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Intervista | Francesca Innocenzi si racconta e racconta la sua poesia

Francesca Innocenzi si racconta e racconta il suo libro Canto del vuoto cavo, una silloge poetica con sessanta componimenti poetici

Canto del vuoto cavo è la silloge poetica di Francesca Innocenti. In questa intervista, la poetessa ci racconta il significato della sua poesia tra vuoti, catarsi e rinascite.

Prima di parlare dell’opera, mi piace conoscere meglio l’autrice. Chi è Francesca Innocenzi e cosa fa nella vita?

Grazie mille per l’invito! Sono nata e vivo nelle Marche, dove insegno letteratura e storia nelle scuole secondarie di secondo grado. Mi sono avvicinata alla scrittura già da bambina e all’età di venticinque anni ho iniziato a pubblicare. Canto del vuoto cavo è la mia ultima silloge, uscita alcuni mesi fa, in un periodo in cui ho preso a dedicarmi con particolare intensità alla lettura di poeti contemporanei. Credo che in questa epoca in cui si è perso il senso dell’essere collettività, la poesia possa fare molto, incentivando riflessioni scambievoli e condivise, portatrici di significati profondi. È in quest’ottica che sto cercando di far conoscere la raccolta.

‘Canto del vuoto cavo’ è il titolo della sua silloge poetica. Cosa ci suggerisce il titolo?

Il titolo suggerisce un’immagine del vuoto in quanto scaturigine della poesia. Il vuoto può essere più cose insieme. È lacuna e mancanza, quindi percezione dolorosa, che però può rivelarsi spazio fertile di nuove possibilità; una sorta di catarsi, di rinascita. Per me il vuoto è la solitudine, temuta e amata, che ha segnato la mia adolescenza, come pure la vertigine agorafobica degli attacchi di panico. Nel libro c’è anche questo.

Il vuoto, dunque, è al centro della sua poetica, ma in una società così ricca di stimoli, quanto sono effettivamente vuote le nostre esistenze?

Gli stimoli che ci circondano sono spesso inconsistenti: basta un blackout per cancellare tutto. Ma questi blackout, che sono, appunto, buchi neri, vuoti, ci mostrano quanto siamo dipendenti da cose futili, non essenziali. Recupero del vuoto è saper stare con l’essenza. Il tempo della pandemia Covid con i conseguenti lockdown ha costituito una grande opportunità di scoperta, eppure in tanti hanno continuato ad aggrapparsi ad un’idea di libertà superficiale.

Le sue poesie hanno una struttura metrica precisa, ce la può spiegare?

Qui la metrica è quella dell’haiku doppio, quindi due strofe da 5-7-5, o quella delle sue varianti, come il tanka, che è un haiku ampliato da due ulteriori settenari.

Da cosa nasce questa scelta stilistica?

Per un certo periodo, la metrica dello haiku (doppio, soprattutto) ha costituito per me una sorta di rassicurante contenitore. Mi sembrava avesse un ritmo intrinseco che trovavo appagante. Oggi trovo fuorviante definire haiku questi componimenti, poiché dello haiku c’è, appunto, poco: lo schema metrico, come anche la tendenza ad evitare l’uso della prima persona. Ma, in tutto il resto, vi è assolta libertà. E la natura resta sullo sfondo, ha un ruolo assolutamente marginale.

C’è un filo conduttore che unisce i vari componimenti o sono opere singole su uno stesso tema?

I lettori attenti noteranno che l’ultimo testo della silloge, il congedo, si collega in maniera esplicita all’incipit. È da qui che si può capire che il libro comprende il percorso dei miei primi quarant’anni. Non a caso, ho iniziato a scrivere di getto le prime poesie della raccolta solo un paio di giorni dopo il mio compleanno. Non vi è completezza né sistematicità, e neppure linearità temporale. Emergono a sprazzi frammenti di vita delle varie epoche, dall’infanzia al lockdown del 2020, l’«interrotto inverno» in cui ognuno ha perduto qualcuno o qualcosa.  E cerco anche di far posto ad una vasta umanità che mi sta a cuore: i reietti, gli immigrati, i rom, tutti gli imprigionati nel vuoto della solitudine e dell’emarginazione.

Progetti per il futuro?

Nell’immediato vorrei continuare a dedicarmi soprattutto alle mie letture-colloquio con altri autori, perché sto scoprendo una comunità poetica ricca e bellissima, che neppure immaginavo esistesse. Poi vorrei riprendere lo studio dei poeti greci del tardoantico, su cui ho svolto un dottorato anni fa, per portarli a dialogare idealmente con autori del Novecento e oltre. Ma questo è un progetto ancora da strutturare.

Intervista |Salvatore Massimo Fazio ci racconta “Il tornello dei dileggi”

Salvatore Massimo Fazio ci parla del suo libro “Il tornello dei dileggi” e dice: “ho potuto dare libero sfogo al divertimento”

Oggi torno a parlarvi di un romanzo, Il tornello dei dileggi di Salvatore Massimo Fazio, che avete conosciuto tramite una segnalazione (la potete leggere cliccando qui). In realtà, a parlarvene è l’autore stesso attraverso una intervista che gentilmente mi ha concesso e che ci racconta, come nessuno potrebbe fare meglio, i protagonisti e di cosa ruota e ha ispirato la storia.

L’autore, Salvatore Massimo Fazio con il suo libro Il tornello dei dileggi

I lettori del blog già hanno avuto modo di conoscere, tramite una segnalazione, il suo libro, ma prima di scoprire altro, ci dica chi è Salvatore Massimo Fazio.

«Fui sognatore, ancora oggi mi riconosco in tale definizione. I sogni non bisogna tralasciarli mai, e se non ti arrendi in qualche modo si realizzano: se non come li auspicavi, sicuramente migliori o peggiori. In breve mi pento d’esser stato sognatore, d’aver creduto alla buona fede del mondo, in quanto molte cose, non tutte, molte nascono dai loro opposti: dalla melma il fiore, dalla fondazione del PCI, con Bombacci, politicamente parlando, la rivoluzione interiore verso il fascismo; pertanto mi pento ma continuo a sognare.»

L’autore, Salvatore Massimo Fazio

‘Il tornello dei dileggi’ rimanda ad un via vai esistenziale, è così o nella vita c’è linearità?

«Il tornello è un romanzo, se si può definire tale, ciò perché da diverse parti hanno notato un taglio saggistico seppur scorrevole come un romanzo, punta all’esistenziale, partendo dall’esistenzialismo filosofico puro. A tal proposito, la vita è sconcertantemente un pendere su scie esistenzialiste, che non debbono essere viste come una tragedia, tutt’altro: comprendere e vivere il declino o il successo di una posizione, non può che opporsi alla piattezza, intesa come linearità e facilità del percorribile, in cui ci si trova. La linearità è figlia, in ogni caso, di un compromesso: una raccomandazione che mi risolve la questione economica o un’agenzia matrimoniale che mi capitola nella distruzione della libertà facendomi trovare un marito o una moglie, quando non si è stati mai pronti a scommettersi nella relazione di coppia. L’opposto, il diabŏlus, dal quale proviene il sostantivo appena citato, ha la peggiore devastante delle matrici: perché devo congiungermi al mio opposto (nel senso di altro, non di genere), quando pre durante e post divorzio, violenze e abusi di ogni genere verso la donna si consumavano socio-fisico-psicologicamente? Basta pensare al diritto di voto, o alla possibilità di lavorare al pari del maschio? Dunque nell’unione la linearità, che altro non è che il suo opposto. La vita è lineare così da fondare terremoti esistenziali e continui.»

Paolo è il protagonista di quest’opera. Come lo presenterebbe ad un suo amico?

«Per ciò che è, una intersecazione di problematicità, nonostante abbia raggiunto ciò che desiderava, fino all’exploit finale di ogni suo momento, che rimette, nuovamente, tutto in gioco: dunque un umano? Un sogno? Una obiezione ontologica? Condito necessariamente di sberleffo e dileggio.»

Paolo ha a che fare con la filosofia e anche lei. C’è autobiografia in quest’opera?

«C’è molto di biografico, ma poco in Paolo, se non che è tifoso di calcio, di Zeman, del Catania e della Roma. Tra Adriana, Giovanna e Aristide c’è molto di biografico invece.»

E dei personaggi femminili cosa ci può dire?

«Tantissimo, ma una su tutte: ho attinto informazioni da persone che ho conosciuto e visto; nel tempo si sono ripresentate caratteristiche comportamentali del personaggio Adriana ad esempio, costruita su alcuni specifici canoni, in tantissime altre donne, che ovviamente con giochi pirotecnici della penna ho riproiettato in altre. Basti pensare alla descrizione della misoginia, associata ad una donna che lavora per un marchio aziendale enorme, che pur di abbattere le sue paure, distrugge la vita altrui, sempre d’altre donne, motivando cazzi per mazzi, perché manca di sicurezza delle proprie abilità. Mi creda, un fatto reale di circa 13 anni fa che ho fictionizzato, ma che ho vissuto!»

Diverse città sono presenti nella trama, hanno un ruolo o sono solo un luogo come un altro?

«Hanno rigorosamente un ruolo: sono tutte città che ho vissuto, tranne Madrid, che l’ho soltanto visitata e dove ho ribaltato la mia quiete, così come ribalto quella di Giovanna. Da Madrid ho compreso l’errore più grande ad oggi annoverabile tra i miei pentimenti.»

Nell’opera c’è anche una lettura sarcastica della società contemporanea. Come definirebbe la società in cui viviamo?

«Lo scempio: è una società carica di “io, io, io, io”; gli stessi che asseriscono questo conseguimento di io ipertrofico e iperegoico, altro non sono che i peggiori mistificatori del reale. Vendette, canagliate, bigottismi, mascherati da ambienti, luoghi, colori politici a cui aderiscono… pensi e guardi un po’ i culetti accomodati  nel parlamento del nostro Stato; pensi adesso a quanta fatica fanno milioni di italiani per riuscire a mangiare: non è demagogia, è un fatto reale! Frattanto masse di imbecilli litigano scendendo in piazza per onorare simboli di destra e sinistra. Potremmo pur vivere in pace se la smettessimo di mascherarci troppo e di combattere a rischio di giovani, come accadeva tra il ’68 e il ’77: non mi importa nulla di sentire ‘eroi’ di quei tempi, due li ho pure intervistati (pentimento), si uccidevano tra loro ed erano giovani, 17/20 anni: proiettili in testa, bastonate di gruppo contro uno, esito? Il dolore delle madri. Non mi andava di riportare narrazione del genere, pertanto mi sono ingannato volutamente, giocando col sarcasmo, di cui prima mi diceva sul mio romanzo.»

Infine, perché le persone dovrebbero leggere il suo libro?

«Oggi, trascorsi sei mesi esatti dalla prima pubblicazione, posso dire che interessa tanto e anche troppo, tant’è che questo potente ritorno del Fazio, ma narratore in 100 pagine con migliaia di argomenti messi dentro, piuttosto che saggista, non me lo aspettavo e anche perché ho potuto dare libero sfogo al divertimento che sempre non mi riusciva nei libri precedenti, in quanto saggi.»

Intervista | Rita Pacilio presenta ‘Quasi madre’, la sua silloge poetica

Rita Pacilio presenta ‘Quasi madre’, la sua silloge poetica: “Per me la poesia è un atto civile”

Rita Pacilio presenta ‘Quasi madre‘, la sua silloge poetica e la sua poetica. “Per me la poesia è un atto civile responsabile e di fede”, con queste parole di grande impatto la poetessa ci parla del valore profondo che la poesia ha nella sua esistenza.

Prima di parlare dell’opera, conosciamo meglio l’autrice. Chi è Rita Pacilio?

Pratico la poesia e l’arte della parola da molti anni. Ho pubblicato libri di narrativa, saggistica, favole/filastrocche per bambini e numerosi libri di poesie alcuni dei quali sono stati tradotti nel mondo

Qual è il ruolo della poesia nella sua vita?

Per me la poesia è un atto civile, responsabile e di fede. Nella mia vita la poesia rappresenta il legame con il mondo e la realtà.

‘Quasi madre’ indaga l’intimo legame tra madre e figlia. Qual è per lei l’anello imprescindibile di questo legame?

Nel libro “Quasi madre” ho attraversato i vari legami che legano madre e figlia, soprattutto quello sociopsicologico relativo all’anaffettività materna. Secondo me, in un rapporto sano diventa imprescindibile la comunicazione, il reciproco rispetto, la capacità di crescere insieme e di affrontare i cambiamenti connessi alle differenze generazionali.

Come si racconta l’amore tra madre e figlia?

L’amore tra madre e figlia è un processo naturale e per molte donne, sicuramente la maggioranza, il rapporto con la madre ha un grande significato: la madre rappresenta, infatti, il luogo di protezione e di calore, ma è anche il modello dell’universo femminile di riferimento, sia per la bambina che per la ragazza. L’amore è sotteso, è evidente dal comportamento dell’una nei confronti dell’altra: si racconta con gli occhi da cui traspare ogni interiorità e vissuto. Si racconta ai lettori scavando nelle nostre caratteristiche cognitive ed emotive.

Qual è il componimento poetico che la descrive di più?

Ecco la poesia che sento in maniera particolare:

Sono qui di nuovo nella terra straniera

prego la tua scomparsa sorridente
e di luce.

Sono la figlia del vero

per questo non vado via.

Tra te e me si dispera il giorno

all’imbrunire anche la benedizione

ha fretta di spazientirsi.
Ti lamenti e mi fa male il cuore.

Questo libro è autobiografico?

Ogni libro che ho scritto, a prescindere la tematica scelta, porta un segreto intimo, personale.

Qual è il suo modello poetico?

Il mio modello di poesia è l’autenticità del linguaggio, la ricerca di una propria voce, come nella musica, al fine di riuscire a maneggiare le parole e ogni piega del quotidiano con la consapevolezza che le relazioni affettive giocano un ruolo fondamentale nella nostra identificazione con il mondo.

Che consiglio sente di dare ai giovani per avvicinarsi alla poesia?

Ai giovani che si avvicinano alla poesia suggerisco di leggere molto e di ascoltare. Soprattutto, di innamorarsi della bellezza: presenza di luce e mai di ombra e buio.

Intervista | Federica Tronconi racconta il suo romanzo “Game Day”

Federica Tronconi dice: in questo libro “si sentono i suoni, rumori intorno al campo, le sensazioni ed emozioni. Nel romanzo lo sport viene vissuto anche dal lettore”

Game Day è uno sport romance scritto da Federica Tronconi e pubblicato da O.D.E Edizioni. Il romanzo è una storia di vita dove l’amore è l’evoluzione naturale e la pallacanestro uno dei protagonisti principali. A raccontarci il libro, come è nato e a cosa si ispira è l’autrice stessa, in una intervista che vi propongo di seguito, ma prima conosciamo meglio Federica Tronconi.

Dunque, chi è Federica Tronconi e di cosa si occupa?

Lavoro nel mondo della comunicazione da quindici anni. Sono giornalista, copywriter/ghostwriter, Communication Specialist, attività che svolgo come consulente libero professionista in ambito maketing/comunicazione aziendale e editoriale. Amo leggere e da questa passione è nato il progetto culturale online L’ultima riga, da anni punto di riferimento per i lettori che vogliono condividere il piacere della lettura. Ho intervistato, tra gli altri, Ken Follett, Nicholas Sparks, Carlos Ruiz Zafron, Wilbur Smith, Veronica Roth, Lauren Kate, Pierre Lemaitre, Brian Freeman, Frank Ostaseski, Jean-Michel Guenassia. Altra mia passione è lo sport e in particolare la pallacanestro. Infatti, giro i palazzetti dello sport d’Italia per vedere basket (con in borsa sempre un libro).

Federica Tronconi

Prima di scoprire i dettagli sulla genesi del romanzo e dei suoi protagonisti, vediamo in breve la storia:

“La pallacanestro e il giornalismo si incontrano attraverso i due protagonisti principali del libro: Andrea, giocatore professionista, e Stefania, inviata del quotidiano locale. Questi due mondi però fanno fatica a intrecciarsi, si avvicinano scontrandosi e generando nuovo caos, come due pezzi sbagliati di un puzzle. Tutto accade nell’arco della stagione sportiva di Firenze, squadra neopromossa nella serie maggiore nazionale di pallacanestro, e che sorprende tutti per audacia ed entusiasmo. Ci sono esistenze, però, in cui i grandi snodi generano sofferenza. È proprio in questi momenti in cui la Vita prende energia, corpo e, attraverso i percorsi che decidiamo di intraprendere, scriviamo ciò che siamo. Perché il processo che ci porta a prendere una decisione consapevole, ad ogni età, significa cambiamento e crescita”.

Come è nata la storia raccontata in Game day?

Il romanzo nasce in un momento in cui ho provato una forte delusione. Nello sport le persone giocano un ruolo fondamentale. Anni fa ne ho conosciuto alcune che mi hanno lasciato l’amaro in bocca. L’istinto era di voltare le spalle e chiudere la porta ad una mia profonda passione, la pallacanestro. Me lo ricordo bene, era primavera. Mi sono fermata un attimo, mi sono data del tempo. In quel momento ho iniziato a scrivere. Più scrivevo e più capivo che io e il basket avevamo ancora molto da darci. Alla fine della stesura ho preso delle decisioni, percorso nuove strade. E intanto avevo un romanzo fra le mani. Era nato Game Day. 

La protagonista è una giornalista. Si è ispirata al mondo che conosce per costruire il suo personaggio?

Stefania è uno dei personaggi principali della storia ed è nato proprio in funzione di ciò di cui volevo parlare: una storia di vita. Il mondo in cui lavora, il giornalismo, è un ambito che conosco bene, che ho vissuto e vivo tuttora. Non è autobiografico, attenzione, ma ho voluto descrivere delle dinamiche che probabilmente sono ricorrenti. Intrecciandole con i temi che fanno da fil rouge nel romanzo.

Invece, Andrea a chi si ispira?

Andrea è l’atleta per antonomasia, è un personaggio costruito proprio per parlare a tuttotondo della pallacanestro. Non mi sono ispirata a qualcuno in particolare ma un modo di vivere lo sport. Ho descritto una persona che per fare bene la sua professione fa rinunce, sacrifici, scelte, che non sfrutta il suo talento ma ne è consapevole e ogni giorno lavora in campo con impegno per migliorarsi. Andrea racchiude un po’ i valori che animano lo sport.

«L’arbitro ferma il gioco fischiando un fallo a nostro favore. Sistemo i piedi allineandoli perfettamente lungo la linea all’interno della lunetta. Alzo lo sguardo e osservo il canestro. Palleggio più volte sul posto. Ho a disposizione due tiri liberi. I tifosi rimangono in silenzio. Stringo il pallone fra le mani, lo faccio roteare una sola volta. Lo afferro e tiro. Ciuff. Si sente solo il rumore morbido della retina del canestro.»

Lo sport, e la pallacanestro in particolare, che ruolo hanno nell’economia del romanzo e nella società odierna?

La pallacanestro è, di fatto, uno dei personaggi principali del romanzo. Non è solo ambientazione, è proprio in primo piano e tutto ruota attorno allo sport nonostante sia una storia di vita che nasce dall’incontro di due persone. Si sentono i suoni, rumori intorno al campo, le sensazioni ed emozioni. Nel romanzo lo sport viene vissuto anche dal lettore. La seconda parte della domanda da sola potrebbe essere oggetto di un’analisi veramente lunga ed ampia. Riassumo dicendo che uno dei motivi per cui nasce Game Day è proprio avvicinare la pallacanestro alle persone, condividere la passione anche con chi non è propriamente interessato. Per trovare forme nuove e diverse per comunicare lo sport e i suoi valori. 

Qual è il messaggio che vuole trasmettere al lettore con il suo libro?

Ci sono delle scelte nella vita che sono più facili, altre più sofferte. Ecco, ho voluto nel romanzo soffermarmi sulle seconde e capirne la dinamica: la paura che a volte immobilizza e preclude possibilità. Come facciamo, in certi momenti di incertezza, a riconoscere e conciliare il nostro Desiderio, ciò che è meglio per noi? 

Per concludere, perché i lettori dovrebbero leggere Game Day?

Sono convinta che si legge per piacere e non per dovere. Quindi, Game Day può regalare ore piacevoli, può essere una lettura interessante per chi ama lo sport o per chi è appassionato di storie di vita.

Intervista a Silvia Pattarini, autrice di “Biglietto di terza classe”

Biglietto di terza classe parla di speranza e fede, gli elementi che contribuiscono a rendere la trama ancora più avvincente

Qualche giorno fa, vi ho segnalato l’ultimo libro di Silvia Pattarini, “Biglietto di terza classe“. Questo romanzo mi ha molto incuriosita, per questo ho chiesto all’autrice di parlarmene meglio. Sono contenta di condividere con voi il contenuto di questa bella intervista. Ringrazio l’autrice per le parole di apprezzamento per il mio blog e il mio “lavoro”. Grazie anche per le immagini di corredo inviatemi.

Prima di parlare del libro, conosciamo meglio l’autrice. Chi è Silvia Pattarini e cosa fa nella vita?

Oltre ad essere madre di tre adolescenti, mi definisco scrittrice e poetessa della porta accanto. Della porta accanto perché faccio parte del collettivo “Gli scrittori della porta accanto” di cui sono anche socia fondatrice, e come diciamo noi, “non ci piace mettere troppo spazio tra noi e i nostri lettori.” Per questo web magazine culturale, gestisco la rubrica “Caffè letterario”, uno spazio virtuale che offre agli autori emergenti la possibilità di farsi conoscere al pubblico.

Vivo da sempre nella splendida cornice della Valtrebbia, definita da Hemingway “la valle più bella del mondo”. Leggende metropolitane raccontano che il celebre scrittore americano si divertisse a pescare le trote nel fiume Trebbia. Tra leggende e realtà sono anni che questa frase a lui attribuita, si tramanda con un certo orgoglio di generazione in generazione. Come dargli torto? Quando non scrivo o non leggo amo viaggiare e dedicarmi al giardinaggio. Ultimamente sto rivalutando molto le passeggiate a piedi, mi piace uscire di casa e percorrere i miei quattro-cinque chilometri giornalieri: mi aiuta a liberare la mente da tutti gli stress quotidiani, poi mi sento meglio.

Ci racconti brevemente la trama del libro

Lina ha solo vent’anni quando, agli albori del ‘900, emigra in America in cerca di fortuna. Il lungo viaggio per mare sul bastimento, con destinazione New York. Le paure durante la traversata, in terza classe, giù nella stiva, con emigranti che fuggono dalla disperazione alla ricerca di una vita migliore. Il Nuovo Mondo, gli umilianti controlli sull’isola di Ellis, chiamata dai migranti “l’Isola delle lacrime”. La nuova vita da cittadina americana. Le difficoltà, le lotte per i diritti delle donne e contro lo sfruttamento minorile. I pericoli e le avversità da affrontare. Infine, l’amore, ma per questo ci sarà un alto prezzo da pagare.

Il libro parla di emigrati dell’inizio del ‘900. Perché proprio quel periodo storico?

Non è stata una mia scelta a dire il vero, sono stati gli eventi storici a cercare me. L’idea è partita dopo il ritrovamento nel cassetto della nonna, di un vecchio biglietto di terza classe datato 20 agosto 1919.  Un foglietto piegato in quattro, odoroso di muffa e ingiallito dal tempo che riportava a caratteri cubitali la dicitura «LA VELOCE – navigazione italiana a vapore» in cui spiccava la tratta: Italia-America. Riportava il nome di mia nonna e sua sorella scritti a mano in una grafia d’altri tempi. Da quella data mi sono mossa a ritroso, per ricostruire tutta la vicenda legata al viaggio di ritorno in Italia di nonna. Non contenta dei suoi racconti frammentari ho intrapreso una vera e propria ricerca storica, mossa da curiosità personale, e quando mi sono resa conto di possedere informazioni sufficienti sul conto della mia bis nonna, sua madre, ho provato a racchiuderle in un libro. É nata così la prima edizione di Biglietto di terza classe, dato alle stampe nel 2013. Non ancora soddisfatta, in questi ultimi anni ho intrapreso nuove ricerche ancora più approfondite, e a luglio 2021 è uscita la seconda edizione di Biglietto di terza classe, completamente riscritta, rinnovata, implementata con nuovi protagonisti e arricchita con nuove foto d’epoca, scovate nel cassetto della nonna.

Si parla anche di speranza?

Certo, si parla molto di speranza. Il viaggio intrapreso da Lina, la protagonista, è di per sé un viaggio della speranza. Ma la speranza da sola non basta, per ben sperare è necessario anche avere fede. Speranza e fede sono elementi che ricorrono spesso nel romanzo e contribuiscono a rendere la trama ancora più avvincente.

La protagonista ha di fronte a sé una serie di sfide, ma qual è quella più grande?

La vita di Lina è una sfida quotidiana per la sopravvivenza. Ma ritengo che la sfida più grande che la protagonista si trova a fronteggiare sia la forza di ricominciare, nel momento in cui la vita le toglie  l’amore più grande della sua vita. È uno spaccato particolarmente drammatico della vita della protagonista.

In un certo senso, la storia di Lina è molto attuale. Cosa ci insegna oggi?

Oltre al fenomeno sempre drammatico dell’emigrazione, il libro è un bell’espediente narrativo per parlare anche di altri argomenti d’attualità: razzismo, incidenti sul lavoro, sfruttamento sul lavoro, discriminazioni, abusi, lotte di classe per l’emancipazione femminile, mafia e per finire di pandemia. L’insegnamento che ne deriva è che anche se la ruota del tempo gira e i tempi cambiano e si evolvono, spesso gli uomini non cambiano e continuano a commettere gli stessi errori, purtroppo. Solo la speranza che ci può salvare da un ritorno all’oscurantismo del passato, e speranza significa fiducia nelle nuove generazioni.

A chi si è ispirata per raccontare la storia di Lina?

Questa domanda è facile. Lina è una ragazza realmente esistita più di cent’anni fa, era una contadina e viveva qui, nella mia bella Valtrebbia: Lina era la mia bisnonna. Non ho fatto in tempo a conoscerla, ma ho sempre sentito parlare di lei, dai racconti di mia nonna, sua figlia. Per questo motivo ho voluto rendere omaggio alla sua memoria e raccontare un po’ di lei in questo libro, perché credo che sia stata una donna coraggiosa e straordinaria, una persona da cui prendere esempio.

Qual è l’aspetto di Lina che le piace di più e che vorrebbe che il pubblico apprezzasse?

Il suo coraggio e la sua tenacia. Non si piange addosso ma prende in mano la sua vita. Anche nelle avversità affronta il destino a testa alta, con grande dignità.

Per finire, a chi consiglia di leggere il suo libro?

Questo libro è indicato per chi ama i romanzi storici, le storie vere e le biografie. Ho scelto di utilizzare un lessico semplice ma non scontato: può essere proposto come lettura già a partire dalle ultime classi della scuola primaria. Ottimo come lettura integrativa nelle ultime classi della scuola secondaria di primo grado, perché in linea anche col programma di storia delle classi terze. Come target di pubblico indico simpaticamente 10 – 99 anni. Mi congedo ringraziando La penna nel cassetto per questa bella occasione di condivisione dei miei pensieri, un caro saluto anche a tutti i lettori di questo splendido blog.

Paola Maria Liotta ci parla del suo libro “Al Mutar del Vento”

La storia del Minotauro, che all’apparenza non è un mito di metamorfosi, cela però una congerie di elementi che inducono a riflettere su temi e motivi molto attuali, fra tutti la paura del diverso, il dissidio apparenza-realtà, il superamento della paura e del limite”

Dopo la pausa estiva riprendo l’attività del blog con una intervista bellissima alla brava Paola Maria Liotta. Già vi avevo presentato il suo libro “Al mutar del vento. La vera storia di Arianna, Teseo e il Minotauro“, ma ora a raccontarci il libro nei dettagli e il percorso che c’è alle spalle è l’autrice stessa. Io non voglio aggiungere altro e non avrei nemmeno il diritto di farlo, quindi vi invito a leggere ciò che Paola Maria Liotta mi ha raccontato. Buona lettura!

Prima di parlare del libro, conosciamo meglio l’autrice. Chi è Paola Maria Liotta e cosa fa nella vita?

Sono una docente di ruolo di Lettere e Latino e credo fermamente nella scuola come comunità educante. La scuola oggi è più che mai determinante nel motivare, formare e guidare i giovani, nel coltivarne i talenti e promuoverne la consapevolezza di sé anche in relazione agli altri. Sono stata fin da bambina un’accanita lettrice, e lo sono ancora. Direi che sento mio il verso dantesco “ma per seguir virtute e canoscenza” e lo vivo profondamente. E poi ho molti interessi, passioni, curiosità, che cerco di coltivare e di assecondare nella sfera personale, privata. Non mi fermo alla vita professionale e scolastica, ovvero se leggo, scrivo, ascolto musica, viaggio, seguo spettacoli e rappresentazioni, approfondisco un argomento lo faccio prima di tutto per me, Paola.

Di cosa parla il suo libro?

Trae spunto dal mito del Minotauro per delineare una specie di mappatura di tutti i miti a questo correlati, sviluppandoli in una dimensione prima soggettiva, cioè analizzando ciascuna delle figure del mito del Minotauro, nelle sue componenti e nei miti correlati. Queste figure (Pasifae, Europa, Arianna, Naucrate, Asterio, Dedalo, Icaro, Teseo, Minosse) si esprimono in veri e propri monologhi, in cui ognuno di loro porterà alla luce desideri, aspirazioni e fragilità che attengono all’essere umano di ogni tempo. In un secondo momento queste personagge e questi personaggi possono confrontarsi fra loro e superare la conflittualità latente o meno che li blocca nei rispettivi ruoli, riconoscendo le reciproche istanze e la possibilità di coltivare la differenza come fonte di arricchimento e valore aggiunto di ogni relazione. Nella terza parte, infine, mi soffermo sulle figure di Arianna, Teseo e Asterio, sondando le relazioni dei tre in una prospettiva diversa da quella che il mito ha acclarato. Perciò Asterio, detto Il Minotauro, non sarà il mostruoso essere che si sazierà di sacrifici umani, Teseo non sarà l’opportunista traditore in cerca di fama, o meglio il figlio di Egeo interessato a uccidere il Minotauro per liberare Atene dal pesante tributo in vite umane, e soprattutto Arianna non sarà l’eroina abbandonata che si risveglia da sola a Nasso, ma una creatura forte e tenace, capace di scegliere per amore di Asterio un finale differente rispetto a quello classico e, in un secondo momento, di riscrivere il suo destino, scegliendo prima la compagnia di Dioniso e, poi, di rifarsi del tempo perduto con Teseo.

Perché ha scelto la mitologia e l’episodio del Minotauro?

Mi hanno sempre attirato i miti, le leggende e l’epica in generale. I miti di metamorfosi, poi, sono estremamente poetici e avvincenti, anche grazie ai poeti greci e latini che li hanno resi immortali. La storia del Minotauro, che all’apparenza non è un mito di metamorfosi, cela però una congerie di elementi che inducono a riflettere su temi e motivi molto attuali, fra tutti la paura del diverso, il dissidio apparenza-realtà, il superamento della paura e del limite, si veda quel luogo-simbolo che è il labirinto, al quale Borges darà un significato preciso. Per esempio, Dedalo e Icaro dono prima di tutto un padre e un figlio, e poi rispettivamente l’artista e lo scienziato che non si arresta sulla via della conoscenza e un ragazzino desideroso di solcare le vie del cielo e di realizzare così i suoi sogni. Mi sono resa conto che il mito del Minotauro permetteva una pluralità di spunti che ritengo siano molto particolari, infatti hanno talmente stimolato la mia ispirazione che in modo naturale ha proceduto per questi sentieri già percorsi dai classici, ricreandone altri, di nuovi. E poi amo molto Creta, l’antica Grecia, le lunghe rotte che hanno reso il Mediterraneo un meraviglioso teatro di incontri, di commerci e di progresso, mentre oggi è diventato purtroppo teatro di tragedie senza fine.

Qual è il suo personaggio preferito e perché?

Li amo tutti, perché tutti vivono di una loro tensione ideale ed esprimono i tasselli di una visione multifocale e interdipendente di uno stesso modo di intendere la vita, che era poi la visione ciclica del mondo classico. Direi che alla fine è Arianna la personaggia del mio cuore. Perciò ne faccio un’eroina coraggiosa, altruista, intrepida e desiderosa di amare, e non la giovane che piange sconsolata per il tradimento dell’amato. Vero è che ogni personaggio ha fatto vibrare le corde del mio cuore. Per esempio, Asterio, considerato un mostro, è invece dotato di una sensibilità straordinaria, ama la poesia, soffre quando viene deriso dai suoi coetanei. Teseo, l’adolescente che parte in cerca del padre che non ha mai conosciuto, è armato del suo desiderio di spuntarla e poi diventerà il fondatore di Atene. Che cosa chiede, lui, se non ciò che vuole ogni interprete della mia storia, che sottotitolo appunto “La vera storia di Arianna, Teseo e il Minotauro”? Essere riconosciuto, accettato, amato per come è. Arianna, invece, ama indipendentemente da sé. Come la nonna Europa, è capace di donare e di vivere l’amore nella sua essenza pura, in sintonia con le forze della natura. Infatti sia lei che Europa adorano la Grande Madre (A tale proposito non si dimentichi il ruolo delle donne nella società cretese)

Arianna è considerata pari ad un’eroina, cosa ci insegna il suo agire?

Che la bellezza, intesa come bellezza del sentire, del gusto, delle intenzioni, e il coraggio sono le carte migliori da giocare nell’avventura della vita. La sua tenacia la conduce verso Teseo e sarà alla fine l’arma e la sorgente della sua forza, che la sostanzia. Così potrà recuperare quel rapporto che è stato troncato prima del tempo e che, invece, sfiderà i millenni, regalandoci la speranza che i desideri possano realizzarsi, se ci crediamo. L’amore non finisce benché possano mutare le forme, i tempi, i modi in cui si esprime.

Oggi la mitologia è spesso trasformata da esigenze cinematografiche, come vede queste nuove letture?

Molto stimolanti perché significa che il mito, la prima forma di racconto dell’umanità, si pensi all’area orientale, alle saghe sumere, alla stessa Bibbia, al mondo greco, all’epica omerica, insegnano qualcosa di cui abbiamo bisogno. La fantasia tracima nella verità, regalandone bagliori sublimi di un’arte suprema, e la verità può essere molto più efficace se fa della fantasia il suo canale privilegiato per attingere a quel serbatoio di sogni, paure, archetipi che ci tracciano dai primi albori della storia. Ben vengano sempre nuove interpretazioni, che sono il segno della vitalità del mito e della sua grandezza.

Quali sono i personaggi mitologici o le storie del mito, a parte quella da lei narrata, che secondo lei vivono ancora nella nostra cultura?

Tutte le storie antiche insegnano qualcosa, dicono sempre qualcosa di nuovo e si rimandano l’un l’altra, da aree diverse del pianeta, per via di caratteri comuni. Si pensi alla dea indù Sarasvati, creata da Brahma, che ne è padre e marito, e all’analogia che se ne può allacciare con l’Atena Partenope, la dea della sapienza, nata dalla testa di Zeus. Per un Mosé salvato dalle acque, ci saranno due gemelli affidati alle acque del Tevere, e non solo… I miti della Sicilia e di Grecia, il viaggio di Ulisse, la grandezza di Ettore, Patroclo e Achille, la galleria di tipi umani che squadernano, la Chioma di Berenice che eserciterà poi la sua seduzione su Foscolo e molte altre narrazioni ancora sono fonti di piacere e riconoscimento, in chi ne legge, inestinguibili. Mi colpiscono molto  miti e figure femminili quali Aretusa e Pentesilea, che esemplificano aspetti di ieri che sono tuttora. In tutte le loro varianti e costanti.

Perché il lettore dovrebbe leggere il suo libro?

Per lasciarsi assorbire nei meandri di un mondo che ci appartiene, quelle leggende su cui si fonda la visione del cosmo, degli dèi e della vita da cui una civiltà ha sviluppato un patrimonio di sapienza e di pensiero al quale il nostro mondo deve tutto, in tutti i campi del sapere. Solo per citare qualche motivato riferimento, si pensi all’Ellenismo e ai progressi della scienza, prima ancora alla nascita della filosofia, o al nostro alfabeto, che ci è giunto grazie alle colonie della Magna Grecia, e deriva dall’alfabeto fenicio.

Per finire, quali progetti per il futuro?

Il mio segreto è vitale, ed è quello di averne sempre tanti, di sogni e di voglia di fare meglio. “Nulla dies sine linea”, e su quelle linee si canta la storia eterna di un’umanità che ci appartiene. “Nihil humani me alienum puto”.

Intervista | Stefano O. Puracchio ci parla della sua saga “Io e il signor Oz”

Stefano Orlando Puracchio ci parla della sua saga “Io e il Signor Oz”, del progetto che ne è alle spalle e di quelli futuri

Stefano Orlando Puracchio è l’autore della saga “Io e il signor Oz”, ormai giunta al terzo capitolo. Dopo Io e il Signor Oz, e Un maestro particolare, Puracchio torna con un nuovo capitolo, intitolato Caccia al Diablero in cui ritroviamo gli amati personaggi Joe, Jana e Baxter. Ma prima di leggere e recensire il terzo capitolo, conosciamo meglio l’autore e il progetto che è alle spalle di questa saga.

Prima di parlare dei suoi libri, conosciamo meglio l’autore. Chi è Stefano Orlando Puracchio?

Un giornalista, uno scrittore e un divulgatore quarantenne che continuerà a procedere in “direzione ostinata e contraria” finché le forze glielo permetteranno.

Quando è nata la passione per la scrittura?

Il “sacro fuoco” si é acceso quando sono stato nominato vicedirettore del giornalino scolastico alle superiori, circa un quarto di secolo fa.

La serie di “Io e il Signor Oz” parte da un testo letterario importante, perché ha scelto l’opera di L. Frank Baum?

Perché amo il libro: “Il meraviglioso mago di Oz” di Frank Baum. Mi sembrava una bella cosa prendere spunto dal lavoro di Baum per poi sviluppare il mio universo narrativo. Baum, assieme a Salgari, ai Grimm, ad Andersen, a Sapkowski e a molti altri (Camilleri, Manzini, Rowling, Tolkien…) fanno parte del mio background culturale.

Come riassumerebbe l’idea che è alla base della saga?

Vedere come un adulto avrebbe reagito se messo di fronte al regno di Oz e alle sue meraviglie. Sappiamo come ha reagito Dorothy, che é una bambina. Ho provato a immaginare cosa sarebbe potuto succedere a un adulto (tra l’altro uno scapestrato) nelle stesse condizioni. Tuttavia, questo non é stato il fine ma l’inizio di una nuova avventura che ha portato i protagonisti del primo libro della trilogia ad affrontare nuove sfide. Lontano da Oz ma sicuramente arricchiti dall’esperienza vissuta.

La saga è giunta al suo terzo capitolo, cosa accadrà ai protagonisti?

Vivranno felici e contenti. Per ora. Un giorno potrò scrivere “per il resto dei loro giorni”. Ma non é ancora giunto quel momento. “Caccia al diablero”, il terzo libro della trilogia, segna un arrivederci, non un addio.

Qual è il personaggio che più la rappresenta e che sente vicino?

Escludendo i tre protagonisti (Joe, Jana e Baxter), credo che il personaggio che mi rappresenta di più sia Dylan Marlow. Comparso nel secondo libro della saga, Marlow si é ritagliato uno spazio sempre più importante. La storia di Marlow è quella di un riscatto sociale.

Cosa vuole insegnarci la storia che ci racconta?

La trilogia di “Io e il signor Oz” è intrattenimento. Non ha alcuna valenza pedagogica, non pretende di voler insegnare nulla. É intrattenimento per “giovani adulti” e “adulti” dove, come nelle migliori tradizioni, il bene vince sul male. Che poi il “bene” venga rappresentato da una squadra molto eterogenea, questo sí, è voluto. Come diversi romanzieri hanno mostrato le “mutevoli facce del male”, io ho mostrato come il bene non sia sempre rappresentato da cavalieri in scintillante armatura o da fredde e spietate amazzoni.

Perché il lettore dovrebbe leggere il suo libro?

Per staccare il cervello dalle vicissitudini quotidiane e per ritagliarsi degli attimi di quiete con una lettura di disimpegno. Per ricaricare le pile con dell’intrattenimento leggero ma non per questo banale.

Per finire, quali progetti per il futuro?

Si torna a scrivere di musica, si torna a “divulgare duro” e a “divulgare bene” con una monografia sul chitarrista jazz ungherese Gábor Szabó che uscirà, se Dio vuole, all’inizio del 2022. La narrativa verrà accantonata per un po’. Nonostante abbia in mente un soggetto valido per una nuova trilogia, bisogna valutare bene tutti quei fattori che entrano in gioco dopo che un romanzo viene stampato e pubblicato. Faccio riferimento alla promozione e alla distribuzione. É un discorso forse troppo ampio da affrontare in questa sede ma, sintetizzando, é necessario riflettere bene quanto possa essere “conveniente” continuare con la narrativa. Gli spazi di manovra di questo genere letterario si stanno facendo sempre più risicati. Almeno, nel campo della critica musicale e della divulgazione, riesco ancora a muovermi con una certa baldanza. Ribadisco: i problemi, oggigiorno, risiedono nella promozione e nella distribuzione, non nella realizzazione del “prodotto”. La produzione non è mai stata un problema. So che può essere brutto chiamare un’opera letteraria “prodotto” ma non posso dimenticarmi che noi scrittori di libri, noi “utenti dell’alfabeto”, non “campiamo” solo d’aria e di gloria. I nostri sono prodotti. Prodotti che si devono vendere. Non per diventare ricchi e famosi ma per vivere, sopravvivere e, soprattutto, per avere l’opportunità di scrivere nuovi libri.

Intervista | Carlo Gastone ci racconta il suo libro e la sua “storia familiare”

Nell’intervista a Carlo Gastone scopriamo non solo il suo libro ma facciamo un lungo e interessante viaggio nella Russia Imperiale, Teocratica e Patriarcale

Con l’intervista a Carlo Gastone, oggi scopriamo non solo un libro storico, ma anche la storia della famiglia del suo autore. Il libro si intitola Memoires Olga I. Korostovetz (1895-1993) – Diario di un’epoca e  narra la “vita avventurosa della figlia di un diplomatico tsarista di successo, Ivan J. Korostovetz (1862-1932), noto personaggio di una Russia Imperiale, Teocratica e Patriarcale. Olga descrive abitudini e usanze locali anche in presenza di personaggi conosciuti in Paesi: quali la Cina, il Giappone, la Mongolia e la Persia. Ritrae suggestivi affreschi di vita quotidiana in ambienti molto particolari e narra, inoltre, i cambiamenti  epocali a cavallo del ventesimo secolo che vengono da lei vissuti in prima persona e che stanno già ad indicare la fine inevitabile di un periodo storico giunto al suo termine”. Inoltre, molto accattivate il legame che c’è tra la protagonista e l’autore. Scopritelo nell’intervista.

Innanzitutto chi è Carlo Gastone?

Domanda difficile a cui rispondere! Credo che, in generale, per essere onesti con gli altri e sé stessi ci si debba basare su pochi elementi oggettivi e così trarre un profilo dell’individuo. Sono un ex dirigente industriale. Nato a Johannesburg in Sud Africa nel 1950. Provengo da una famiglia internazionale per origine ed elezione. Sono poliglotta. Ho passato una parte della mia infanzia, dove ho frequentato le scuole elementari, all’Avana Cuba e a New York Usa. Per quanto riguarda la genealogia e la storia potrei definirmi un “dilettante curioso”.

Il suo libro nasce da una scoperta, ce la può raccontare?

Si certamente con molto piacere! Il libro nasce dopo la morte di mia madre avvenuta nel gennaio del 2012 ed a seguito del ritrovamento di una vecchia valigia, appartenuta a mia nonna. Questo bagaglio conteneva documenti ed oggetti personali salvati dalla rivoluzione bolscevica nel 1917 quando Olga era venuta in Italia per sposarsi a Roma nel 1916 con un ufficiale della Marina Militare Italiana, Renato Strazzeri, conosciuto a Pechino dove era stato distaccato presso la Legazione d’Italia. Tra i vari certificati, fotografie e manoscritti rinvenuti, alcuni dei quali appartenuti a mio bisnonno, trovai alcuni quaderni che riportavano le sue memorie elaborate in francese.

Ci racconti brevemente il suo Memoires Olga I. Korostovetz (1895-1993)-Diario di un’epoca.

Tecnicamente è un’opera di 216 pagine contenente oltre che il testo anche svariate fotografie di valore storico perché firmate.

Sono racconti veri di una vita avventurosa della figlia di un diplomatico tsarista di successo, Ivan J. Korostovetz (1862-1932), personaggio noto di una Russia Imperiale, Teocratica e Patriarcale. Olga descrive abitudini e usanze locali anche in presenza di personaggi conosciuti in Paesi: quali la Cina, il Giappone, la Mongolia e la Persia. Ritrae suggestivi affreschi di vita quotidiana in ambienti molto particolari.

In queste “Memoires”, Olga racconta la storia della sua gioventù passata in parte in Russia ed in parte all’estero, al seguito del padre sino al 1916. Le memorie coprono il periodo che va dal 1895 al 1970 e sono un fresco condensato di storia vissuta in momenti alquanto difficili e avventurosi per quei tempi.

Cosa ha significato per lei ricostruire i fatti della sua antenata e gli eventi storici a cui il libro fa riferimento.

Dato per scontato il piacere, ha significato l’aver risolto problemi di carattere tecnico emotivo e di rispetto della storia.

Il primo è stato da me risolto adottando la formula della traduzione libera. Questa soluzione ha potuto meglio rappresentare in lingua italiana il significato delle sue affermazioni e il senso che ella avrebbe voluto dare a quanto scritto.

Il secondo ha comportato la verifica storica di quanto riportato nell’elaborato. Il processo di ricerca vero e proprio è iniziato leggendo le memorie stesse e alcuni manoscritti di mio bisnonno russo Ivan J. Korostovetz (1862-1932) diplomatico di successo della Russia Tsarista. Il metodo di ricerca successivamente adottato è stato quello di seguire i consigli di un buon amico che, oltre a essere un professore di fisica, era anche laureato in storia medioevale e membro del Collegio Araldico italiano – l’ing. Guido Guerri dall’Oro – e in seguito mettermi in contatto con i ricercatori accademici che avevano già scritto qualcosa su mio bisnonno. Oggi posso dire di essere in contatto epistolare con tre studiosi di cui uno in Mongolia, un altro in Russia e un terzo in Israele.

Naturalmente questo lungo processo, che è durato ca. 3 anni e che normalmente avrebbe dovuto essere considerato pesante e laborioso, è stato per me molto interessante e gradevole.  

 E di Ivan J. Korostovetz, quale idea si è fatto?

Da un punto di vista professionale, oltre a vari resoconti che si possono trovare nei testi e negli articoli dei vari ricercatori di storia, mi affido a quanto recita il suo epitaffio.

“L’emigrazione russa a Parigi apprezzò il suo contributo alla storia della diplomazia russa quando in un necrologio dedicato alla morte di I.Ya. Korostovets, il 14 gennaio 1933, gli dedicò le seguenti righe: “Un diplomatico russo eccezionale, noto per le sue grandi capacità e la sua brillante conoscenza delle lingue straniere … I.Ya.Korostovets è stato segretario della missione russa a Portsmouth, inviato russo a Pechino, Mongolia e Teheran, dove ha rappresentato gli interessi russi con immancabile abilità e brillantezza” (“Illustrated Russia”. No. 3. 14.01.1933)”.

Personalmente, da ciò che appare nelle memorie di sua figlia, da quanto letto e in generale dalle descrizioni che si possono trovare, penso che fosse una persona di successo, tutta di un pezzo non disponibile ai compromessi, molto colto, con un carattere difficile ma intellettualmente onesto. Per me emotivamente suscita simpatia e amore nonostante il riconosciuto caratteraccio.

Chi era Olga che persona viene fuori dal suo diario?

Anche questa è una domanda difficile a cui rispondere e data da me è sicuramente parziale. Me la sento tuttavia di poter confermare senza alcuna ombra di dubbio o paura di smentita che Olga Ivanovna Korostovetz, persona dolcissima e sempre sorridente malgrado le tragedie e le traversie passate durante tutta la vita  (1 Rivoluzione e 2 Guerre Mondiali), era certamente una donna di una tempra eccezionale sia per la mente che per il fisico essendo riuscita a sopravvivere bene sino alla veneranda età di 98 anni mancando nel suo letto.

Qual è il suo rapporto con la Storia?

Non sono né uno specialista né un profondo conoscitore ma poiché sono molto curioso mi sono appassionato negli ultimi anni quando per forza di cose ho dovuto occuparmene più seriamente. Le cito un esempio concreto che mi ha obbligato a fare piacevolmente delle ricerche perché verrà pubblicato a breve e poi perché si tratta pur sempre della mia famiglia.

“Il libro intitolato Persian Arabesques, che verrà edito dalla Pathos Edizioni Srl di Torino, prevedibilmente entro la fine del primo semestre del 2021, é una pagina inedita della storia della diplomazia russa raccontata dal suo brillante protagonista Ivan J. Korostovetz (1862-1933) così come viene definito dal noto ricercatore russo Pavel N. Dudin (“one of its brightest representatives”). Egli narra in dettaglio gli ultimi eventi della sua carriera diplomatica 1913-1918, prima di dover andare in esilio per non essere imprigionato, riferendosi principalmente al periodo di permanenza in Persia quale Ministro Plenipotenziario Russo (1913-1915) ma non solo. Il testo, oltre ad essere considerato un importante documento storico in quanto classificato quale fonte primaria d’informazione dell’epoca, é di gradevole e interessante lettura in quanto descrive non solo le attività e gli eventi politici del tempo ma anche i costumi e le usanze locali di varia natura. Egli spazia dalla storia del paese alla geografia includendo delle pennellate sulle religioni regionali e sulla letteratura bizantino-persiana.”

Per finire perché il lettore deve leggere il suo libro?

E’ una storia autentica di una giovane donna con idee molto moderne per l’epoca che si svolge perlopiù all’inizio del secolo scorso. Le situazioni in cui si trova e agisce presentano dei profondi parallelismi con le stesse circostanze che solo oggi potremmo catalogare e definire moderne.  A parte l’interesse storico e l’esposizione dei fatti che rende il testo quasi un romanzo, penso che, culturalmente, possa essere di interesse femminile per fare un raffronto oggi con contingenti complicati o quasi al limite dell’accettazione. Penso sia utile sapere e conoscere come certe circostanze dal sapore moderno venivano risolte in certi ambienti all’inizio del secolo scorso. Non mi dilungo oltre per non togliere il piacere della scoperta all’eventuale lettore e non suscitare troppo le ire del mio buon editore.

Intervista | Conosciamo Diego Galdino, il “Nicholas Sparks italiano”

Diego Galdino ha una doppia vita, scrittore e barista. Due mondi opposti ai quali non vuole rinunciare. Conosciamolo meglio attraverso le sue parole

Diego Galdino, autore di Una storia straordinaria” e altri romanzi di successo, è considerato il Nicholas Sparks italiano. Galdino è un autore internazionale, ai primi posti nelle classifiche di Germania, Spagna, Serbia, Polonia e Bulgaria. Il suo ultimo libro è un’intensa e romantica storia d’amore attraverso i cinque sensi, il cinema e una Roma piena di fascino e magia, che rendono questa storia straordinaria. Conosciamo meglio Diego Galdino e la sua doppia vita di scrittore e barista.

Chi è Diego Galdino e cosa ha da raccontare?

Sono un uomo normalissimo che ogni tanto si sente come il protagonista del film Kate & Leopold. Amo i libri, leggerli e scriverli, il cinema, l’arte e fare l’amore. Passo gran parte delle mie giornate dietro al bancone del Bar dove sono nato, nel vero senso della parola, perché a mia madre le si sono rotte le acque proprio su quello stesso bancone. Malgrado il successo letterario nazionale e internazionale non ho alcuna intenzione di smettere di fare il barista, perché mi piace l’idea di dare ai miei lettori sparsi per il mondo, un posto dove potermi trovare sempre.

Come è nata la passione per la scrittura?

Ho iniziato a scrivere per una ragazza a cui ero molto legato. Ho deciso di scrivere una storia d’amore che a differenza della mia finisse bene. Quella storia mi ha fatto capire che forse non ero nato solo per fare i caffè anche se poi il successo letterario nazionale e internazionale è arrivato proprio grazie ad un libro che parlava di un Bar e di un barista.

Come si concilia la letteratura e la vita di tutti i giorni?

La mia è un po’ una doppia vita come quella di Clark Kent e Superman. Mi sveglio alle quattro tutte le mattine, scrivo per un’ora e mezza, poi mi travesto da barista e vado a preparare il caffè ad Antonio l’idraulico. La cosa più bella è quando vengono al bar lettori dei paesi in cui sono stati pubblicati i miei romanzi, per farsi fare una dedica o scattarsi una foto dietro al bancone insieme a me. Vedere le loro facce incredule quando entrano nel bar e mi trovano dietro al bancone a fare i caffè come il protagonista dei miei romanzi, è qualcosa di bello a cui non mi abituerò mai. Lì si rendono conto che è tutto vero, che non mi sono inventato niente, che sono entrati a far parte delle mie storie come i personaggi dei libri che hanno letto. Poi quando gli presento Antonio l’idraulico, Pino il parrucchiere, Luigi il falegname e il tabaccaio cineromano Ale Oh Oh la loro realtà supera la mia fantasia.

Qual è il suo rapporto con il successo e con il lettore?

La verità è che ogni giorno benedico la scrittura per essere entrata nella mia vita, perché grazie a lei ho avuto e ho la possibilità di conoscere posti e persone meravigliose, librai, lettori, che al momento dei saluti diventano degli amici di vecchia data a cui voler bene per sempre. Ho avuto la fortuna di poter presentare i miei romanzi alla Fiera di Francoforte, di Madrid, nel programma televisivo più importante della Polonia, di rappresentare l’Italia al Festival di Letteratura Europea in Germania, e infine sono stato in Bulgaria per un tour di presentazioni nelle città più importanti di questo paese, e a Zurigo alla premiere di un documentario sul caffè in cui ero tra i protagonisti. Soddisfazioni che ti restano dentro e alimentano la tua passione per la scrittura nelle difficoltà di un mondo editoriale italiano che a volte fatichi a comprendere pienamente.

Ci racconti il suo libro: “Una storia straordinaria”

Una storia straordinaria nasce nel momento in cui mi sono chiesto cosa avrei fatto io se mi fosse stata tolta improvvisamente la possibilità di guardare le persone che amo, la mia città, i film. Il libro è la risposta a questa domanda.

Qual è l’aggettivo o gli aggettivi, che userebbe per definire la sua scrittura e i suoi libri?

Zuccherosa (un mix tra zucchero e rosa)

Qual è il suo scrittore di riferimento, se c’è, e perché?

Essere considerato il Nicholas Sparks italiano è una bella responsabilità, stiamo parlando del più importante scrittore di romanzi d’amore al mondo e al momento i numeri e i film tratti dai suoi libri attestano che lui è di un altro pianeta, un maestro per chi come me si cimenta nel genere romantico. Di sicuro entrambi scriviamo storie che cercano di emozionare i lettori, facendo leva sul sentimento più bello ed importante. E poi sicuramente Jane Austen infatti Persuasione è il mio libro della vita.

Progetti futuri?

Ho appena consigliato al mio editore il nuovo romanzo, parla di una principessa coreana e un ragazzo romano proprietario di un negozio di palle di neve, e poi seguirò passo dopo passo la realizzazione del film tratto da Il primo caffè del mattino.

Intervista | Baret Magarian ci racconta ‘Le macchinazioni’

‘Le macchinazioni’ è il nuovo libro di Beret Magarian. A parlarcene è lui stesso in un’intervista, in cui l’autore racconta anche della sua infanzia.

Baret Magarian è un artista a 360°. Regista, scrittore, attore, poeta anglo-armeno che ha appena pubblicato il suo ultimo libro intitolato Le macchinazioni. Nell’intervista ci parla della sua storia personale e lavorativa e della sua ultima opera.

Chi è Baret Magarian? Quali sono le sue origini?

Sono nato a Londra ma la mia formazione è stata essenzialmente armena. I miei genitori mi parlavano in armeno, frequentavo regolarmente la chiesa armena a Kensington, mia madre preparava cibo armeno – davvero delizioso! Mia madre è nata in Siria e si è trasferita a Cipro da bambina quando a suo padre fu offerto il posto di prete armeno di Nicosia. Mio padre è nato a Nicosia dove lavorava nel settore assicurativo. I miei genitori si incontrarono lì ed emigrarono nel Regno Unito a causa della minaccia di un’invasione turca dell’isola, avvenuta in realtà nel 1974. La mia educazione era tipicamente britannica, il che significava morire congelati sui campi da gioco durante il brutale inverno, scrivere righe di detenzione e sadici maestri di scuola che non avrebbero mai trovato un lavoro al giorno d’oggi. Ero uno scolaro molto infelice a cui non piacevano le docce comuni con gli altri ragazzi e che non era bravo nei giochi o nell’esercizio fisico. Di conseguenza, naturalmente, volevo diventare uno scrittore. Tutto ha perfettamente senso.

Ha vissuto per molto tempo all’estero, perché poi ha scelto di venire in Italia?

Per il sole, per il cibo, e per l’umanità delle persone.

Lei è un artista a 360°: musica, recitazione, scrittura. Cosa c’è alla base del suo linguaggio?

Non so se c’è qualcosa di preciso alla base del mio linguaggio, ma posso dire che cerco di evitare il clichè soprattutto, cerco di dare la mia anima senza bugie, senza falsità, anche senza speranza. Io do quello che ho dentro come fosse un regalo, senza volere nulla in cambio, nemmeno un piccolo grazie.

“Le macchinazioni” sono la sua ultima opera, di cosa parla?

È una produzione molto ambiziosa, con una vasta tela di personaggi folli: artisti, ciarlatani, giornalisti, ragazze squillo, un indovino, un milionario ungherese, uno spin doctor estremamente potente che non possiede assolutamente moralità. Il libro ha una forte componente satirica: è una dissezione dei media odierni, e anche un’opere filosofica, in quanto si parla di identità, ego e alter-ego. La trama è questa: Oscar Babel, il protagonista, vuole essere un grande pittore, ma non riesce a cominciare. Chiede al suo amico Daniel Bloch, un famoso romanziere, di aiutarlo e Bloch ha l’idea di scrivere una storia su Oscar, una finzione le cui invenzioni potrebbero galvanizzare Oscar e ispirarlo a prendere il controllo della sua vita. Invece i dettagli inventati iniziano a manifestarsi nella realtà. Alla fine Oscar ottiene un enorme successo, non come pittore, tuttavia, ma come una sorta di messia contemporaneo, grazie in parte allo spin doctor che ho citato, il cui obiettivo è distruggere e creare sistematicamente la verità. Nel frattempo, la vita di Bloch va in rovina. Il libro è una meditazione sull’arte, la fama, i media, l’identità, la sincronicità, il sesso e la follia. Ne sono molto orgoglioso.

Qual è il messaggio che vuole trasmetterci con il suo romanzo?

Non c’è un messaggio direi. Voglio dare al lettore un’esperienza piacevole, sorprendete, bella, cercando di creare una sorta di stregoneria e di portare il lettore in un’altra dimensione. Tutto qui.

Qual è il personaggio, situazione o aspetto del libro che ama particolarmente?

Mi piace il fatto che il libro è molto ambizioso e ampio – credo che nel libro ci sia tutto: amore, dolore, bellezza, orrore, poesia. Ho provato ad esprimere in un’unica opera tutto. Il romanzo è filosofico, metafisico, mistica, satirica. Ci sono scherzi, c’è parodia, farsa, ma c’è anche profondità, emozioni, tenerezza. Il mio compito era includere il mondo nel mio libro.
Perché un lettore dovrebbe leggere il suo libro?
Perché credo che questo libro può offrire un po’ di luce in questi tempi scuri, essendo uno specchio dei nostri sogni e incubi, domande e risposte.

Progetti per il futuro? Cosa ci dobbiamo aspettare da Baret Magarian?

Spero di finire un altro romanzo, ambientato in America e molto diverso da Le Macchinazioni. Ho qualche difficoltà con il finale, ma spero di riuscire a risolverlo. Sto anche scrivendo un altro libro di racconti e ho un’idea per un racconto di fantascienza. Ovviamente sto ancora cercando di promuovere gli altri miei libri, che è una specie di lavoro a tempo pieno. Mi piacerebbe davvero lavorare di più in teatro, forse dirigere qualcosa, come ho fatto in passato. Tutto quello che devo trovare è la pace, che, come tutti sappiamo, non è la cosa più facile da avere in questo momento.

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