Feles in Fabula, ovvero la nascita di Roma in rima felina a fine settembre in Libreria per Edizioni Espera
Novità in arrivo per Edizioni Espera, che con FELES IN FABULA. Romae fabula a fele narrata, inaugura una nuova collana.
Comunicato stampa
La ripartenza può nascere da nuove storie che crescono. E così per i tipi di Edizioni Espera arriva a fine settembre in tutte le librerie il libro di Vincenzo Valentino FELES IN FABULA. Romae fabula a fele narrata. Il libro, che inaugura una nuova collana “Storia&Storie”, racconta in rima le origini di Roma, con un narratore davvero speciale… il gatto Cicerone!
Questa storia, arricchita dalle illustrazioni di Loredana Palamà, si discosta dai binari della tradizione: sulle origini di Roma accende un altro lume. Rispetto al già noto è una variazione, e, come in un film in costume, porta il lettore in un’altra dimensione. Il gatto Cicerone, nell’antico rione del Parione, risolve il mistero della fondazione, grazie a una brillante intuizione. A partire da un vecchio taccuino e da antichi motti latini di scrittura felina, con l’aiuto di un’archeologa tedesca, i protagonisti si mettono alla ricerca dell’antica scultura della gatta capitolina… In effetti, se di leggenda si tratta perché sì alla lupa e no alla gatta?
Gli Autori
Vincenzo Valentino è nato a Casagiove (CE) nel 1962, all’età di 8 anni si è trasferito con i genitori a Roma, dove vive tutt’ora con moglie, prole e due gatti. Si è laureato in Lettere alla Sapienza Università di Roma con una tesi in Storia e Critica del Cinema. Ha scritto saggi di argomento cinematografico e recensioni filmiche. Dal 1994 lavora come docente di materie letterarie e linguaggio audiovisivo nella scuola superiore. Nel 2009 ha pubblicato il racconto per ragazzi La Repubblica dei gatti; nel 2014 ha conseguito il dottorato di ricerca in italianistica presso l’Università di Roma Tor Vergata.
Loredana Palamà è nata a Lecce nel 1963, di adozione romana, per diversi anni ha vissuto in Germania. Dal liceo artistico, all’Accademia di Belle Arti fino ai corsi di tecniche di incisione il disegno, la pittura e la ceramica sono sempre stati la sua passione. Inventare un mondo e renderlo visibile in tutte le tecniche possibili le ha permesso di creare figure ludiche, che rappresentano spesso bambini, animali, soprattutto gatti ed elementi della natura. Adora i colori, ma le basta anche il bianco e nero, essenziale ed espressivo. Lavora illustrando, dipingendo e realizzando laboratori creativi per bambini.
Aveva poco più di vent’anni quando Matilde Serao pubblicò il suo quarto libro Leggende napoletane. Il volumetto è la raccolta di circa quindici leggende che fanno parte di quello straordinario sostrato culturale che rende unica Napoli e la sua storia.
Matilde Serao
Ad introdurre ogni singolo capitolo troviamo un breve scritto che la Serao utilizza per rivolgersi al lettore o per introdurre la narrazione e che dovrebbe incuriosire il lettore, curiosità che però non viene poi soddisfatta del tutto. Lo stile della Serao risulta in questo scritto un po’ noioso e banale, forse dovuto alla giovane età e quindi a una non piena maturità stilistica. In esso si intravede ancora una certa tendenza romantica, che non ancora ha niente a che vedere con quel verismo che le è stato attribuito per Il ventre di Napoli o per la sua attività giornalistica. La Serao, in questa sua raccolta di leggende, ci racconta di Virgilio mago, del Munaciello, di fantasmi e di tante altre storielle legate a palazzi, personaggi o luoghi di Napoli.
La fontana di Partenope ubicata P.za Sannazzaro a Napoli
Nonostante l’autrice si sforzi di raccontare, non riesce a nostro avviso a raggiungere i livelli di una narrazione come potrebbe essere quella di Benedetto Croce, il quale in maniera alquanto sublime raccolse un volume prezioso di storie e leggende napoletane. Un lavoro, quello di Croce, durato una vita intera e realizzato da chi conosceva profondamente Napoli e ne assaporava odori e sapori, atmosfere e sfumature, possiamo dire, in maniera verace. La Serao sa vedere Napoli, a lei è attribuita una nuova capacità di analisi, quasi psicologica, ma le manca la napoletanità. Non dimentichiamo le origini greche della scrittrice, la quale giunse a Napoli nel 1861. In Leggende napoletane la Serao è frettolosa, quasi frammentaria; è come se si limitasse ad appuntare una storia ascoltata senza volerne comprendere l’identità vera e sostanziale. È spesso scettica e distaccata nella narrazione sia qui che in altre opere; è vero che si tratta di vicende fantastiche, ma esse fanno parte della storia di una città che vive al limite tra reale e fantastico e per essere così com’è ha bisogno di credere che ‘O Munaciello esiste o che da qualche parte, nelle fondamenta di Castel dell’Ovo, ci sia un uovo nascosto da Virgilio. Napoli ha la sua mitologia che va rispettata e compresa, così come i Greci credevano ai loro miti.
Castel Dell’Ovo – Napoli
Con Il ventre di Napoli, la Serao ritorna a descrivere Napoli, a parlare dei vicoli, della quotidianità, di quel ventre in cui il popolo partenopeo trova alimento. Nonostante la critica ne parli bene, non possono non sfuggirci alcuni passaggi in cui – visto il carattere della scrittrice che Scarfoglio definì “donna tanto convenzionale e pettegola e falsa tra la gente e tanto semplice, tanto affettuosa, tanto schietta nell’intimità, tanto vanitosa con gli altri e tanto umile meco, tanto brutta nella vita comune e tanto bella nei momenti dell’amore, tanto incorreggibile e arruffona e tanto docile agli insegnamenti” – emerge una certa tendenza della Serao a porre giudizi nelle sue descrizioni:
Appena ha due soldi, il popolo napoletano compra un piatto di maccheroni cotti e conditi. (Il Ventre di Napoli)
Risulta evidente lo stereotipo tipico del napoletano o del pulcinella famelico. Questo aspetto forse, ci azzardiamo a dire, trascura una condizione di povertà della popolazione non solo napoletana. Infatti Antonio Pascale, nella sua introduzione all’opera dice che la Serao non fa altro che descrivere – inconsapevolmente forse – la condizione di gran parte del popolo meridionale e non solo.
La superstizione del popolo napoletano – oh, povera gente che è vissuta così male e con tanta bonarietà, che muore in un modo così miserando, con tanta rassegnazione! – la superstizione di questo popolo ha fatto una dolorosa impressione a tutti! (Il Ventre di Napoli)
Colpisce molto l’espressione “dolorosa impressione”, come se il popolo napoletano vivesse in una condizione di non ritorno… Ritornano in mente le parole di Pier Paolo Pasolini, il quale però parla del popolo napoletano in termini ben diversi:
Benchè sia ormai un po’ di tempo che non vengo a Napoli, i napoletani rappresentano per me una categoria di persone che mi sono, appunto, in concreto, e per di più ideologicamente, simpatiche. Essi infatti non sono cambiati. Sono rimasti gli stessi napoletani di tutta la storia. E questo per me è molto importante (…). Ma cosa vuoi farci, preferisco la povertà dei napoletani al benessere della repubblica italiana, preferisco l’ignoranza dei napoletani alle scuole della repubblica italiana, preferisco le scenette, sia pure un po’ naturalistiche, cui si può ancora assistere nei bassi napoletani, alle scenette della televisione della repubblica italiana. (Gennariello)
Insomma la Serao guarda il ventre di Napoli, lo descrive, ma con distacco, come se stesse su un’altura e attraverso il filtro di un binocolo. Non riesce a lasciarsi andare, si ferma in un angolo ad osservare uno spettacolo che poi trascrive su carta. E questo forse è il motivo che la avvicina al verismo, ma risulta lontana mille miglia dal verismo autentico di Verga, Capuana, De Roberto. Questo sarà il motivo per cui la Serao è caduta nel dimenticatoio. Carducci disse di lei come “la più forte prosatrice d’Italia”, ma ciò non bastò a offuscare il giudizio di Scarfoglio che, nonostante il legame che i due ebbero, non la giudicò una scrittrice di particolare spessore.
Un pomeriggio, una passeggiata in un parco. Un percorso iniziatico tra sculture, simbologie e misteriose iscrizioni.
Biocca tartarea
Parlo di Bomarzo e del suo Parco dei Mostri – voluto da Vicino Orsini – le cui sculture giacciono silenziose e in perenne attesa.
Sfinge
Un luogo che chiama al mistero o che forse è solo la manifestazione del divertimento del signore del luogo che, anticlericale e scettico, concepisce uno spazio a metà strada tra il percorso iniziatico e lo svago.
Il Sacro Bosco, come è meglio conosciuto, custodisce grandi sculture, che il tempo ha reso un po’ decadenti e malinconiche. Procedendo tra i viali, si incontrano, tra le altre, le Sfingi, Iside sul Basilisco, Venere, Nettuno, il Drago con Fiere, Elefante, la Bocca tartarea, la Casa pendente, nella quale è difficile mantenersi in piedi.
Elefante
Elefante
Nettuno
Casa pendente
Poi c’è il Teatro.
Teatro
Proprio quest’ultimo è considerato un’opera bizzarra, traduzione in pietra dell’Idea del teatro di Giulio Camillo Delminio, libro esoterico in cui era rivelato il mistero del mondo e del cosmo. Buona passeggiata!
Quando trascorro una giornata a Napoli vado sempre alla scoperta di una leggenda. L’ultima volta che sono andata, di luoghi leggendari ne ho visitati più di uno.
Iniziamo con la presunta tomba del conte Dracula. Essa si trova nel chiostro del Complesso monumentale di Santa Maria la Nova (www.santamarialanova.info).
Non sto qui a descrivervi la storia e la ricostruzione fatta dagli studiosi, anche perché credo non sia fondamentale sapere se si tratta effettivamente di Dracula o meno, ma degno di nota sicuramente è tutto il complesso che ospita anche una mostra d’arte religiosa contemporanea. Bella la chiesa e il Chiostro, anche se a Napoli ce ne sono di più belli.
Tolta la curiosità della presunta tomba del conte morto a Napoli, si prosegue per un’altra leggenda con una piccola deviazione nella Chiesa di San Domenico Maggiore e a Port’Alba per l’acquisto di qualche libro a buon prezzo.
Lungo il cammino l’attenzione è catturata da alcune cose che di Napoli mi piacciono tanto. Parlo della pizza a portafoglio, di un negozio di antiquariato che espone sempre delle cose estremamente interessanti, ma che le mie esigue finanze non permettono di portare a casa, e della musica che – mentre ti rechi a Port’Alba – senti provenire dal vicino Conservatorio di San Pietro a Majella.
Dopo la pausa pranzo, l’obiettivo successivo è la Chiesa di Sant’Eligio, un antico ospedale, a cui è legata una leggenda di decapitazioni narrata anche da Benedetto Croce.
Esternamente, guardando l’orologio, è possibile notare delle teste scolpite che la leggenda vuole rappresentino i malcapitati protagonisti di una storia di amore e vendette varie.
Esse raffigurerebbero Irene Malarbi e il duca Antonello Caracciolo. Benedetto Croce narra che il duca Caracciolo, uomo senza scrupoli, si innamorò della giovane Irene, senza ottenerne alcuna corrispondenza. Lui allora fece condannare, senza colpa, il padre di lei chiedendo, in cambio della liberazione, la resa della fanciulla. Il padre della sventurata fu effettivamente liberato, ma la famiglia di lei chiese giustizia a Isabella di Trastamara, figlia di Ferdinando II d’Aragona, ottenendo come condanna lo sposalizio forzato della giovane da parte del Caracciolo, ma anche la sua successiva morte per decapitazione.
A due passi da questa chiesa c’è la piazza del Mercato, la attraverso per andare in una di quelle che reputo tra le più belle chiese di Napoli: la Chiesa del Carmine.
In questa chiesa vi è ricordato un evento che è considerato miracoloso e legato al Crocifisso custodito sulla tribuna.
Nell’anno 1439, mentre che Alfonso Rè d’Aragona teneva il campo nelle palude di Napoli assediando la medesima città, dispose per battere la Città le sue bombarde, tra le quali ve n’era una grossissima chiamata la Messinese (…); avvenne, che un Giovedì alli 17, d’Ottobre del medesimo anno ad ora di Terza non altrimente, che far soleva comandò il fratello del medesimo Rè, chiamato l’Infante, che quella bombarda Messinese drizzata fusse al dritto contro la Tribuna di detta Chiesa, tal che la medesima bombarda tormentò le mura della Città e della predetta Tribuna, e le ruinò; facendo cascar per terra la corona di spine della sacra Imagine del detto Crocifisso, e molti de’suoi capelli.
All’hora l’istessa devotissima Imagine, acciocchè non permettesse l’Onnipotente Iddio, che offesa rimanesse, miracolosamente chinò il capo, e la rotonda pietra della bombarda, sì come chiaramente si vede, rimase finendo il suo impetuoso corso sopra la porta della Chiesa, rompendo il muro, e fermandosi sopra un certo tavolato. (P. Filocalo Caputo, Il Monte Carmelo)
Termina la giornata napoletana con una passeggiata verso il treno che mi riporta a casa. Se vi trovate a Napoli, non vi fermate al solito clichè fatto di pizza, mandolino, scugnizzi, ecc… Napoli è ben altro. Bisogna conoscerla per poterne dare un giudizio.
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