Qualche anno fa sono ritornata al Parco di Pinocchio a Collodi, un paesino in provincia di Pistoia, dopo esserci stata in gita scolastica da ragazzina. Il parco ovviamente è legato alle storie del più famoso dei burattini e oggi offre una serie di animazioni ed eventi che attirano piccoli e grandi. Nel corso dell’ultima visita al parco ho acquistato una copia anastatica della prima edizione de Le avventure di Pinocchio, che ho letto in questo mese di maggio per la challenge #inviaggioconunlibro.

La lettura di questo libro mi ha lasciata estremamente entusiasta, poiché non mi aspettavo assolutamente di ritrovare in una favola aspetti che non ci aspetteremmo in un libro per bambini.
Le avventure di Pinoccho. Storia di un burattino è il libro più famoso di Carlo Lorenzini, in arte Carlo Collodi, giornalista e autore di scritti di carattere umoristico. Lorenzini scelse di usare lo pseudonimo “Collodi” in ricordo del paesino in cui il nonno materno aveva lavorato come fattore di una famiglia di marchesi e dove lo stesso scrittore aveva trascorso l’infanzia.

L’opera inizialmente venne pubblicata a puntate sul Giornale per i bambini, diretto da Ferdinando Martini, un supplemento settimanale del quotidiano Il Fanfulla. In principio Collodi non era molto entusiasta di questa operazione, tant’è che la definì «una bambinata» e scrisse al direttore del giornale: «Fanne quello che ti pare; ma, se la stampi, pagamela bene, per farmi venire voglia di seguitarla».
A partire dal 7 luglio 1881, fino al 27 ottobre dello stesso anno, Collodi pubblicò le avventure del suo burattino in otto parti con l’intenzione di chiudere lì la storia, come testimonia la titolazione dell’ultimo capitolo: Continuazione e fine. Tuttavia le proteste dei bambini per la fine di Pinocchio, costrinsero Collodi, sotto le pressioni del direttore, a continuare la vicenda. Ma è questa prima parte ad essere quella più interessante e vediamo perché.
La storia, raccolta in un unico volume nel 1883 con le illustrazioni di Enrico Mazzanti, in base ad alcune indicazioni monetarie presenti nel testo (si parla di zecchini), è ambientata al tempo del Granducato di Toscana e fa riferimento ad alcuni luoghi famosi del nord della Toscana, o alla zona in provincia di Lucca dove c’è una grande quercia, nota come la Quercia delle streghe. Un caso? Direi proprio di no!
La storia di Pinocchio, infatti, è intrisa di elementi legati al mondo della magia, della morte e dell’esoterismo. La storia inizia, come sappiamo, da Mastro Ciliegia con il tocco di legno parlante che passa a Mastro Geppetto, il quale ne realizza un burattino. Pinocchio da subito si mostra capriccioso in una maniera quasi irritante, nonostante Mastro Geppetto sia molto premuroso con quel “figlio” che aveva tanto desiderato. La storia procede più o meno come la conosciamo, ma da bambini ci sono stati celati alcuni aspetti.

Il primo aspetto cruento che incontriamo è la modalità con cui Pinocchio si libera del Grillo parlante, letteralmente gli scaglia contro un martello e lo uccide.
Ma l’aspetto più spaventoso riguarda l’incontro proprio con la Fatina. Pinocchio da subito si mette nei guai e ad un certo punto sta fuggendo dagli assassini. Si trova di notte in una selva oscura e corre alla più non posso. Ad un certo punto, superato un fosso di “acqua lurida”, si trova una casina a cui bussa ripetutamente per chiedere aiuto, fino a quando non «si affacciò alla finestra una bella Bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto», che annuncia spettrale: «In questa casa non c’è nessuno. Sono tutti morti». Pinocchio non comprende e implora la bambina di aprirgli, ma lei risponde con una frase agghiacciante: «Sono morta anch’io». Scopriamo così che la Bambina è uno spirito, una morta che aspetta solo la bara che arrivi a portarla via. Una situazione narrativa macabra degna del romanzo gotico e di E.A. Poe. In quella “nottataccia d’inferno” Pinocchio viene catturato e impiccato a quella Quercia di cui vi parlavo prima: “stirò le gambe e, dato un gran scrollone, rimase lì come intirizzito”.

Quello di Pinocchio è chiaramente un passaggio attraverso il regno dei morti, ma che a differenza di Dante, non ha esito positivo o almeno non ce l’ha nelle prime intenzioni dell’autore. Abbiamo detto, infatti, che Collodi fu costretto a continuare le storie di Pinocchio e in questo suo ritorno, dopo una sorta di resurrezione, il burattino incontrerà di nuovo la Fatina, che ancora non ha l’aspetto della fata che noi conosciamo, ma prima di questo c’è un altro macabro riscontro, perché Pinocchio desidera rincontrarla, trovando solo la sua tomba dove la lapide recita:
QUI GIACE
LA BAMBINA DAI CAPELLI TURCHINI
MORTA DI DOLORE
PER ESSERE STATA ABBANDONATA DAL SUO FRATELLINO PINOCCHIO
Andando avanti nella storia, Pinocchio incontrerà una benefattrice che si rivelerà essere la Fatina, ma che nel frattempo è diventata donna. È come se, metaforicamente, la morte della bambina abbia lasciato il posto alla donna matura, che assume il ruolo di “madre” del burattino. Tanti altri sono gli elementi macabri presenti nella storia: molto cruenta è anche la trasformazione in asino di Pinocchio e degli altri bambini e molto forte è la scena di un orecchio di un altro asino-bambino strappato con i detti.

Tirando le somme, potremmo dire che Pinocchio è molto di più di un semplice racconto per bambini, ma è un vero e proprio processo di iniziazione esoterica e teologica:
I nomi dei personaggi farebbero capo infatti a una precisa terminologia alchemica: Pinocchio sarebbe un composto di pino, albero che nell’ermetismo allude alla ghiandola pineale, e di occhio, ossia la visione associata a tale ghiandola; Mangiafuoco corrisponderebbe a Mammona, che nei Vangeli è equiparato al denaro e più propriamente al potere della mondanità, mentre in Lucignolo è rinvenibile Lucifero che, come il Gatto e la Volpe, cioè le passioni del corpo, distraggono Pinocchio dalla scuola ossia dalla possibilità di accedere alla Conoscenza; nella Fata Turchina si esprimerebbe l’archetipo della Grande Madre, assimilabile a Iside ma anche alla Madonna cristiana, che aiuta infine Pinocchio a ricongiungersi col Padre. Anche le singole vicende della storia conterrebbero chiavi interpretative attinte dal filone spirituale della classicità letteraria: ad esempio la trasformazione in asino, che rappresenta la caduta nell’animalità, e ricalca l’analogo episodio presente nelle Metamorfosi e ne L’Asino; o Pinocchio fagocitato nel ventre del Pesce-cane, che ricorda il racconto della Bibbia in cui Giona viene inghiottito da una balena, all’interno della quale giunge a ravvedersi e a ritrovare lo spirito di obbedienza a Dio. (per confronto e approfondimenti leggete la pagina Wikipedia dedicata al libro di Collodi, dove è presente un ottimo apparato bibliografico).
Non ve lo aspettavate? Nemmeno io, ma una cosa è certa, Collodi e la sua opera sono esattamente figlie del loro tempo! E se vi piacciono i libri illustrati e questo Pinocchio un pochino inusuale, vi invito a leggere e ammirare il Pinocchio di Stefano Bessoni, ed. Logos.