Si dice che ogni essere umano nel corso della sua vita debba vivere dei momenti di profondo buio. Dei momenti di grande dolore, di infinita solitudine. Dei momenti in cui l’anima sembra perdere ogni traccia d’ossigeno, in cui manca il respiro, in cui il cuore lacerato non riesce neanche a trovare la forza di gridare, perché il dolore ha eliminato anche quello.
Così si apre il romanzo d’esordio di Alexandre Zappalà L’ultimo fiore che ho in me, edito da Epsil.
Ho scoperto questo romanzo grazie all’autore stesso che mi ha gentilmente inviato in lettura i primi due capitoli. Leggendoli veniamo presi dalla curiosità. La vicenda si sviluppa per archi temporali e luoghi diversi. Dal 24 ottobre 2012 facciamo un salto di due anni nel passato viaggiando tra Parigi, Mosca e poi Roma. Conosciamo così quelli che sono i personaggi principali: Elisabeth e Mark.
Elisabeth ha 27 anni e deve “fare i conti con l’inferno dei dolori più grandi: la morte”. Mark invece ha 32 anni, insegna letteratura in un liceo parigino, è appassionato di poesia e di libri con un passato di abbandono, che però non ha scalfito il suo buon carattere. I due si conoscono in una libreria e da lì che inizia un percorso coinvolgente per entrambi. Oltre ai due protagonisti, l’autore ci presenta anche altri personaggi che ruotano nella vicenda, la cui presenza non è affatto casuale. Conosciamo allora Helene, una adolescente che vive a Mosca perché il padre lavora lì come diplomatico, e un uomo misterioso che la salva da un tentativo di stupro ad opera di giovani balordi. Insomma, l’intreccio si fa interessante e la struttura del racconto, con lo stile dell’autore, è sicuramente accattivante e la struttura costruita su diversi passaggi di luogo e vicende parallele tiene il lettore incollato alla scrittura per conoscere l’esito della vicenda, che si configura come un percorso di sofferenza, con la morte che incombe e un destino che sembra prendersi gioco della vita stessa. Volete sapere come andrà a finire tra Mark ed Elisabeth? Beh, acquistate il libro e lo scoprirete, se non altro per incoraggiare il lavoro di un esordiente che ama il proprio lavoro e crede fortemente nella potenza della scrittura.
