dal titolo Il trascendentalista.

In questo scritto, Melville racconta la storia di uno scrivano, Bartleby, un po’ strano e taciturno, il quale inizia a lavorare da un avvocato di Wall Street. La storia ci viene raccontata proprio da questo avvocato, che si definisce in apertura un uomo piuttosto anziano, come a dire che nella sua vita ne ha viste tante, ma nessuna supera la storia di Bartleby.

La natura della mia professione, negli ultimi trent’anni, mi ha portato ad avere contatti fuor del comune con ciò che direbbesi un interessante ed alquanto singolare genere di individui, dei quali fino ad ora, ch’io sappia, nulla è stato scritto. Mi riferisco ai copisti legali, ovvero scrivani. In gran numero ne ho conosciuti, sia per pratica di lavoro che a titolo personale, e, quando volessi, potrei narrare svariate storie, che forse farebbero sorridere le persone benevole, e forse farebbero piangere le anime sentimentali. Ma rinunzio alla biografia d’ogni altro scrivano per pochi momenti della vita di Bartleby, che fu scrivano, il più stravagante di quanti abbia mai veduto, o di cui abbia avuto notizia.

Effettivamente Bartleby è un tipo strano. Un giorno si presenta nell’ufficio di questo avvocato e viene assunto dopo aver letto una inserzione di lavoro:

In risposta ad un’inserzione, un immobile giovanotto compare un bel mattino sulla soglia del mio ufficio, essendo la porta aperta perché s’era d’estate. Rivedo ancora quella figura, scialba nella sua dignità, pietosa nella sua rispettabilità, incurabilmente perduta! Era Bartleby.

Bartleby sembra essere sbucato dal nulla. Il suo passato è avvolto nel mistero e la sua figura non gli attribuisce doti particolare agli occhi dell’avvocato. Infatti, appare scialbo e immobile.

All’inizio Bartleby svolse una straordinaria quantità di lavoro scritturale. Quasi fosse da lungo tempo affamato d’alcunché da copiare, egli pareva pascersi con ingordigia dei miei documenti. Non si concedeva pausa per la digestione. Si dava da fare notte e dì, copiando sia con la luce del sole che a lume di candela. Mi sarei senz’altro compiaciuto di tanta solerzia, fosse egli stato allegramente operoso. Invece continuava a scrivere in silenzio, con moto scialbo e meccanico.

Nonostante queste stranezze, Bartleby all’inizio sembra essere un buon scrivano. Ma i problemi iniziano a sorgere quando alle richieste dell’avvocato di svolgere alcune mansioni Bartleby, inaspettatamente, risponde negativamente, sempre con la stessa espressione: avrei preferenza di no, a cui non aggiunge ulteriori chiarimenti. Questo atteggiamento potrebbe far innervosire chiunque, potrebbe far scattare un licenziamento in tronco, ma il nostro avvocato invece reagisce differentemente.

Con chiunque altro sarei andato su tutte le furie; bandita ogni altra chiacchiera, l’avrei senza scrupoli cacciato via. Ma v’era qualcosa in Bartleby che, non soltanto stranamente mi disarmava, ma puranco, in modo assai sorprendente, mi toccava e sconcertava.

L’atteggiamento dell’avvocato, quindi, non è quello di rabbia nei confronti di Bartleby, anche se in alcuni momenti ci sono dei moti di ribellione. Ma l’avvocato si incuriosisce alla figura del suo scrivano e prende a studiarlo fino a quando non scopre, casualmente, che Bartleby vive nel suo ufficio. Esasperato da questa situazione, l’avvocato cerca una soluzione, ma l’atteggiamento di Bartleby è risoluto. Ad un certo punto si rifiuterà persino di scrivere e di essere licenziato. L’avvocato, all’ennesimo rifiuto di Bartleby, impietosito forse dalla sua situazione di solitudine e di povertà, decide di lasciarlo lì e di trasferire l’ufficio altrove.

Bartleby non lascerà mai quell’ufficio e continuerà ad occuparlo anche quando arriveranno i nuovi affittuari. La situazione con i nuovi affittuari prende una brutta piega perché il nuovo inquilino decide di far arrestare Bartleby. Nel frattempo il nostro avvocato aveva cercato di dissuaderlo dal suo atteggiamento, ma la risposta che dà è sempre la stessa “avrei preferenza di no”. L’esito della vicenda è, come si può immaginare, negativo, perché Bartleby muore in carcere, anche se l’avvocato aveva continuato a prendersi cura di lui.

La storia singolare di quest’uomo ci lascia un misto di sensazioni tra la rabbia e lo sconcerto ed è servita a Melville per dare una lettura della realtà contemporanea. Ambientato nella strada di Wall Street quando sta per trasformarsi nel grande centro dell’economia americana, questo racconto e il suo personaggio rappresentano lo straniamento dell’individuo in una società che diventa sempre più capitalistica. L’uomo perde la sua forza individuale, è isolato e destinato ad una povertà materiale e spirituale in un contesto dove non tutti sono in grado di comprendere l’altro. L’avvocato ha ancora una coscienza, ma gli altri scrivani sono presi dalle “regole personali” di giustizia e produttività incuranti dell’altro e incapaci di comprenderne le azioni.

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Kent Haruf: “Benedizione” apre la Trilogia della Pianura

Posso ufficialmente annoverare Kent Haruf tra i miei autori del cuore. Dopo Le nostre anime di notte (potete leggere la mia recensione CLICCANDO QUI) ho iniziato la Trilogia della Pianura che è composta da Benedizione, Canto della Pianura e Crepuscolo (NN Editore).

Benedizione apre questa serie ambientata nella cittadina di Holt, in Colorado. La vicenda ruota intorni a Dad Lewis, che sta affrontando il suo ultimo viaggio; si è ammalato di cancro e gli resta poco tempo prima che la malattia se lo porti via. In questo breve lasso di tempo, in cui assistiamo all’evolversi della malattia che lo porta alla fine, Dad ha la possibilità di ripercorrere la sua vita, salutare gli amici di sempre e quelli nuovi, tentare di ricucire i legami familiari sfaldati e rimediare a quei torti ed errori che ha commesso nel corso della sua vita. In Benedizione c’è però molto altro.

Kent Haruf ha creato un romanzo che potremmo definire “corale”, perchè intorno a Dad gravitano una serie di personaggi, ognuno con la sua storia di dolore e di sconfitta. Dad porta nel cuore alcuni fantasmi, quello del figlio Frank, mai compreso ed accettato. Frank se ne è andato di casa senza fare più ritorno e anche ora che Dad sta per morire, non ritornerà. Poi c’è l’ex commesso del negozio di ferramenta di Dad, che si è tolto la vita dopo essere stato licenziato. Anche se Dad ha fatto ciò che riteneva giusto, sentirà sempre un peso sull’animo, peso che ha tentato di alleviare aiutando la vedova.

Non assistiamo, però, solo alla vicenda umana di Dad, perché conosciamo anche molti altri personaggi, come Lorraine, sua figlia, che ha perso la vita in un incidente stradale, e ancora la vicina di casa, che accudisce la nipotina rimasta orfana. Poi c’è il pastore Lyle, che predica oltre le convenzioni e nasconde un segreto. Questi sono solo alcuni degli abitanti di Holt, che l’autore ci presenta in questo primo volume, carico di significati e sfumature.

Kent Haruf, con la sua prosa delicata, entra in punta di piedi nella quotidianità di queste persone e ce ne svela i lati intimi ed oscuri. Ci parla, quasi sussurrando, di dolore, solitudine, rimpianto, rammarico, ma anche di dignità, vergogna e amore. Non manca, infine, di evidenziare un aspetto che caratterizza la cittadina di Holt, che potrebbe esserci in qualsiasi città, paese, quartiere del mondo: la discriminazione e l’allontanamento di ciò che si ritiene diverso. Holt tende ad espellere lontano dalla sua visione piccola come un francobollo, tutto ciò e tutti coloro che non rientrano nel suo schema sociale, e lo fa anche con una certa violenza.

È un libro, Benedizione, veramente bello e coinvolgente:

Questo libro è per chi ama rileggere i classici e vorrebbe perdersi negli sconfinati spazi della pianura (o nelle fotografie di Robert Adams), per chi desidera un cappello da cowboy anche se forse non lo indosserà mai, per chi nutre una storia di fiducia razionale nel genere umano e crede che le verità gridate siano sempre meno vere di quelle suggerite con pudore.

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Prendiluna di Stefano Benni

L’ultimo romanzo di Stefano BenniPrendiluna, è stato pubblicato nel maggio 2017 da Feltrinelli nella collana Narratori.

Questo libro mi ha incuriosita molto e ho voluto leggerlo anche perché in passato di questo autore lessi Pane e Tempesta, libro molto piacevole e divertente. Questa volta però Benni non mi ha molto convinta. Prima di leggere Prendiluna avevo dato un’occhiata ai vari commenti e recensioni in giro, che però non erano tutte positive. Non lasciandomi condizionare dai giudizi, poiché la lettura è una cosa privata e pertanto soggetta ad un giudizio personale e legittimo, ho letto il libro, ma i dubbi sorti coincidevano con quelli letti nelle varie recensioni. Ma andiamo per gradi!

La protagonista di questo romanzo è Prendiluna, una anziana gattara e insegnante in pensione, che vive in una casa nel bosco colonizzata da dieci gatti. Una notte, alla donna compare il fantasma di un suo gatto, morto tempo prima, che le affida una missione: cercare dieci persone giuste a cui affidare i suoi dieci gatti in un determinato tempo. Solo portando a compimento questa missione, la Terra sarà salva. Una volta consegnato l’ultimo gatto, Prendiluna incontrerà Diobono, alludendo così alla morte della donna.

È qui che entrano in gioco altri due personaggi, Dolcino e Michele, i quali sono ex studenti di Prendiluna, ora rinchiusi in un ospedale psichiatrico. I due sono venuti a conoscenza della missione di Prendiluna dopo aver fatto un sogno profetico, così si mettono sulle tracce della donna perché anch’essi desiderano incontrare Diobono “per dirgliene quattro”.

Fin qui sembra tutto normale e l’inizio del romanzo risulta anche accattivante, ma la questione si fa complicata man mano che si procede nella lettura. La vicenda, con tutti i personaggi che Prendiluna incontrerà, risulterà sempre più ingarbugliata e assurda, muovendosi tra il genere favolistico e onirico.
Nelle vicende che si dipanano, e che ad un certo punto disorientano anche un po’ il lettore, è possibile cogliere alcuni tratti tipici della scrittura di Benni. Innanzitutto il tratto favolistico e stralunato già citato e molto caro all’autore, così come un uso sapiente dell’ironia.

Conoscendo i diversi personaggi poi è possibile scorgere la critica ad una società contemporanea schiava della tecnologia e dei nuovi mezzi di comunicazione, ma anche l’ateismo e l’anticleralismo dello scrittore, il tema della solitudine, impersonificato da Prendiluna, e in generale dei comportamenti umani, anche quelli sessuali che agitano i vari protagonisti. Una nota critica é ben diretta anche ai potenti e ai poteri forti e quasi occulti, rappresentati nel racconto di Benni dalla setta degli Annibaliani guidata da Chiomadoro.

In questo senso Benni è un eccellente narratore della società contemporanea attraverso il linguaggio simbolico, ma ciò che non mi è chiara è se c’è una morale in questo racconto o se l’opera sia solo l’osservazione ironica della contemporaneità. Oggi si parla molto e forse anche troppo della degenerazione della società, creando un vero e proprio topos usato e abusato, che con il tempo finisce con il perdere di valore.

Anche inquadrare questo romanzo in uno specifico genere letterario non è facile, perché partendo dal genere favolistico, seppur in senso moderno, si giunge a qualcosa che si avvicina all’horror. Insomma, quando ho terminato la lettura di Prendiluna sono rimasta con una serie di dubbi che ancora oggi, dopo un mese e più dalla lettura, non riesco a sciogliere. Soprattutto: Prendiluna ha effettivamente compiuto questa missione o è solo il delirio di una anziana che vive in solitudine i suoi ultimi anni?

Se insinuare nel lettore dubbio e confusione è lo scopo di questo romanzo, si può dire di Prendiluna una storia perfetta e di Benni uno scrittore geniale.

Stefano Benni

Cantami, o diva, del Pelìde Achille

Parlare dei poemi greci non è facile, si tratta di capolavori assoluti sui quali è possibile trovare testi di studiosi che hanno dedicato la loro vita nell’analisi delle opere di Omero o del latino Virgilio.

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Achille trascina il corpo di Ettore dopo averlo ucciso

Oggi leggere i poemi omerici può risultare ad alcuni difficile per il linguaggio non del tutto moderno o per il costrutto non lineare. Mosso dal desiderio di leggere il testo dell’Iliade in teatro, Alessandro Baricco nel 2004 pubblicò un piccolo libretto, Omero, Iliade edito da Feltrinelli, che è la trasposizione in prosa del testo omerico. Per effettuare questo tipo di operazione, lo scrittore italiano si è avvalso della traduzione dal greco di Maria Grazia Ciani, ma non ci troviamo di fronte ad un testo totalmente fedele all’originale.

Questa riscrittura, il cui obiettivo – come anticipato – era la lettura teatrale, è stato depurato dallo scrittore da tutte quelle caratteristiche presenti nei poemi classici. Non troviamo traccia del coro, entità fondamentale nell’epica greca, il testo è stato asciugato dalle numerose ripetizioni presenti nell’originale, come lui stesso scrive nell’introduzione, e soprattutto ci accorgiamo subito che Baricco ha compiuto una serie di “alterazioni” che gli garantiscono una maggiore aderenza del testo all’oggi. L’autore, infatti, cambia il punto di vista della narrazione. Essa si svolge attraverso ventuno paragrafi ognuno dedicato ad un personaggio o ad un eroe. Non c’è traccia delle divinità che tanto erano fondamentali nella vita dell’uomo greco, ma la vicenda viene letta esclusivamente da un punto di vista terreno e umano. Protagonista assoluta della vicenda è la guerra causata dalla bellezza di Elena che, rapita da Paride, provoca la famosa e sanguinosa guerra di Troia.

Come il testo originale, la vicenda si apre in medias res, cioè quando la guerra è in corso già da diversi anni e nello specifico narra gli ultimi cinquantuno giorni di guerra a partire dal momento in cui Achille, offeso da Agamennone, si rifiuta di scendere in campo. La narrazione di Baricco non risparmia i dettagli della guerra, la brutalità dello scontro corpo a corpo, ma concede lo spazio a quei dettagli di bellezza che ci fanno immaginare gli eroi greci quasi come divinità avvolte nelle loro armature splendenti. Sempre di grande impatto emotivo è l’episodio della morte di Patroclo per mano di Ettore e la conseguente ira funesta del Pelide Achille, che sfoga tutta la sua rabbia uccidendo Ettore e straziandone il corpo, trascinandolo intorno alle mura di Troia.

Cantami, o diva, del Pelìde Achille
l’ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei (…)

Un testo, quello di Baricco, ben costruito e che presenta un’aggiunta al racconto omerico, il quale si conclude con i funerali di Ettore dopo la restituzione del corpo dell’eroe al padre Priamo da parte di Achille. Lo scrittore italiano aggiunge, invece, attraverso la voce di un aedo, Demòdoco, la presa di Ilio, l’altro nome della città di Troia, per rispondere ad una esigenza di completezza, affinchè lo spettatore/lettore sappia come la guerra si concluse.

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L’opera di Baricco è una bellissima operazione di riscrittura che oltre ad essere un valido strumento di lettura teatrale, adatto a qualsiasi tipologia di pubblico e di compagnia teatrale, è anche un’opportunità, per chi non è avvezzo alla lettura della poesia epica, di conoscere le vicende narrate da Omero; essa è, infine, uno strumento semplice per chi desidera rispolverare un testo studiato diversi anni prima tra i banchi di scuola.

Il giardino segreto di Banana Yoshimoto

Il giardino segreto è il primo romanzo di Banana Yoshimoto che leggo in assoluto e solo dopo averlo acquistato ho scoperto che è il terzo volume di una tetralogia dal titolo Il Regno, che comprende Andromeda Heights, Il dolore, le ombre, la magia e Another World. Nonostante ciò, è possibile leggere i volumi separatamente senza incontrare problemi di sorta perché le vicende sono indipendenti anche se hanno come protagonisti gli stessi personaggi.

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Questo romanzo, letto nell’edizione Universale Economica Feltrinelli, è abbastanza breve e narra di Shin’ichiro e Shizukuishi che decidono di andare a vivere insieme, dopo che Kaede e Kataoka sono ritornati in Giappone. Shin’ichiro e Shizukuishi trovano una nuova casa e tutto sembra andare per il meglio, ma ben presto la realtà si rivela per quello che è. Non sempre la vita è come la desideriamo e tantomeno le persone sono ciò che avevamo creduto. A sperimentarlo è proprio Shizukuishi, che in seguito ad un viaggio, il quale si configura come un vero e proprio viaggio nel passato, perde ogni sua certezza, perde l’equilibrio acquisito nel tempo e capisce di non essere la cosa più importante per Shin’ichiro. Dovrà ben presto ricominciare tutto, ma con una nuova consapevolezza e maturità.

Vedi, c’è un motivo se le persone si incontrano. Ogni incontro nasconde una promessa, e quando questa viene meno non si può più stare insieme.

Leggendo il libro non posso dire di essermi entusiasmata molto, la vicenda e i personaggi non mi hanno coinvolto, ma quello che del romanzo mi è piaciuto invece, oltre allo stile delicato e semplice della scrittrice, è l’ambientazione e il modo di descrivere i luoghi. Il vero protagonista forse è il giardino, questo luogo che vediamo appena, ma che è una presenza quasi ingombrante. Il giardino vive e ha bisogno di cure proprio come una persona e condiziona la vita stessa dei protagonisti. La natura così diviene una presenza importante, quasi fondamentale nella vita dei personaggi. Questo modo di vivere gli ambienti, la natura e i gesti, che possono essere anche il semplice bere una tazza di tè, sono lo specchio di una cultura orientale molto legata alla tradizione, in cui il tempo trascorso in un determinato modo è importante. Il giardino segreto, con le sue atmosfere esotiche, è un viaggio leggero in un mondo e nell’animo di donne e uomini alle prese con sentimenti e desideri universali, elementi fondamentali per chi, come Banana Yoshimoto, vuole parlare di vita.

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Banana Yoshimoto

Banana Yoshimoto (Tokyo, 1964) è autrice di romanzi dal tratto sognante e inconfondibile.  Ha conquistato un grandissimo numero di lettori in Italia a partire da Kitchen, pubblicato da Feltrinelli nel 1991, e si è presentata come un autentico caso letterario. Dei suoi altri libri, tutti pubblicati da Feltrinelli, ricordiamo: N.P. (1992), Sonno profondo (1994), Tsugumi (1994), Lucertola (1995), Amrita (1997), Sly (1998), L’ultima amante di Hachiko (1999), Honeymoon (2000), H/H (2001), La piccola ombra (2002), Presagio triste (2003), Arcobaleno (2003), Il corpo sa tutto (2004), L’abito di piume (2005), Ricordi di un vicolo cieco (2006), Il coperchio del mare (2007), Chie-Chan e io (2008), Delfini (2010), Un viaggio chiamato vita (2010), High & Dry. Primo amore (2011), Moshi moshi (2012), A proposito di lei (2013), Andromeda Heights. Il Regno 1 (2014), Il dolore, le ombre, la magia. Il Regno 2 (2014), Il lago (2015), Il giardino segreto. Il Regno 3 (2016), Another World. Il Regno 4 (2017) oltre ad alcuni racconti nella collana digitale Zoom (Moonlight Shadow, 2012, Ricordi di un vicolo cieco, 2012, La luce che c’è dentro le persone, 2011). Banana Yoshimoto ha vinto il premio Scanno nel 1993, il premio Maschera d’Argento nel 1999 e il premio Capri nel 2011.

Adesso, il romanzo di Chiara Gamberale

… e adesso? Così termina il romanzo di Chiara Gamberale “Adesso”, edito da Feltrinelli. Dopo “Qualcosa”, romanzo di cui vi ho già parlato qualche tempo fa, mi è venuta la voglia di acquistarlo, seguendo il consiglio di tanti lettori che me lo hanno suggerito. Rispetto alla lettura precedente, ci troviamo di fronte ad un modo di scrivere molto diverso.

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I protagonisti sono Lidia e Pietro e il lungo percorso che li porta ad innamorarsi. Ma l’amore che ci viene descritto non è quello giovanile, non ci troviamo dinanzi ad una travolgente storia d’amore, ma facciamo i conti con le ansie, fragilità, ripensamenti di chi, ormai già adulto e con un passato sentimentale difficile, cerca di riaffacciarsi ai sentimenti. Infatti, quella di Lidia e Pietro potrebbe essere una normale storia d’amore se non tornassero prepotenti i fantasmi degli amori passati.

Lidia lavora nello spettacolo, ha un carattere estroverso, forse anche troppo, tende ad innamorarsi intensamente nonostante abbia un ex marito dal quale non ha tagliato il cordone ombelicale. Pietro è un preside con un carattere che è l’esatto opposto di quello di Lidia. Ha una bambina e una ex moglie, che lo ha lasciato per andare in convento e seguire la sua vocazione monacale. Entrambi sono scottati da quanto vissuto in passato e, nonostante la vita proceda in avanti, non riescono a lasciarsi andare, restando incagliati tra le maglie del passato fatto di abbandoni, di delusioni, di perdite e le insidie che il futuro potrebbe nascondere. La paura li blocca, non gli dà quel giusto grado di incoscienza tale da garantire il lancio nel vuoto. Solo quando i protagonisti capiranno che il passato non esiste più – o se esiste è ciò che li ha resi quello che sono ora – così come il futuro che è tutto da scrivere, potranno vivere quell’”adesso” che è la sintesi di tutto il tempo e di tutte le esperienze necessarie ad affrontare un domani insieme.

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Chiara Gamberale. Credits: Vittorio Zunino Celotto/Getty Images

Con questo romanzo la Gamberale dà prova di una scrittura originale. Il tema dell’amore è infatti trattato da un punto di vista interno, sono i personaggi stessi che ce ne parlano e lo fanno in una maniera del tutto atipica. Se ci aspettiamo un racconto lineare siamo fuori strada perché l’autrice intervalla forme di scrittura differenti. Incontriamo paragrafi tradizionali, dialoghi, ma anche mail, sms, una sola parola in una pagina, ma anche i curricula sentimentali dei protagonisti, i quali ci aiutano a comprendere il loro background. Al termine di questo romanzo impariamo una cosa: la nostra vita è adesso, non ieri o domani e come dice la Gamberale:

È che ci sono sette miliardi di persone, al mondo.

Ma fondamentalmente si dividono in due categorie.

Ci sono quelle che amiamo.

E poi ci sono tutte le altre.

Non sprechiamo il nostro tempo e non facciamoci scappare quelli che amiamo.

Giugno, tempo di ferie e di buone letture

I mesi estivi sono il tempo del riposo, del relax, ma possono essere anche un buon tempo per recuperare le letture che durante il lungo inverno non si è potuto fare. Il periodo suggerisce il libro da ombrellone, espressione alquanto dispregiativa, che rimanda ad una lettura superficiale o senza grande impegno intellettuale. In realtà non è affatto così, credo che questo sia il periodo giusto per intensificare la lettura e riprendere i libri abbandonati sul comodino. Per questo motivo vi consiglio cinque libri dalla mia libreria personale:

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La Mennulara, edito da Feltrinelli, è il romanzo d’esordio di Simonetta Agnello Hornby, scrittrice siciliana naturalizzata britannica. La vicenda ha inizio il 23 settembre 1963 con la morte di Rosalia Inzerillo, detta la Mennulara, chiamata così perché in gioventù fu raccoglitrice di mandorle. Dall’età di 13 anni la Mennulara inizia a lavorare come cameriera nella famiglia Alfallipe, ma per le sue spiccate doti di intelligenza diviene amministratrice dei beni della famiglia. Una serie di disgrazie personali modellano il suo carattere a tal punto da farla diventare fredda, facendo suscitare timore negli altri.  Attraverso il chiacchiericcio delle persone del paese veniamo a conoscenza della sua vicenda personale e di un suo legame con il mafioso locale. Il romanzo si sviluppa così attraverso piccoli capitoli, in cui si susseguono una serie di colpi di scena che sempre più trasformano la figura della protagonista da carnefice a vittima.

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Fantasmagoriana è una raccolta di storie tedesche di fantasmi pubblicata a Parigi nel 1812. Questo testo ispirò la celebre “scommessa letteraria” di Villa Diodati da cui nacque il Frankenstein di Mery Shelley. Il libro in Italia era stato quasi dimenticato, fino a quando Andrea Cammilletti non lo ha pubblicato per Nova Delphi. Per la prima volta il testo compare nella sua interezza, tradotto in italiano e con un’ampia introduzione che è un vero e proprio saggio sull’argomento. Un viaggio spettrale alle radici del fantastico moderno, fra castelli incantati, spiriti e ritornanti può essere l’atmosfera giusta per questa estate.

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Chi ama il romanzo storico ha un’ampia scelta. In qualsiasi libreria troverete romanzi storici per ogni epoca, ma io vi propongo La Bastarda degli Sforza, edito da Piemme, di Carla Maria Russo. Nel 1463 nasce Caterina, figlia illegittima di Galeazzo Maria Sforza, tiranno crudele e spietato ma anche amante delle arti e della musica. Fin da bambina Caterina dimostra qualità non comuni e uno spirito ribelle, infatti ama la caccia, la spada e la lotta. L’unica regola che riesce ad seguire gliela insegna la nonna Bianca Maria, ovvero l’accettazione piena del suo destino come rappresentante della famiglia più potente di Milano. Accetterà il matrimonio per ragioni di stato con un uomo violento e allo stesso tempo pavido e imbelle. Quando il suo casato sarà di nuovo in pericolo, Caterina mostrerà tutte le sue doti, guadagnandosi l’appellativo di Tigre. Se non ritenete che questo romanzo possa piacervi potrete sempre guardare ad altri titoli della Russo. Vi suggerisco La sposa normanna o Il Cavaliere del Giglio, la loro lettura sono sicura vi appassionerà.

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Prendiluna è l’ultimo romanzo di Stefano Benni, edito da Feltrinelli. Se ancora non avete letto nulla di questo scrittore dovete correre assolutamente in libreria per recuperarlo. Leggere Benni significa divertirsi perché la sua scrittura è gradevolissima, divertente e mai banale. Un gatto fantasma affida a Prendiluna, una vecchia maestra in pensione, una missione da cui dipendono le sorti dell’umanità. I Diecimici devono essere consegnati a dieci Giusti. E da questo momento che le cose si complicano, il lettore non sa dove si trova, se nella realtà o nel sogno. Nel corso della lettura si incontrano personaggi magici, comici, crudeli. Dolcino l’Eretico, Michele l’Arcangelo, un killer-diavolo, il dio Chiomadoro e la setta degli Annibaliani, con i loro orribili segreti e il loro disegno di potere. Insomma personaggi strambi, luoghi ancora più strambi descritti con il consueto stile piacevole e accattivante a cui Benni ci ha abituati.

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Ombre, edito da Einaudi, è una raccolta di racconti di tredici autori famosi da Stephen King a Joe R. Lansdale, da Joyce C. Oates a Michael Connelly, ispirati ad altrettanti dipinti di Hopper. Nell’introduzione Lawrence Block dice che Hopper non fu un narratore ma aveva la capacità con la sua pittura di ispirare delle storie. Così nasce questo libro, bellissimo, che proprio per il fatto di raccogliere diversi racconti singoli e di autori diversi si rivela un’ottima compagnia per questa estate.

Buone letture sotto l’ombrellone!

Maggio, mese perfetto per leggere all’aperto

Il mese di maggio è perfetto per la lettura. Forse tutti i mesi lo sono, ma a maggio è possibile uscire in giardino nelle ore più calde, su un bel terrazzo o in un parco pubblico e rilassarsi con una buona lettura.

Per questo mese vi consiglio cinque libri che possono soddisfare varie esigenze di lettori diversificati, non li ho letti tutti; spero di farlo presto e di condividerne con voi le storie. In attesa di parlarvi anche di altri titoli e argomenti sempre legati al mondo dei libri, vi presento i suggerimenti del mese:

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Qualcosa di Chiara Gamberale edito da Longanesi. A metà strada tra la fiaba e il classico, questo libro si presenta come una originale riflessione sull’amicizia, sul dolore, sull’amore e sul alcuni aspetti della vita. La protagonista è la Principessa Qualcosa di Troppo che ha la caratteristica o difetto di essere senza limiti, ride e piange troppo o desidera troppo. Nel suo percorso la Principessa incontra il Cavalier Niente e grazie a lui scopre una serie di valori che, fino ad allora, aveva rifiutato. Le avventure della Principessa Qualcosa sono piacevoli da leggere, anche grazie alle belle illustrazioni a colori di Tuono Pettinato, lasciando al lettore la riflessione su temi importanti.

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Dance dance dance di Murakami Haruki, edito da Einaudi nella collana Super ET. Il protagonista di questo romanzo è un giornalista freelance costretto per delle circostanze a improvvisarsi detective. Ad accompagnarlo c’è una giovane donna dai poteri paranormali in una Tokyo che Murakami descrive nelle sue sfaccettature notturne e iperrealistiche. Chi ama il mistero e la scrittura di Murakami, autore pluripremiato, ma schivo e riservato, con questo romanzo potrà godere di una lettura veramente coinvolgente.

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Rimanendo nello stesso genere è il romanzo di Jöel Dicker, La verità sul caso Harry Quebert, edito da Bompiani. Un professore universitario accusato di omicidio, uno scrittore con il blocco della scrittura, le indagini per scoprire la verità sono gli elementi che condiscono questo romanzo. Un thriller potente, che vi terrà incollati al libro e se poi proprio non vi va di leggerlo, potete sempre guardare il film, ma non dimenticate di farmi sapere se è più bello il film o il libro.

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Maggio evoca le scampagnate, passeggiate all’aria aperta, trekking ed escursioni tra la natura, la storia e l’arte. Se avete voglia di combinare tutto questo, vi consiglio il libro di Paolo Rumiz, Appia, edito da Feltrinelli nella collana Narratori. Non si tratta di una guida turistica, ma della narrazione di un viaggio fatto a piedi dall’autore. In compagnia di amici, Paolo Rumiz, noto giornalista di “la Repubblica”, ha percorso la via Appia e ce la racconta in questo libro come se fosse una sorta di diario di viaggio, facendoci scoprire luoghi, città, storia, arte… un racconto quello di Rumiz che parla del bello, ma anche di quello che non va, senza però farci passare la voglia di viaggiare e conoscere.

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Se dei libri consigliati fino ad ora non ve ne piace nessuno, allora vi suggerisco Il profumo delle foglie di tè, di Dinah Jefferies, edito da Newton Compton. Il romanzo è ambientato nella Londra degli anni ’20 e la protagonista è una giovane donna che, dopo un matrimonio per procura, si trasferisce su un’isola lontana dove il marito conduce i suoi affari. La vita matrimoniale non è quella che Gwen immagina e nemmeno suo marito sembra essere più l’uomo di cui si era innamorata tempo prima. Gwen trascorre molto tempo sola, dedita a governare le faccende domestiche e la servitù, ma la casa in cui vive sembra nascondere dei segreti inaccessibili. La vicenda si complica quando la protagonista partorisce e dovrà prendere una decisione importante… non vi svelo niente di più, vi rimando alla lettura di questo libro che è stato tradotto in diciassette paesi, registrando uno straordinario successo editoriale.

Non mi resta che augurarvi una buona lettura e attendere i vostri commenti e perché no, i vostri suggerimenti di lettura.

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