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Campania tutta da scoprire: mostre e luoghi da visitare

L’estate è il tempo delle ferie, dei viaggi e del relax. Tutto rallenta e si cerca di trascorrere le giornate nell’ozio.

I più fortunati riescono a organizzare un viaggio all’estero; molti scelgono come meta le spiagge italiane che tutti ci invidiano. Negli ultimi anni sembra essere aumentato il turismo verso i luoghi d’arte e la Campania, senza togliere niente a nessuno, vanta delle eccellenze. In questo articolo, un po’ diverso dal solito, vorrei suggerire a chi deciderà di venire in Campania, o a chi vuole fare anche solo una gita di un giorno, alcuni luoghi imperdibili.

Partiamo proprio da Napoli!

Napoli – Piazza Plebiscito

Sarebbe inutile dirvi cosa vedere a Napoli; chi non ne conosce, almeno per sentito dire, le bellezze artistiche e le bontà gastronomiche!
Basta passeggiare tra le sue vie per vedere in ogni angolo tracce di un passato storico-artistico di inestimabile valore.

Non voglio parlarvi di nessuna chiesa o edificio, ma vi suggerisco di non perdere la mostra inaugurata a Palazzo Zevallos con il celebre dipinto di Leonardo Testa di donna, detta “La Scapigliata”.

La Scapigliata di Leonardo da Vinci – particolare

La nota ufficiale della mostra dice che si tratta di un eccezionale prestito concesso dal Complesso monumentale della Pilotta di Parma in occasione della rassegna “L’ospite illustre” che anticipa le celebrazioni per i 500 anni dalla morte di Leonardo previste nel 2019. La mostra (cliccate qui per maggiori info) è aperta fino 2 settembre 2018.

Quando si pensa a Napoli è facile associarla a Pompei ed Ercolano, forse i siti archeologici più famosi d’Italia. Ma prima di andare sui luoghi vi consiglio di visitare la mostra al Museo Archeologico Nazionale di Napoli dal titolo Ercolano e Pompei. Visioni di una scoperta.

Pompei – Il Teatro

Si tratta di un percorso nelle suggestioni che le città vesuviane, sepolte dall’eruzione del 79 d.C. e svelate dagli scavi del XVIII secolo, hanno esercitato su interpreti d’eccezione, vissuti tra il Settecento e gli inizi del Novecento. Il percorso espositivo è una narrazione a ritroso nel tempo, le cui tappe non sono soltanto segnate da preziosi reperti archeologici, ma anche da oltre duecento opere esposte tra cui l’anello di re Carlo di Borbone, grande sostenitore dei primi scavi, e il taccuino con disegni acquerellati e annotazioni dell’archeologo inglese William Gell. La mostra durerà fino al 30 settembre 2018.

 

Cratere del Vesuvio

Amate le escursioni? Imperdibile è la visita al Parco Nazionale del Vesuvio, che vi propone ben 9 sentieri per una lunghezza complessiva di 54 Km di camminamento in cui scoprire un paesaggio dalla vista mozzafiato.

Se invece siete a Caserta per visitare la bellissima Reggia e partecipare magari al contest fotografico organizzato dal Network delle Residenze Reali Europee che è in essere fino al 23 agosto su Instagram condividendo le foto scattate usando gli Hastag #allareggiaconNoi e #europeanroyalpalaces, allungatevi fino alla vicina Santa Maria Capua Vetere, perché al Museo archeologico dell’antica Capua fino al 28 Ottobre 2018 c’è la mostra Annibale a Capua, dedicata alla figura del grande condottiero cartaginese, alla sua grandiosa impresa in Italia e, in particolare, alla sua permanenza a Capua nel III secolo a.C..

Particolare di una delle Basiliche di Cimitile

Per il turismo religioso c’è solo l’imbarazzo della scelta, ma vi segnalo due siti in particolare. Il primo, forse non molto conosciuto, è il complesso delle quattro Basiliche Paleocristiane di Cimitile. Una testimonianza unica che vi lascerà stupiti.

Il secondo è la maestosa Certosa di Padula (Salerno), che con i suoi chiostri, le cucine e la chiesa vi lasceranno senza fiato.

Particolare dell’interno della Certosa di Padula

Avrei tanti e tantissimi siti e luoghi da segnalarvi in Campania, ma per questa volta penso di aver detto già molto.

Buon viaggio!

La Cantata dei Pastori, una storia antica

Non c’è Natale a Napoli senza La Cantata dei Pastori!

A Dirlo è Peppe Barra, il maggiore rappresentante oggi del teatro e della cultura popolare napoletana. La Cantata dei Pastori è una delle più sentite manifestazioni napoletane collegate al Natale. Si tratta di una sacra rappresentazione che ritualmente, e da secoli, viene eseguita a Napoli dal 24 dicembre al 6 gennaio nei teatri cittadini. Andare a vedere la Cantata rappresenta un appuntamento imperdibile per il popolo napoletano e non solo.

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Scena finale de La Cantata dei Pastori

La Cantata è un vero e proprio rito secolare, una Messa extra-liturgica, che affonda le sue radici nell’immaginario barocco, misterioso forziere-groviglio di miti, di splendori, di fantasmi, ricorrenti ciclicamente in un presente metastorico, in cui convivevano le rassicuranti parole del passato e quelle contaminate dalle ansie di un presente precario e angoscioso. (Roberto De Simone)

Per esorcizzare un presente precario e affrontare un futuro nebuloso, ecco che arrivano puntuali i personaggi della Cantata, le cui storie si confondono e si intrecciano con quelle della Divina Famiglia, che compie il proprio viaggio verso Betlemme. La Cantata è la rappresentazione della miseria, dell’arte di arrangiarsi e adattarsi di un popolo fatto di bottegai, guantai, vinai, pescatori… che nelle peggiori difficoltà trova la speranza in un Bambino che viene.

La Cantata nasce verso la fine del 1600. A scriverla fu l’abate Andrea Perrucci (1651-1706) che la pubblicò nel 1698 sotto lo pseudonimo di Ruggiero Casimiro Ugone e con il titolo Il Vero Lume tra l’Ombre, ossia La Spelonca Arricchita per la Nascita del Verbo Umanato.

La produzione teatrale sacra del ‘600 fu abbondante e influenzata in maniera pesante dal rigore religioso instaurato con la controriforma e la Cantata si inserisce perfettamente in questo contesto storico. A scrivere questi testi di solito erano ecclesiastici appartenenti alla Compagnia di Gesù, che con un linguaggio dotto e arcaico davano vita a spettacoli lunghi e accessibili a pochi.

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Peppe Barra nel ruolo di Razzullo

L’introduzione nella Cantata del personaggio di Razzullo, lo scrivano inviato a Betlemme per il censimento, fa acquistare all’opera una nuova vitalità. Il popolo ne è entusiasta a tal punto da appropriarsi della rappresentazione e attivando una serie di modifiche che arriveranno quasi ad osteggiare i personaggi sacri. Verso la fine del ‘700 viene introdotta la figura di Sarchiapone, un personaggio tutto napoletano, gobbo, cattivo e folle.

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Sarchiapone e Razzullo

Le messe in scena vanno avanti nel tempo, nonostante la degenerazione dei personaggi e della vicenda avessero trasformato il nucleo originale dell’opera scritta dal Perrucci. Si arriva al 1889, anno in cui le autorità decidono di interrompere la rappresentazione che per la volgarità dei contenuti non ha più nulla di sacro. Benedetto Croce a tal proposito dirà che l’opera ormai è perduta e non sarà mai più messa in scena.

Come ben sappiamo, le cose sono andate diversamente. La Cantata continua a vivere e con grande successo di pubblico. È con Roberto De Simone, con la Nuova Compagnia di Canto Popolare, con Peppe Barra e grandi interpreti del passato come Concetta Barra, che oggi possiamo riscoprire e rivivere una delle storie più belle del teatro napoletano.

La ricomposizione del testo è una operazione fondamentale, non solo per rendere l’opera accessibile, ma anche per esprimere in pieno la fisionomia di una rappresentazione che si adatta ai luoghi e ai tempi. Il cuore della vicenda è sempre lo stesso: Maria e Giuseppe, protetti dall’arcangelo Gabriele, si recano a Betlemme per il Censimento. Sulla via dovranno superare gli attacchi del diavoli che ostacolano la nascita del Bambino Gesù.

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Scena della tempesta ne La Cantata dei Pastori

La vicenda dei personaggi sacri si incrocia con quella dei personaggi popolari: Sarchiapone, il cacciatore Cidonio, il pescatore Ruscellio, i pastori Benino e Armenzio e ovviamente Razzullo, lo scrivano sempre affamato su cui ruota l’intera vicenda. La rappresentazione si chiude con l’adorazione del Bambino presso la Grotta, segno di speranza e di salvezza.

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Razzullo con Il Cacciatore e il Pescatore in una scena de La Cantata dei Pastori

La Cantata dei Pastori è un’opera dal grande valore simbolico, solo vivendola in un teatro dal vivo è possibile sentirne la potenza catartica. Assistere alla Sacra Rappresentazione è come compiere un rito dal sapore ancestrale, in cui è possibile riscoprire e scoprire la propria identità: senza il passato, senza ciò che siamo stati non è possibile vivere il futuro.

Lontano dal mio paese di Lorenza Cozzolino

Ho appena terminato di leggere Lontano dal mio paese di Lorenza Cozzolino, edito da PubMe, e voglio parlarvene subito.

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Il libro è la narrazione delle vicende che hanno segnato l’esistenza della nostra autrice che nasce e cresce in una città tormentata: Napoli.  La protagonista del lungo racconto si chiama Anna Solaro e ci parla in prima persona degli eventi più significativi della sua vita; eventi che, nel bene e nel male, hanno segnato il suo destino e quello della sua famiglia. Il libro si apre con una sorta di lettera aperta che l’autrice indirizza al Governo che ritiene responsabile, in un certo qual modo, della sua scelta di trasferirsi a Londra con la propria famiglia.

Quella di andare a Londra è per la protagonista/autrice una scelta obbligata, che compie a malincuore perché la allontana dal suo mondo, dagli affetti più cari e dalla sua città, verso la quale sente un legame viscerale. Anna inizia a raccontarci la sua vita a partire dall’adolescenza, una adolescenza come tante altre, segnata da delusioni e dolci momenti. I sogni sono il leitmotiv dei primi capitoli. La passione per il disegno e la moda inducono la protagonista a scegliere di frequentare una scuola professionale contro il parere del padre, che la vede predisposta, invece, per gli studi classici. Ma la sua passione ha il sopravvento; così Anna si iscrive nella scuola dei suoi sogni ma, nonostante sia una studentessa modello, non pochi saranno i problemi relazionali con compagne che non sono né sincere né esempi di buon comportamento.

Dopo le superiori, Anna vuole tentare di farsi strada nel suo campo, ma subito entra in collisione con una realtà, napoletana e italiana, in cui la meritocrazia e il lavoro sono un’utopia. Frustrata per l’impossibilità di rendere concreti i suoi desideri, cede alle insistenze del padre e si iscrive all’Università. Sceglie la facoltà di Beni Culturale, ma nemmeno la laurea le garantisce quello sbocco professionale tanto desiderato. Alla sua vita si aggiunge un’ulteriore delusione, che diventa scoraggiamento quando le difficoltà di inserimento lavorativo aumentano giorno per giorno. La nostra protagonista decide così di trasferirsi per un periodo a Londra, dove vive la sorella, ed è qui che incontra Paolo, che di lì a poco sposerà.

Nonostante fosse vicina alla sorella, Anna desidera tornare a Napoli e ciò avviene poco dopo il matrimonio e prima della nascita del primogenito. Paolo vedendo il desiderio della moglie di ritornare in Italia, decide di trasferirsi definitivamente a Napoli. Qui inizia un lungo calvario, un lungo periodo di instabilità lavorativa. Il lavoro è poco e una serie di investimenti in attività commerciali falliscono miseramente. Tutti questi problemi indurranno Anna e Paolo alla dolorosa e inevitabile decisine di ritornare a Londra per poter ritrovare la possibilità di una vita dignitosa e speranzosa. Leggendo questo libro non ripercorrerete solo le vicende personali di una donna, ma potrete immedesimarvi in situazione che in molti, oggi, stanno sperimentando e assisterete alle fasi di crescita e di maturazione di una donna coraggiosa, che mai ha perso la voglia e il coraggio di combattere contro le ingiustizie.

Nonostante i molti refusi presenti nel testo, che comunque non pregiudicano una narrazione piacevole e coinvolgente, il libro si presenta non solo come un duro e consapevole sfogo contro le tante incongruenze che il nostro bel paese dimostra di avere, ma anche come la cartolina di una Napoli bellissima, ma incapace di restituire a chi l’abita quella dignità che rende il cittadino fiero di dirsi napoletano.

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Il disegno della copertina è realizzato dall’Autrice

Matilde Serao, scrittrice verista?

Aveva poco più di vent’anni quando Matilde Serao pubblicò il suo quarto libro Leggende napoletane. Il volumetto è la raccolta di circa quindici leggende che fanno parte di quello straordinario sostrato culturale che rende unica Napoli e la sua storia.

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Matilde Serao

Ad introdurre ogni singolo capitolo troviamo un breve scritto che la Serao utilizza per rivolgersi al lettore o per introdurre la narrazione e che dovrebbe incuriosire il lettore, curiosità che però non viene poi soddisfatta del tutto. Lo stile della Serao risulta in questo scritto un po’ noioso e banale, forse dovuto alla giovane età e quindi a una non piena maturità stilistica. In esso si intravede ancora una certa tendenza romantica, che non ancora ha niente a che vedere con quel verismo che le è stato attribuito per Il ventre di Napoli o per la sua attività giornalistica. La Serao, in questa sua raccolta di leggende, ci racconta di Virgilio mago, del Munaciello, di fantasmi e di tante altre storielle legate a palazzi, personaggi o luoghi di Napoli.

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La fontana di Partenope ubicata P.za Sannazzaro a Napoli

Nonostante l’autrice si sforzi di raccontare, non riesce a nostro avviso a raggiungere i livelli di una narrazione come potrebbe essere quella di Benedetto Croce, il quale in maniera alquanto sublime raccolse un volume prezioso di storie e leggende napoletane. Un lavoro, quello di Croce, durato una vita intera e realizzato da chi conosceva profondamente Napoli e ne assaporava odori e sapori, atmosfere e sfumature, possiamo dire, in maniera verace. La Serao sa vedere Napoli, a lei è attribuita una nuova capacità di analisi, quasi psicologica, ma le manca la napoletanità. Non dimentichiamo le origini greche della scrittrice, la quale giunse a Napoli nel 1861. In Leggende napoletane la Serao è frettolosa, quasi frammentaria; è come se si limitasse ad appuntare una storia ascoltata senza volerne comprendere l’identità vera e sostanziale. È spesso scettica e distaccata nella narrazione sia qui che in altre opere; è vero che si tratta di vicende fantastiche, ma esse fanno parte della storia di una città che vive al limite tra reale e fantastico e per essere così com’è ha bisogno di credere che ‘O Munaciello esiste o che da qualche parte, nelle fondamenta di Castel dell’Ovo, ci sia un uovo nascosto da Virgilio. Napoli ha la sua mitologia che va rispettata e compresa, così come i Greci credevano ai loro miti.

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Castel Dell’Ovo – Napoli

Con Il ventre di Napoli, la Serao ritorna a descrivere Napoli, a parlare dei vicoli, della quotidianità, di quel ventre in cui il popolo partenopeo trova alimento. Nonostante la critica ne parli bene, non possono non sfuggirci alcuni passaggi in cui – visto il carattere della scrittrice che Scarfoglio definì “donna tanto convenzionale e pettegola e falsa tra la gente e tanto semplice, tanto affettuosa, tanto schietta nell’intimità, tanto vanitosa con gli altri e tanto umile meco, tanto brutta nella vita comune e tanto bella nei momenti dell’amore, tanto incorreggibile e arruffona e tanto docile agli insegnamenti” – emerge una certa tendenza della Serao a porre giudizi nelle sue descrizioni:

Appena ha due soldi, il popolo napoletano compra un piatto di maccheroni cotti e conditi. (Il Ventre di Napoli)

Risulta evidente lo stereotipo tipico del napoletano o del pulcinella famelico. Questo aspetto forse, ci azzardiamo a dire, trascura una condizione di povertà della popolazione non solo napoletana. Infatti Antonio Pascale, nella sua introduzione all’opera dice che la Serao non fa altro che descrivere – inconsapevolmente forse –  la condizione di gran parte del popolo meridionale e non solo.

La superstizione del popolo napoletano – oh, povera gente che è vissuta così male e con tanta bonarietà, che muore in un modo così miserando, con tanta rassegnazione! – la superstizione di questo popolo ha fatto una dolorosa impressione a tutti! (Il Ventre di Napoli)

Colpisce molto l’espressione “dolorosa impressione”, come se il popolo napoletano vivesse in una condizione di non ritorno… Ritornano in mente le parole di Pier Paolo Pasolini, il quale però parla del popolo napoletano in termini ben diversi:

Benchè sia ormai un po’ di tempo che non vengo a Napoli, i napoletani rappresentano per me una categoria di persone che mi sono, appunto, in concreto, e per di più ideologicamente, simpatiche. Essi infatti non sono cambiati. Sono rimasti gli stessi napoletani di tutta la storia. E questo per me è molto importante (…). Ma cosa vuoi farci, preferisco la povertà dei napoletani al benessere della repubblica italiana, preferisco l’ignoranza dei napoletani alle scuole della repubblica italiana, preferisco le scenette, sia pure un po’ naturalistiche, cui si può ancora assistere nei bassi napoletani, alle scenette della televisione della repubblica italiana. (Gennariello)

Insomma la Serao guarda il ventre di Napoli, lo descrive, ma con distacco, come se stesse su un’altura e attraverso il filtro di un binocolo. Non riesce a lasciarsi andare, si ferma in un angolo ad osservare uno spettacolo che poi trascrive su carta. E questo forse è il motivo che la avvicina al verismo, ma risulta lontana mille miglia dal verismo autentico di Verga, Capuana, De Roberto. Questo sarà il motivo per cui la Serao è caduta nel dimenticatoio. Carducci disse di lei come “la più forte prosatrice d’Italia”, ma ciò non bastò a offuscare il giudizio di Scarfoglio che, nonostante il legame che i due ebbero, non la giudicò una scrittrice di particolare spessore.

Mr Punch, una tragedia in versi e versacci

Non è la prima volta che vi parlo di Stefano Bessoni e da quando l’ho scoperto cerco di non perdere nessuna delle sue pubblicazioni. Pinocchio, Oz, Alice e Mr Punch sono alcuni dei suoi titoli editi da Logos edizioni.

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Illustrazione presente nel volume Mr Punch

Bessoni compie una operazione di rilettura dei classici per bambini – non solo per bambini se vogliamo essere precisi – estremamente interessante. Questa rilettura rende i suoi libri del tutto unici e originali. L’autore, oltre ad essere un illustratore eccellente, riesce a vedere nelle favole il risvolto della medaglia. Un volto diverso, macabro, bizzarro, inusuale, che forse non abbiamo mai saputo leggere nelle favole dell’infanzia.

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Copertina del libro

Nel suo Mr Punch si incontrano due personaggi, Pulcinella e il suo corrispettivo inglese, Mr Punch appunto, protagonisti del teatro dei burattini e della Commedia dell’Arte. Da dove nasce l’attenzione per questi personaggi ce lo dice l’autore stesso al termine del libro:

Io ho voluto raccogliere molte delle notizie e delle suggestioni sulle più famose incarnazioni di quella figura tanto arcaica quanto misteriosa e ho lavorato inizialmente su quella di Mr Punch, a me emotivamente ed espressivamente più vicina, poi mi sono avvicinato a quella di Pulcinella, scoprendo che in realtà era lui il prototipo originale di quella singolare progenie e che aveva aspetti molto più interessanti di quanto si possa superficialmente pensare, magari accomunandolo solo alle maschere della Commedia dell’Arte.

Così nasce un volume che, attraverso una narrazione in versi con rima baciata, racconta le gesta non proprio eroiche di Pulcinella e Mr Punch.

Ho cercato i canovacci delle tante rappresentazioni con i burattini e ho voluto costruire un mio personale spettacolo, dove i due personaggi nascono e vivono le loro avventure parallelamente, lontani geograficamente, come fossero due gemelli divisi prima ancora della nascita.

Bessoni ci narra le vicende di due figure dall’esistenza incerta e spregiudicata. Infatti, di essi scrive:

Li ho immaginati entrambi nati deformi, nati da un uovo e alle prese con una vita balorda e difficoltosa nei bassifondi di Londra e Napoli, tra truffatori, ladri e prostitute.

Una rilettura che incuriosisce e che fa riferimento alla profonda stratificazione culturale e antropologica legata ai due personaggi. I volumi di Bessoni, e in particolare Mr. Punch, sono belli non solo da leggere – il testo è sempre accompagnato dalla traduzione in inglese -, ma anche da guardare, perché sono arricchiti dalle “terrificanti” illustrazioni dell’autore.

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Illustrazione inserita in Mr Punch

‘A maschera

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Eduardo De Filippo con Pulcinella interpretato da Achille Millo

‘A maschera… e cher’è ‘a maschera?

Nu piezzo e cuoio ca se mette ‘ncoppa a faccia

pe’ diventà caccherun’at.

Tene dui buchi pe verè o munn

e sotto, gli uocchi ponn essere

tristi, curiusi, intriganti…

te parlano d’a gente,

riren de’ sventure e piangono p’ ‘a felicità.

‘O naso stuort’ po’ fa spavent,

ma sape sentì o buono e o malament,

‘a famm e a disperazione.

Tu che me stai a ‘scutà, che pienz?

Neh rimmell… eh, nun o tien ‘o curagg e me parlà!

Ma io ‘o ssaccio che stai a pensà:

“Tu nun si niente, si sulo nu juoco”.

E sai che te rico? Che te stai a ‘ngannà…

Quann stong ‘ncoppa a scena

io so ‘na creatura che vive…

divent’ chell ca voglio essere

e chell ca tu te sient rint’ all’anema.

Respiro, parlo, tremo…

e si me vir jettat int’ a nu pizzo

nun pensà che so muort,

ma, si m’ascuot, io te parlo dint’a lu cor tuojo.

Tengo meza faccia

brutta e nera.

Song riso amaro e felicità,

so’ tutto e niente…

sono Pulcinella, per servirvi!

(Prima classificata Concorso Letterario Nazionale

“Mille anime di Pulcinella” – Napoli 8 giugno 2013

Sezione vernacolo)

Il giallo Elena Ferrante si infittisce

Tutti ormai conoscono Elena Ferrante, se non per averla letta, almeno di nome. Lei rappresenta il mistero della narrativa moderna italiana: uno pseudonimo che nasconde una scrittrice di successo nazionale e internazionale.

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Ma è corretto dire che si tratti di una scrittrice? La segretezza intorno alla sua persona è talmente alta che negli anni sono state fatte tantissime congetture, molti gli autori individuati, alcuni hanno attribuito i romanzi all’editore, a gruppi di scrittori, insomma una vera e propria caccia per scoprire l’identità che si cela dietro la firma di Elena Ferrante. Negli ultimi giorni, in seguito all’articolo pubblicato da Il Sole24Ore a firma di Claudio Gatti, si è scatenato un dibattito intorno all’accanimento con il quale il giornalista è risalito ad Anita Raja, traduttrice freelance della casa Editrice e/o.

Questa operazione di svelamento è stata una vera e propria investigazione letteraria e di analisi dei guadagni della Raja, che coinciderebbero con il ricavato della vendita dei libri della Ferrante. La pubblicazione dell’inchiesta di Gatti ha scatenato, com’era prevedibile, pareri contrastanti: c’è chi ha giudicato oltraggioso l’accanimento che si è messo in atto, e continua ancora a quanto pare, per scoprire chi sia la Ferrante, o irrispettoso nei confronti di una persona che desidera rimanere anonima celandosi dietro uno pseudonimo, violando il diritto personale alla privacy. C’è anche chi giustifica il lavoro di Gatti per il semplice fatto di aver compiuto non una forzatura, ma solo il proprio lavoro di inchiesta giornalistica. C’è anche poi chi si diverte sulla questione. Questa mattina un finto account Twitter della Raja affemava a nome suo di essere la Ferrante. Tutti ci sono cascati, anche le maggiori agenzie giornalistiche italiane.

Non volendo entrare nel merito di una posizione rispetto ad un’altra, ci siamo chiesti se è proprio necessario sapere chi sia veramente Elena Ferrante? Non è forse più interessante leggere ciò che scrive? E se ciò che scrive è a firma della Ferrante o di un altro autore cosa cambia? È un fenomeno editoriale riconosciuto in Italia quanto all’estero, che evidentemente va oltre l’identità autoriale… è pur vero che il mistero intorno la sua persona, come qualcuno ha detto in passato, alimenta il successo editoriale, configurandosi come ottima strategia di marketing. Se pure fosse così allora non ci resta che dire “complimenti, lavoro ben fatto!” o quasi… a me ancora non è venuta la voglia di leggere un libro della Ferrante. Se qualcuno me lo regala, ne sarò grata, potrò così farvi sapere cosa ne penso.

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L’amica geniale, uno dei romanzi di Elena Ferrante (edizioni e/o)

Antonio Petito, il più grande Pulcinella dell’’800

Quando parliamo di Pulcinella subito ci viene in mente la figura del servo scaltro, devoto e ignorante, del poveraccio che si arrangia per vivere, dell’uomo semianimalesco, gobbo e trasandato. Se invece lo pensiamo in scena immancabile si ricorre a Scarpetta, Eduardo De Filippo o Raffaele Viviani, ma insieme a questi grandi interpreti ve ne è uno forse ancora più importante, il quale ha dato al Pulcinella teatrale una impronta ben definita, parlo di Antonio Petito.

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Antonio Petito

Antonio Petito nacque a Napoli nel 1822 da Salvatore e Giuseppina D’Errico, entrambe impegnati nell’attività teatrale. La madre era ballerina e impresaria di un baraccone teatrale mentre il padre era un attore. E fu proprio il padre che investì Antonio del ruolo di Pulcinella, passandogli – come era uso in teatro – la maschera sul palcoscenico.

 

Al culmine della carriera lo stesso Petito scrisse, di suo pugno, un’autobiografia custodita nella Biblioteca Lucchesi Palli, la sezione della Biblioteca Nazionale di Napoli dedicata al teatro.  Leggere questo testo è molto interessante per diversi motivi. Il primo perché è possibile assaporare il teatro popolare attraverso il racconto di chi lo ha vissuto e messo in atto con il conseguente movimento culturale, il secondo è puramente linguistico. Antonio Petito era un semianalfabeta, a stento sapeva leggere e scrivere e il suo tentativo non è altro che la testimonianza linguistica di un semicolto che apprende la scrittura in maniera autonoma, trascrivendo ciò che il suono della parola gli suggerisce. Il valore letterario dell’opera non lo si può ben definire, forse essa non ne ha, ma sicuramente essa è la testimonianza, forse non del tutto obiettiva, delle capacità artistiche di un uomo, di un attore la cui identità diviene leggendaria e diviene quasi un tutt’uno con il personaggio, che lo accompagna fino alla morte avvenuta proprio in teatro, il mitico San Carlino di Napoli, in seguito ad un arresto cardiaco la sera del 24 marzo 1876.

Di seguito vi propongo l’incipit dell’autobiografia scritta da Petito:

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Brano tratto da ‘Andonio Petito’ Autobiografia di Pulcinella (Enzo Grano, ed. ABE -Napoli 1978)
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Incipit dell’autobiografia di Petito – autografo

Sulla sua difficoltà di scrittura Eduardo Scarpetta, in Dal San Carlino ai Fiorentini, testo del 1900, scrive:

Petito era capace di buttare giù una commedia in pochi giorni, ma per scriverla aveva bisogno di parecchie dozzine di penne d’oca e di un litro d’inchiostro, metà per la commedia, metà per imbrattarsi gli abiti, le mani e la camicia […]. E le lettere si allungavano […] come tracciate dalla mano incerta di un bambino, ora tenendosi ritte a stento, ora barcollando […]. Le righe si mutavano da orizzontali in trasversali, e così si andava avanti per intere pagine.

Molte sono le storie che si narrano sulla vita di Antonio Petito, storie nate dalla sua straordinaria interpretazione di Pulcinella, capacità che evidentemente era innata e che egli raffinò fin da piccolo direttamente sul campo, ma che la sua scarsa cultura non gli impedì di affrontare. Come diceva Scarpetta, Petito era in grado di comporre in pochi giorni un’opera teatrale. La difficoltà nella trascrizione pare venisse superata attraverso la dettatura o attraverso la memorizzazione delle parti principali della vicenda, lasciando all’improvvisazione il resto della sceneggiatura. Nonostante ciò, non possiamo definire il teatro di Petito un teatro analfabeta, anche perché non è possibile ammettere che la cultura trasmessa oralmente sia circoscrivibile nell’ambito della non-cultura, se così fosse cadrebbero le basi culturali di ogni paese. Ed è proprio l’oralità ad essere un elemento fondamentale per Petito, poiché attraverso di essa è possibile ascoltare, ripetere, imitare, cogliere la realtà.

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Antonio Petito in una foto di scena

Petito non era uno sprovveduto, pare che frequentasse non solo i teatri popolari, ma si tenesse aggiornato anche sulle opere culturalmente “elevate”. La frequentazione di determinati ambienti gli consentiva, insieme ad una notevole arguzia intellettiva, di poter trarre le vicende per poi parodiarle. Tuttavia nelle sue opere non troviamo solo la banale parodia, ma esse si caratterizzano per l’equilibrio tra folklore ed espressività popolare, tra teatro di piazza e Commedia dell’Arte, tra opera buffa e romanzo d’avventura… e così via.

Tra le opere che ebbero maggiore successo si ricordano la Francesca da Rimini, Palummella zompa e vola; Don Fausto, So’ morto e m’hanno fatto turna’ a nascere, Flick e Flock.

Walter Lazzarin: lo scrittore di strada

Se per caso vi trovate a fare una passeggiata tra le strade di città come Roma, Napoli o Milano date un’occhiata a chi è seduto sui marciapiedi. Se notate una persona che  non chiede l’elemosina ma è in compagnia di una vecchia macchina da scrivere, fermatevi!

L'autore della foto è Roberto Borrello, in arte OnOff ed è stata pubblicata su Repubblica.it
L’autore della foto è Roberto Borrello, in arte OnOff ed è stata pubblicata su La Repubblica.it

Non parlo del solito tipo strano che decide di vivere seguendo qualche ideale naturalistico o di libertà, ma di Walter Lazzarin. Voi direte: chi è?

Walter Lazzarin è un giovane autore che con la sua macchina da scrivere promuove ai bordi delle strade il suo libro Il drago non si droga, edito da Red Fox.

Molti già parlano di lui, diciamo che ha trovato un modo molto originale di farsi conoscere.

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L’autore della foto è Roberto Borrello, in arte OnOff ed è stata pubblicata su La Repubblica.it

L’ho contattato perché sono curiosa di conoscerlo, di leggere il suo libro, di intervistarlo e di farmi dare un tautogramma che compone con la sua Olivetti. Praticamente si tratta di un componimento le cui parole iniziano tutte con la stessa lettera  come

Piantala petulante pignolo!

Il suo romanzo non si trova nelle librerie e nemmeno è possibile acquistarlo nel formato e-book… bisogna per forza scovarlo per strada.

Trasformatevi in buoni osservatori, prestate attenzione ad un ticchettio rétro e gustate una buona lettura, perché pare proprio che Il drago non si droga sia un’opera godibilissima.

Io lo beccherò prima o poi, ho deciso…e vi farò sapere!

Satyricon a Napoli ’44

Il commento di Vergine di Norimberga ad un mio post su Napoli mi ha fatto tornare in mente un libro che ho letto qualche tempo fa.

Parlo di Satyricon a Napoli ’44 di Roberto De Simone.

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Quando si legge Roberto De Simone, qualsiasi cosa scriva, si legge Napoli, si odora Napoli, si ascolta Napoli, si vede Napoli… si vive Napoli. Satyricon a Napoli ’44, edito da Einaudi, ha un sottotitolo “Fra Santa Chiara e San Gregorio Armeno”. Già da questo è chiara la formula autobiografica. Infatti, l’autore ci racconta gli avvenimenti che lo hanno visto protagonista in un anno ben preciso: il 1944.

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Sono gli anni della guerra, gli anni in cui Napoli diviene lo scenario di ogni tipo di mortificazione che una guerra può produrre. Così assistiamo alla distruzione della Chiesa di Santa Chiara, un emblema importante per la città e per la popolazione napoletana. Il suo sgretolarsi è infatti percepito come uno svuotamento di identità.

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Non c’è solo questo: nel libro c’è molto di più.

Le vicende personali del giovanissimo Roberto che si incrociano e si scontrano con quelle dei suoi familiari e compagni, rappresentano le difficoltà, le amarezze, i desideri e le aspirazioni di un’intera generazione. Gli anni della guerra e il dopoguerra hanno messo a dura prova la città e la popolazione. Ma con estrema dignità e con un equilibrio narrativo, che si mostra quasi in bilico tra la rassegnazione e l’accettazione di una realtà di fatto, vengono narrati eventi, situazioni che oggi sono considerate inaccettabili. Piccoli furti, contrabbando, lavori sottopagati, ma soprattutto gli abusi che divengono cosa quotidiana e quasi normale.

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Le giovani donne che si concedono per denaro così come i giovani con i soldati americani, che come tutti i liberatori si dimostrano degli oppressori.

Tutto questo accade in quella che oggi chiamiamo omertà. Tutti sanno, ma nessuno denuncia o fa qualcosa perché ciò possa fermarsi. A volte la vendetta prende il sopravvento e si paga con la vita. Quando parlo di omertà non lo faccio nell’accezione contemporanea, in cui il termine ha assunto il significato di viltà, ma nel senso di accettazione di una realtà presente che rappresenta l’unica opportunità per superare le difficoltà iniziali. Ovviamente questi aspetti tristi non appartenevano a tutta la popolazione, ma erano comunque presenti e De Simone li descrive con obiettività e senza porre giudizi di sorta.

Con uno stile ricercato, carico di citazioni colte, l’autore ci parla di Napoli, dei suoi vizi come dei suoi sapori, odori, profumi e della sua cultura, riuscendo a farci entrare in una città che fece da sfondo naturale a tanti film neorealisti.

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