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La dura vita nelle fattorie del Midwest raccontata da Hamlin Garland

La Befana, come dice un detto, è passata lasciando i suoi doni, ma prendendo e portando via tutte le feste. Di sicuro non ha portato con sé la voglia di libri e di buone letture.

Per questo motivo riprendo la mia attività preferita parlandovi di un gran bel libro: Racconti dal Mississippi di Hamlin Garland, pubblicato da D editore.

Questo libro ci parla, come un’istantanea appena scattata, della vita nelle fattorie del Midwest americano della seconda metà del XIX secolo.

Garland trascorse gran parte della sua giovinezza nelle fattorie del Midwest, stabilendosi poi a Boston nel 1884 per intraprendere una carriera da scrittore. Il suo primo successo lo conseguì nel 1891 con la pubblicazione di Main-Traveled Roads, una raccolta di racconti ispirati al tempo in cui visse in campagna. Nel 1898 Garland raggiunse lo Yukon per seguire le vicende della corsa all’oro del Klondike che gli ispirarono la scrittura di The Trail of the Gold Seekers, pubblicato l’anno successivo. In seguito, Garland visse per un certo tempo in una fattoria sita tra Osage e St. Ansgar nello Iowa. Gran parte dei suoi scritti si basano sulle vicende di questo periodo della sua vita. Nel 1917 pubblicò la sua autobiografia dal titolo A Son of the Middle Border. Il successo ottenuto dal libro lo spinse a scrivere il seguito: A Daughter of the Middle Border, con cui vinse nel 1922 il Premio Pulitzer per la biografia e autobiografia. Garland morì all’età di 79 anni.

È chiaro che i suoi libri sono lo specchio di ciò che ha visto, sentito e vissuto sulla propria pelle.

Nella prefazione a Racconti dal Mississippi, datata 1 marzo 1892, Garland scrive:

In questi libri c’è la testimonianza delle privazioni e delle sofferenze di uomini e donne che conquistarono le terre selvagge del Medio West e prepararono la via all’attuale età dell’oro e dell’agricoltura.

Ed effettivamente è così! Il libro è composto da sei racconti che, seppur con personaggi e storie differenti, hanno tutti una matrice comune. Pagina dopo pagina, con un ipnotico realismo, perché il lettore sembra essere nel racconto, accanto ai personaggi, ci si rende conto che la vera protagonista di queste storie è la povertà. La povertà non viene mai da sola. Infatti ha compagne di viaggio non meno spietate: sofferenza, delusione, disillusione, perdita di speranza, rabbia, sconfitta. I protagonisti lavorano tutto il giorno per non ritrovarsi se non un pugno di mosche, mangiano fatica e polvere senza avere la prospettiva di un futuro migliore.

La copertina del libro è stata disegnata da Martina Marzadori.

In questo quadro si inserisce la scrittura di Garland. Con pennellate ben nette, che hanno le sfumature di una placida protesta, l’autore mostra al lettore, assopito dagli agi, un mondo desolato e desolante. Per i suoi protagonisti, nei quali si possono ritrovare le storie di migliaia di anonime persone, non c’è riscatto, non c’è mai miglioramento, la cui esistenza è destinata a rimanere miserabile. Ci sembra di sentire, mentre leggiamo, il sapore della polvere, di sentire il dolore nelle ossa e, più di tutto, la rassegnazione di uomini e donne che lavorano solo per non morire.

Racconti dal Mississippi è un libro importante, che più di ogni manuale, può farci scoprire uno spaccato di storia americana che tanti film hanno forse troppo idealizzato. Non ci resta che aspettare la pubblicazione di Racconti dal Dakota. Ho avuto il privilegio di leggere in anteprima uno dei racconti, che ci preannuncia un altro capolavoro!

La storia editoriale di F. Scott Fitzgerald in Italia nel saggio di Antonio Merola

Nasce oggi una nuova sezione del blog dedicata ai saggi. In questo spazio prenderanno posto recensioni di saggi e libri di varia natura: studi storici o di carattere letterario, biografie, ma anche libri di ambito sociologico e antropologico.

Sono felice di partire con un testo dedicato ad uno scrittore americano: F. Scott Fitzgerald.

Il saggio in questione si intitola F. Scott Fitzgerald e l’Italia (Giuliano Landolfi Editore, 2018) ed è stato scritto da Antonio Merola.

Si compone di tre sezioni in cui l’autore si sofferma sulla vicenda interpretativa di Fitzgerald in Italia. Lo scrittore americano, autore de Il Grande Gatsby, non ebbe grande fortuna di critica in Italia. Ad occuparsene furono grandi firme e personalità della cultura italiana come Elio Vittorini, Cesare Pavese, Eugenio Montale, Fernanda Pivano per citarne solo alcuni, ma la vicenda editoriale di Fitzgerald in Italia è molto complessa e tra errori o sviste di traduzione e interpretazione non gli fu attribuito da subito il giusto merito.

F. Scott Fitzgerald

Antonio Merola, minuziosamente analizza e ricostruisce il percorso interpretativo di uno scrittore importante per la cultura americana, ma che viene definito, parafrasando Elio Vittorini, eccentrico e frivolo.

Lo stesso Vittorini sembra quasi totalmente disinteressato a Fitzgerald. Sarà Fernanda Pivano, ci informa sempre Merola, a leggerlo in maniera totalmente differente. La Pivano sarà, infatti, la prima persona a comprendere la profondità dell’opera dello scrittore americano, che non può essere letta ignorando il dato biografico. Infatti non va ignorata, ad esempio, la moglie Zelda, la quale influenzerà in maniera sostanziosa la produzione artistica dello scrittore.

Zelda e F. Scott Fitzgerald

L’opera di Fitzgerald appare così non solo come “lo specchio di una società, ma come il ritratto di un uomo che si muove in una determinata società”.

Con questo studio Antonio Merola ci fornisce un quadro preciso e dettagliato della fortuna (o forse dovremmo dire “sfortuna”) che Fitzgerald ebbe in Italia, ma allo stesso tempo ci fornisce uno studio importante per capire anche come si muoveva la critica e l’editoria italiana negli anni del regime fascista, per nulla favorevole alla pubblicazione e divulgazione di opere d’oltre oceano.

Grazie ad un ricco apparato bibliografico, alle note di approfondimento e alle citazioni testuali, il lettore segue passo dopo passo la storia editoriale in Italia di uno scrittore che forse ha saputo più di tutti evidenziare gli eccessi di una generazione figlia del denaro e del vizio.