“Questioni di testa” è una raccolta di racconti, i cui proventi delle vendite andranno in beneficenza.
Con molto piacere vi propongo la segnalazione di oggi: “Questioni di testa” di Giulio Natali, edito da Edizioni La Gru.
Sinossi:
“Questioni di testa” è la mia prima raccolta di racconti e racconti brevi che ho scritto durante l’ultimo quadrimestre del 2020, periodo in cui, lavorando prevalentemente da casa, sono riuscito a ritagliarmi il tempo necessario. Nelle 22 storie che trovate i temi conduttori sono due. Il primo è la ricerca del senso delle cose, esplorato tramite i piccoli ineluttabili eventi quotidiani in cui i personaggi sono coinvolti. Il secondo, diretta conseguenza del precedente, è constatare che ci sono tante realtà quante una mente possa inventarne; in questa raccolta, queste invenzioni provengono, tra gli altri, da guardie giurate, volontarie di associazioni religiose, donne innamorate che intraprendono il viaggio verso la propria metà, bambini troppo curiosi, club segreti di paese e Babbi Natale prossimi alla pensione; anche l’anima, per un attimo senza il corpo, trova il modo di presentare la sua prospettiva. Spero che la lettura possa interessarvi e, almeno, intrattenervi.
La parola all’Autore:
Ha scritto Giulio Natali: “Non sono uno scrittore ma un manager, ma sono anche una persona fortunata, così ho pensato che fosse giusto devolvere tutti i proventi che mi arriveranno dai diritti d’autore alla Lega del Filo d’Oro. Le storie nascono dagli incontri che ho fatto nella mia vita e dall’unica certezza che ne ho tratto: esistono tante realtà quante una mente ne può inventare. Ho così provato, a volte anche con ironia ma senza mai diventare giudicante, a mettere in scena personaggi di fantasia alle prese con le piccole/grandi questioni che la quotidianità pone davanti a loro. Ognuno risponde a modo suo”.
Il libro di oggi è di un’autrice, Giulia Coppa, della quale vi ho già parlato in occasione della recensione di Memorie di Taenelies, il romanzo fantasy scritto insieme ad Eric Rossetti. Questa volta Giulia Coppa mi ha proposto in lettura Fervore, una sua raccolta di racconti edita da Europa Edizioni.
Candeggio, Aleo e Merida, Il tesoro del tempo, La frutta del destino, L’amore improprio delle tre essenze, Doveva morire, sono i titoli dei sei racconti contenuti in questo volume.
Con Fervore ho ritrovato lo stile ricercato, ma scorrevole di Giulia Coppa e una costruzione delle trame per nulla scontata. Nelle sei storie che ci vengono proposte, la giovane scrittrice introduce un filo conduttore, che ritorna in ogni narrazione: la morte.
Non vi aspettate, però, dei racconti del terrore alla maniera classica o dei thriller mozzafiato. L’operazione che Giulia Coppa compie è più sottile, poiché nella normalità dell’esistenza introduce quel dato perturbante che rende i suoi racconti estremamente interessanti e originali. La morte è vista come una condizione non accidentale, ma necessaria per la realizzazione di un qualcosa.
Giulia Coppa
La morte è reale e tangibile e passa attraverso la mente e le azioni di protagonisti borderline, rappresentandone un aspetto concreto della loro personalità. Se l’aspetto più oscuro viene ben celato dai protagonisti, ad un certo punto questo diviene palese e il lettore è l’unico a conoscere quella verità, che in alcuni racconti è terribile, in altri inaspettata. In L’amore improprio delle tre essenze, la protagonista cerca di evitare la sua vera natura, ma questa viene fuori inaspettatamente e quasi meccanicamente. Anche in La frutta del destinoemerge un meccanismo simile, accentuato dal sentimento di fredda vendetta.
Un altro aspetto molto interessante e che emerge dai racconti di Giulia Coppa è suggerito dal sottotitolo dell’opera stessa Sull’ironia e l’imprevedibilità. Nei sei racconti, infatti, troviamo la presenza di un’ironia che rievoca i sapori amari e sarcastici della vita, la quale si presenta prepotentemente con tutta la sua imprevedibilità. Se torniamo al racconto La frutta del destino, questo concetto di imprevedibilità è più che esplicito. La protagonista non si aspetta il “tradimento” dei genitori e questo scatenerà da parte sua una reazione che per loro sarà imprevedibile.
Per concludere, Fervore conferma il talento di Giulia Coppa, che dimostra di avere un’ottima fantasia, ma anche gli strumenti giusti per raccontare storie convincenti e appassionanti. Consigliato!
Oggi si raddoppia l’appuntamento con lo show de La penna nel cassetto.
Ogni venerdì vi parlerò di libri attraverso segnalazioni e recensioni. Parto subito con una doppia segnalazione targata La Lepre edizioni. Si tratta di due romanzi storici in uscita a marzo. Il primo è “Il segreto di Ippocrate” di Isabella Bignozzi; il secondo “La gatta della regina” di Domitilla Calamai e Marco Calamai De Mesa.
Per leggere la segnalazione completa CLICCA QUI, oppure ascolta il podcast.
Vi ricordo che potete scrivermi all’indirizzo email info@lapennanelcassetto.it e seguirmi su Instagram, Facebook, Twitter e Spreaker.
Buon ascolto!
La tappa di febbraio del GDL del Le avvelenatrici ha previsto la lettura del racconto di Herman Melville, Bartleby lo scrivano, che io ho letto nella edizione Universale Economica Feltrinelli.
Il testo fu pubblicato inizialmente in maniera anonima in due puntate apparse sul Putnam’s Magazine nei mesi di novembre e dicembre del 1853. Nel 1856, con qualche variazione, fu inserito nella raccolta The Piazza Tales. A quanto pare ad ispirare l’opera a Melville fu un saggio di Emerson dal titolo Il trascendentalista.
In questo scritto, Melville racconta la storia di uno scrivano, Bartleby, un po’ strano e taciturno, il quale inizia a lavorare da un avvocato di Wall Street. La storia ci viene raccontata proprio da questo avvocato, che si definisce in apertura un uomo piuttosto anziano, come a dire che nella sua vita ne ha viste tante, ma nessuna supera la storia di Bartleby.
La natura della mia professione, negli ultimi trent’anni, mi ha portato ad avere contatti fuor del comune con ciò che direbbesi un interessante ed alquanto singolare genere di individui, dei quali fino ad ora, ch’io sappia, nulla è stato scritto. Mi riferisco ai copisti legali, ovvero scrivani. In gran numero ne ho conosciuti, sia per pratica di lavoro che a titolo personale, e, quando volessi, potrei narrare svariate storie, che forse farebbero sorridere le persone benevole, e forse farebbero piangere le anime sentimentali. Ma rinunzio alla biografia d’ogni altro scrivano per pochi momenti della vita di Bartleby, che fu scrivano, il più stravagante di quanti abbia mai veduto, o di cui abbia avuto notizia.
Effettivamente Bartleby è un tipo strano. Un giorno si presenta nell’ufficio di questo avvocato e viene assunto dopo aver letto una inserzione di lavoro:
In risposta ad un’inserzione, un immobile giovanotto compare un bel mattino sulla soglia del mio ufficio, essendo la porta aperta perché s’era d’estate. Rivedo ancora quella figura, scialba nella sua dignità, pietosa nella sua rispettabilità, incurabilmente perduta! Era Bartleby.
Bartleby sembra essere sbucato dal nulla. Il suo passato è avvolto nel mistero e la sua figura non gli attribuisce doti particolare agli occhi dell’avvocato. Infatti, appare scialbo e immobile.
All’inizio Bartleby svolse una straordinaria quantità di lavoro scritturale. Quasi fosse da lungo tempo affamato d’alcunché da copiare, egli pareva pascersi con ingordigia dei miei documenti. Non si concedeva pausa per la digestione. Si dava da fare notte e dì, copiando sia con la luce del sole che a lume di candela. Mi sarei senz’altro compiaciuto di tanta solerzia, fosse egli stato allegramente operoso. Invece continuava a scrivere in silenzio, con moto scialbo e meccanico.
Nonostante queste stranezze, Bartleby all’inizio sembra essere un buon scrivano. Ma i problemi iniziano a sorgere quando alle richieste dell’avvocato di svolgere alcune mansioni Bartleby, inaspettatamente, risponde negativamente, sempre con la stessa espressione: avrei preferenza di no, a cui non aggiunge ulteriori chiarimenti. Questo atteggiamento potrebbe far innervosire chiunque, potrebbe far scattare un licenziamento in tronco, ma il nostro avvocato invece reagisce differentemente.
Con chiunque altro sarei andato su tutte le furie; bandita ogni altra chiacchiera, l’avrei senza scrupoli cacciato via. Ma v’era qualcosa in Bartleby che, non soltanto stranamente mi disarmava, ma puranco, in modo assai sorprendente, mi toccava e sconcertava.
L’atteggiamento dell’avvocato, quindi, non è quello di rabbia nei confronti di Bartleby, anche se in alcuni momenti ci sono dei moti di ribellione. Ma l’avvocato si incuriosisce alla figura del suo scrivano e prende a studiarlo fino a quando non scopre, casualmente, che Bartleby vive nel suo ufficio. Esasperato da questa situazione, l’avvocato cerca una soluzione, ma l’atteggiamento di Bartleby è risoluto. Ad un certo punto si rifiuterà persino di scrivere e di essere licenziato. L’avvocato, all’ennesimo rifiuto di Bartleby, impietosito forse dalla sua situazione di solitudine e di povertà, decide di lasciarlo lì e di trasferire l’ufficio altrove.
Bartleby non lascerà mai quell’ufficio e continuerà ad occuparlo anche quando arriveranno i nuovi affittuari. La situazione con i nuovi affittuari prende una brutta piega perché il nuovo inquilino decide di far arrestare Bartleby. Nel frattempo il nostro avvocato aveva cercato di dissuaderlo dal suo atteggiamento, ma la risposta che dà è sempre la stessa “avrei preferenza di no”. L’esito della vicenda è, come si può immaginare, negativo, perché Bartleby muore in carcere, anche se l’avvocato aveva continuato a prendersi cura di lui.
La storia singolare di quest’uomo ci lascia un misto di sensazioni tra la rabbia e lo sconcerto ed è servita a Melville per dare una lettura della realtà contemporanea. Ambientato nella strada di Wall Street quando sta per trasformarsi nel grande centro dell’economia americana, questo racconto e il suo personaggio rappresentano lo straniamento dell’individuo in una società che diventa sempre più capitalistica. L’uomo perde la sua forza individuale, è isolato e destinato ad una povertà materiale e spirituale in un contesto dove non tutti sono in grado di comprendere l’altro. L’avvocato ha ancora una coscienza, ma gli altri scrivani sono presi dalle “regole personali” di giustizia e produttività incuranti dell’altro e incapaci di comprenderne le azioni.
Se vuoi acquistare il libro CLICCA QUI e approfitta della mia affiliazione Amazon
Vi presento oggi il libro di Loretta Napoleoni, Sul filo di lana. Come riconnetterci gli uni con gli altri (Mondadori). Il lavoro a maglia serve all’autrice come scusa per parlare di ricordi personali, vicende sentimentali e aneddoti familiari, ma anche, ampliando la prospettiva, per raccontare meccanismi globali economici e politici.
All’apparenza sembra un manuale di hobbistica, invece tratta di sociologia e di politica; è anche un doloroso viaggio alla scoperta di sé, dei propri limiti e delle proprie risorse. L’autrice compie un percorso nel tempo a partire dalle origini di questa attività:
Il viaggio della maglia ha inizio tra il 6000 e il 4000 a.C., quando i nostri progenitori avevano messo a punto un metodo rudimentale per creare degli indumenti e prosegue attraverso il Medioevo e il Rinascimento con le corporazioni di lavoratori dell’arte della lana e il successo in tutta Europa dei filati e tessuti italiani. Passa per la Rivoluzione francese, con le sue tricoteuses che sferruzzavano sedute davanti alla ghigliottina, e per quella americana cui hanno contribuito le pioniere, le famose «api che sferruzzano», per arrivare alla Grande Guerra, quando gli indumenti di lana fatti a mano da chi stava a casa hanno contribuito a tener caldi i soldati in trincea, e alla Seconda Guerra Mondiale, quando le spie-magliaie si sono servite della maglia come di un codice segreto per inviare messaggi che non dovevano essere intercettati. Dopo un periodo di stasi, il lavoro a maglia è poi tornato alla ribalta negli anni Sessanta con il movimento hippie, diventando uno strumento di rifiuto dell’omologazione e del consumismo imposti dal «sistema». In anni recenti le neuroscienze hanno scoperto che i tessuti fatti ai ferri sono ottimi per rappresentare concetti della fisica d’avanguardia difficili da ricreare con altri materiali, ma anche che lavorare a maglia ha gli stessi effetti terapeutici rilassanti dello yoga e della meditazione. E il movimento femminista ha infine smesso di considerare quest’attività un simbolo della sottomissione femminile, ma l’ha anzi rivalutata tramutandola in un segno di liberazione dagli stereotipi di genere.
Oggi in tutto il mondo si assiste a fenomeni di mobilitazione spontanei come lo yarn bombing e l’urban knittering, veri e propri gridi di protesta pacifici contro le diseguaglianze di ogni tipo, sociali, razziali e di genere, contro gli aspetti più deleteri della globalizzazione, l’ecodevastazione del nostro pianeta e la dilagante realtà virtuale, nel cui freddo cyberspazio siamo allo stesso tempo strettamente connessi e spaventosamente isolati. Guardando al passato, ci accorgiamo che il lavoro a maglia è sempre stato un un filo conduttore che ha permesso all’umanità di attraversare in sicurezza i mari tempestosi delle transizioni epocali. Ed è per questo che ancora oggi può aiutarci a intrecciare relazioni in modo più creativo e a ritrovare il bandolo della matassa delle nostre vite.
Loretta Napoleoni, economista, saggista, consulente di governi e organizzazioni internazionali, ha insegnato Etica degli affari alla Judge Business School di Cambridge e ha presieduto il comitato contro il finanziamento del terrorismo per il Club de Madrid. Collabora con diverse testate, incluso il «Venerdì di Repubblica» e la giapponese «Facta». I suoi libri, tra cui Economia canaglia (2009) e ISIS. Lo Stato del terrore (2014), sono tradotti in molti paesi.
Se vuoi acquistare il libro CLICCA QUI e approfitta della mia affiliazione Amazon.
Io e il Signor Ozè il primo racconto dell’omonimo libro scritto da Stefano Orlando Puracchio, pubblicato da Demian Edizioni.
Tutti noi conosciamo il libro di Lyman Frank Baum, Il mago di Oz,(che io ho proprio riletto l’estate scorsa) e chi non ha mai sognato di trovarsi nella favolosa Città di Smeraldo e di incontrare Dorothy e gli altri personaggi della storia? Beh, quel luogo sfavillante di luce verde è stato raggiunto dai personaggi del racconto di Puracchio, il quale ci narra di due uomini Joe Brown e Seymur Baxter prima acerrimi nemici, complici dopo.
Il libro si apre con il racconto di Joe Brown inseguito da Baxter e che insieme si ritrovano, senza volerlo, a Oz. In questa narrazione ritroviamo alcuni personaggi del libro di Baum, come il mago di Oz, che poi tanto mago non è, lo Spaventapasseri, che nel frattempo ha preso la guida della Città di Smeraldo, ma incontriamo anche tanti nuovi personaggi come Jana, la spaventapasseri che si trasformerà in una donna in carne e ossa e diventerà la moglie di Joe. Joe, Baxter e Jana insieme saranno i protagonisti di una nuova avventura a Oz e quando faranno ritorno nella loro città, St. Albert’s Creek, si ritroveranno non solo ad essere buoni amici e custodi del segreto di Oz, ma ricopriranno un ruolo di prestigio in città. Baxter continuerà ad essere il vecchio e ricco possidente, mentre Joe ricoprirà il ruolo di sceriffo e insieme affronteranno i problemi e i pericoli a SAC. Dopo i fatti di Oz vengono fuori tanti piccoli racconti con un unico filo conduttore e una narrazione, che nella sua interezza risulta ben strutturata e godibilissima. È stata molto piacevole la lettura di questo libro; non capita spesso che le storie ispirate a grandi capolavori della letteratura risultino all’altezza del predecessore.
Puracchio, a mio avviso, è stato bravo nel prendere l’ispirazione e ad allontanarsi al momento giusto, senza però mai perdere totalmente il legame con l’opera originale e il finale, che potrebbe risultare deludente, invece lascia aperta la strada a nuove avventure. Questo perché Puracchio potrebbe continuare all’infinito a raccontare la storia di Joe, di Baxter, di Jana e di St. Albert’s Creek senza mai annoiare il lettore. Puracchio non è nuovo alla scrittura, è giornalista e scrittore; ha già pubblicato altri libri, ma Io e il Signor Oz è la sua prima “incursione” nel mondi della narrativa e se queste sono le premesse, ci aspettiamo altre belle storie.
Ringrazio Synpress44 per avermi dato l’opportunità di leggere questo libro, che consiglio a grandi e piccini e se vi ha incuriosito potete acquistarlo CLICCANDO QUI, approfittando così della mia affiliazione Amazon.
La Lepre Edizioni è una casa editrice che ha un catalogo molto interessante, spazia dai romanzi storici alla narrativa contemporanea e tra le varie pubblicazioni spicca un graphic novel ispirato alla storia del burattino di Carlo Collodi. L’opera, intitolata semplicemente Pinocchio, è stata disegnata da Luigi De Pascalis, illustratore, grafico impaginatore, pittore e molto altro.
L’opera si apre con una lunga lettera che De Pascalis indirizza proprio a Collodi, nella quale si legge il rapporto che l’illustratore ha con Collodi e Pinocchio stesso, ma ciò che, a mio avviso è importante, e un passaggio nel quale si racchiude il significato profondo non solo dell’opera di Collodi, ma anche del burattino disegnato da De Pascalis:
L’uomo – tu stesso lo dici – nasce burattino libero, in rapporto giocoso con le sue pulsioni e con le creature semplici della terra e nasce «credendo» (nei genitori, negli amici, in tutti gli esseri umani). Ma poi arriva il momento di crescere, anzi di rinascere, ed ecco che padre e figlio sono partoriti di nuovo, insieme, da un gigantesco e terribile utero marino (il pescecane) dal quale escono entrambi diversi: Geppetto vecchio e stanco, Pinocchio avvinto dalle mille penose responsabilità dell’umano. E così addio corse al mare, addio dimensione ludica del mondo, addio vita a cui un pezzo di legno può affidarsi con fiducia. E benvenuti sacrifici e diffidenza: Pinocchio è uomo!
Dopo questa particolare introduzione ha inizio il racconto grafico della storia di Pinocchio, che è divisa in trentaquattro capitoli, che seguono in maniera fedele, seppur sintetizzata per la modalità del racconto, all’originale. Seguiamo le avventure, o disavventure se si preferisce, in cui il burattino – che vuole diventare un bambino in carne ed ossa – si va a cacciare. Vittima di sé stesso, del suo capriccio e della sua ingenuità, Pinocchio spesso perde la giusta strada, fino a morire o a trasformarsi in un asino. L’errore di Pinocchio, che potrebbe essere l’errore di ognuno, ne trasforma la fisionomia, lo porta ad assumere un aspetto diverso e causa dolore e sofferenza a chi lo ama.
Tutto questo è ben rappresentato da De Pascalis nelle sue tavole, che rappresentano i momenti salienti dell’intera storia. La grandezza dell’opera e la bravura dell’illustratore emergono, a mio avviso, in particolar modo nella espressività dei personaggi: Mastro Geppetto con il suo sguardo carico di affetto e di quella stanchezza causata dalla durezza della vita; la Fata Turchina dolce e materna; il Gatto e la Volpe furbi approfittatori che solo dalla fisicità non promettono niente di buono; Mangiafuoco burbero, ma che poi con Pinocchio mostra il suo lato generoso. Questi sono solo alcuni dei personaggi presenti nel racconto, i quali ruotano tutti intorno a Pinocchio con il suo vestito di carta, le scarpe di scorza di albero e il cappello di mollica di pane. Le tavole disegnate da De Pascalis sono dei piccoli capolavori e sanno trasmettere al lettore i suoni, la confusione e il movimento che Pinocchio rende possibili con il suo comportamento di monello.
In appendice, cosa molto interessante, troviamo un appunto autografo dell’autore, in cui ci spiega gli obiettivi della sua opera, obiettivi che sono stati pienamente raggiunti:
Avevo in mente due obiettivi: rendere attraverso il tratto “retrò” e la coloritura seppia, da vecchie foto di famiglia, l’idea che quella di Pinocchio è una storia antica, forse inattuale, ma saldamente alle radici della cultura italiana. Il secondo obiettivo era di fare capire, senza ricorrere a immagini da cartolina, che l’avventura di Pinocchio si svolge in un tempo e in un luogo precisi: la Toscana di fine Ottocento.
Chiude il libro la carrellata di bozzetti dei vari personaggi, elemento che arricchisce il volume e lo rende prezioso agli occhi del lettore adulto e fascinoso per quelli dei più piccoli.
Se vuoi acquistare il libro CLICCA QUI e approfitta della mia affiliazione Amazon e se vuoi conoscere meglio la storia di Pinocchio CLICCA QUIe leggi questo mio articolo.
Il libro di cui vi parlo oggi è un libro importante che ho avuto l’opportunità di leggere in anteprima grazie alla disponibilità di Lucia Pasquini, editore di Intrecci Edizioni. Il libro in questione è una raccolta di otto racconti di autori vari, ognuno dei quali ha trattato il tema della violenza sulle donne. Con La violenza è una vecchia storia. Intrecci di donne si parla di donne violate. Otto profili di donne importanti, che hanno fatto la storia o che per la loro tragica vicenda umana sono passate alla storia, veicolando un messaggio importante, ovvero che la violenza sulle donne, a prescindere dall’estrazione sociale di provenienza, è una storia vecchia e, nonostante siano stati fatti passi da gigante, ancora molto deve essere fatto per arginare questa piaga della società contemporanea.
Dice nell’introduzione al volume Lucia Pasquini:
«In questo libro abbiamo voluto parlare di una violenza che esiste da sempre e che ha come vittime noi donne. Non dovete credere a chi vi dice che finalmente si è raggiunta la parità tra i sessi, non è affatto così. Siamo ancora sottoposte ad ogni forma di prevaricazione. Sicuramente c’è una maggiore attenzione mediatica, ma ancora oggi quanti omicidi, suicidi e quante violenze hanno come vittime le donne, sottomesse psicologicamente e mortificate verbalmente nella loro quotidianità? Troppi»
Il volume racconta la storia di otto donne, da Artemisia Gentileschi a Pia De’ Tolomei, da Laurizia – la strega di Vetralla – a Marianna De Leyva, e nella loro specificità ci raccontano una modalità di violenza. Ogni epoca storica ha la sua vittima di un sistema culturale o sociale, che oggi ha preso il nome di Femminicidio.
«Questi racconti vogliono denunciare una catena che ancora dopo secoli non si è spezzata, quella del femminicidio e della violenza di genere. Femminicidio è una parola che dovrebbe essere spiegata nelle scuole a tutte le ragazze, perché possano finalmente comprendere che si può sfuggire al proprio aguzzino, che c’è sempre una via di fuga dalla violenza. Perché se oggi, ancora, non siamo in grado di contrastare questa situazione, possiamo però insegnare a tutte le donne e a quelle che lo diventeranno, che è possibile spezzare la catena dei soprusi subiti, perché la vergogna non deve essere provata dalla vittima ma da chi ne è il vigliacco fautore».
La violenza è una vecchia storia. Intrecci di donne è un libro bello, che emoziona e fa arrabbiare, che fa pensare e commuovere. La lettura di questo libro andrebbe suggerita nelle scuole, perché è lì che si può lavorare per creare una sensibilizzazione sociale. È importante che si comprenda la vita di queste donne, che non sono solo vecchie storie, ma esempi concreti e reali di ciò che oggi si può evitare. Ve lo consiglio vivamente!
Indice:
Marianna De Leyva. Storia di una donna e del suo riscatto
Qualche anno fa sono ritornata al Parco di Pinocchio a Collodi, un paesino in provincia di Pistoia, dopo esserci stata in gita scolastica da ragazzina. Il parco ovviamente è legato alle storie del più famoso dei burattini e oggi offre una serie di animazioni ed eventi che attirano piccoli e grandi. Nel corso dell’ultima visita al parco ho acquistato una copia anastatica della prima edizione de Le avventure di Pinocchio, che ho letto in questo mese di maggio per la challenge #inviaggioconunlibro.
Illustrazione di E. Mazzanti della prima edizione del 1883
La lettura di questo libro mi ha lasciata estremamente entusiasta, poiché non mi aspettavo assolutamente di ritrovare in una favola aspetti che non ci aspetteremmo in un libro per bambini. Le avventure di Pinoccho. Storia di un burattino è il libro più famoso di Carlo Lorenzini, in arte Carlo Collodi, giornalista e autore di scritti di carattere umoristico. Lorenzini scelse di usare lo pseudonimo “Collodi” in ricordo del paesino in cui il nonno materno aveva lavorato come fattore di una famiglia di marchesi e dove lo stesso scrittore aveva trascorso l’infanzia.
Carlo Collodi – fonte Wikipedia
L’opera inizialmente venne pubblicata a puntate sul Giornale per i bambini, diretto da Ferdinando Martini, un supplemento settimanale del quotidiano Il Fanfulla. In principio Collodi non era molto entusiasta di questa operazione, tant’è che la definì «una bambinata» e scrisse al direttore del giornale: «Fanne quello che ti pare; ma, se la stampi, pagamela bene, per farmi venire voglia di seguitarla».
A partire dal 7 luglio 1881, fino al 27 ottobre dello stesso anno, Collodi pubblicò le avventure del suo burattino in otto parti con l’intenzione di chiudere lì la storia, come testimonia la titolazione dell’ultimo capitolo: Continuazione e fine. Tuttavia le proteste dei bambini per la fine di Pinocchio, costrinsero Collodi, sotto le pressioni del direttore, a continuare la vicenda. Ma è questa prima parte ad essere quella più interessante e vediamo perché.
La storia, raccolta in un unico volume nel 1883 con le illustrazioni di Enrico Mazzanti, in base ad alcune indicazioni monetarie presenti nel testo (si parla di zecchini), è ambientata al tempo del Granducato di Toscana e fa riferimento ad alcuni luoghi famosi del nord della Toscana, o alla zona in provincia di Lucca dove c’è una grande quercia, nota come la Quercia delle streghe. Un caso? Direi proprio di no!
La storia di Pinocchio, infatti, è intrisa di elementi legati al mondo della magia, della morte e dell’esoterismo. La storia inizia, come sappiamo, da Mastro Ciliegia con il tocco di legno parlante che passa a Mastro Geppetto, il quale ne realizza un burattino. Pinocchio da subito si mostra capriccioso in una maniera quasi irritante, nonostante Mastro Geppetto sia molto premuroso con quel “figlio” che aveva tanto desiderato. La storia procede più o meno come la conosciamo, ma da bambini ci sono stati celati alcuni aspetti.
Illustrazione di E. Mazzanti della prima edizione del 1883
Il primo aspetto cruento che incontriamo è la modalità con cui Pinocchio si libera del Grillo parlante, letteralmente gli scaglia contro un martello e lo uccide.
Ma l’aspetto più spaventoso riguarda l’incontro proprio con la Fatina. Pinocchio da subito si mette nei guai e ad un certo punto sta fuggendo dagli assassini. Si trova di notte in una selva oscura e corre alla più non posso. Ad un certo punto, superato un fosso di “acqua lurida”, si trova una casina a cui bussa ripetutamente per chiedere aiuto, fino a quando non «si affacciò alla finestra una bella Bambina, coi capelli turchini e il viso bianco come un’immagine di cera, gli occhi chiusi e le mani incrociate sul petto», che annuncia spettrale: «In questa casa non c’è nessuno. Sono tutti morti». Pinocchio non comprende e implora la bambina di aprirgli, ma lei risponde con una frase agghiacciante: «Sono morta anch’io». Scopriamo così che la Bambina è uno spirito, una morta che aspetta solo la bara che arrivi a portarla via. Una situazione narrativa macabra degna del romanzo gotico e di E.A. Poe. In quella “nottataccia d’inferno” Pinocchio viene catturato e impiccato a quella Quercia di cui vi parlavo prima: “stirò le gambe e, dato un gran scrollone, rimase lì come intirizzito”.
Illustrazione di E. Mazzanti della prima edizione del 1883
Quello di Pinocchio è chiaramente un passaggio attraverso il regno dei morti, ma che a differenza di Dante, non ha esito positivo o almeno non ce l’ha nelle prime intenzioni dell’autore. Abbiamo detto, infatti, che Collodi fu costretto a continuare le storie di Pinocchio e in questo suo ritorno, dopo una sorta di resurrezione, il burattino incontrerà di nuovo la Fatina, che ancora non ha l’aspetto della fata che noi conosciamo, ma prima di questo c’è un altro macabro riscontro, perché Pinocchio desidera rincontrarla, trovando solo la sua tomba dove la lapide recita:
QUI GIACE LA BAMBINA DAI CAPELLI TURCHINI MORTA DI DOLORE PER ESSERE STATA ABBANDONATA DAL SUO FRATELLINO PINOCCHIO
Andando avanti nella storia, Pinocchio incontrerà una benefattrice che si rivelerà essere la Fatina, ma che nel frattempo è diventata donna. È come se, metaforicamente, la morte della bambina abbia lasciato il posto alla donna matura, che assume il ruolo di “madre” del burattino. Tanti altri sono gli elementi macabri presenti nella storia: molto cruenta è anche la trasformazione in asino di Pinocchio e degli altri bambini e molto forte è la scena di un orecchio di un altro asino-bambino strappato con i detti.
Illustrazione di E. Mazzanti della prima edizione del 1883
Tirando le somme, potremmo dire che Pinocchio è molto di più di un semplice racconto per bambini, ma è un vero e proprio processo di iniziazione esoterica e teologica:
I nomi dei personaggi farebbero capo infatti a una precisa terminologia alchemica: Pinocchio sarebbe un composto di pino, albero che nell’ermetismo allude alla ghiandola pineale, e di occhio, ossia la visione associata a tale ghiandola; Mangiafuoco corrisponderebbe a Mammona, che nei Vangeli è equiparato al denaro e più propriamente al potere della mondanità, mentre in Lucignolo è rinvenibile Lucifero che, come il Gatto e la Volpe, cioè le passioni del corpo, distraggono Pinocchio dalla scuola ossia dalla possibilità di accedere alla Conoscenza; nella Fata Turchina si esprimerebbe l’archetipo della Grande Madre, assimilabile a Iside ma anche alla Madonna cristiana, che aiuta infine Pinocchio a ricongiungersi col Padre. Anche le singole vicende della storia conterrebbero chiavi interpretative attinte dal filone spirituale della classicità letteraria: ad esempio la trasformazione in asino, che rappresenta la caduta nell’animalità, e ricalca l’analogo episodio presente nelle Metamorfosi e ne L’Asino; o Pinocchio fagocitato nel ventre del Pesce-cane, che ricorda il racconto della Bibbia in cui Giona viene inghiottito da una balena, all’interno della quale giunge a ravvedersi e a ritrovare lo spirito di obbedienza a Dio. (per confronto e approfondimenti leggete la pagina Wikipedia dedicata al libro di Collodi, dove è presente un ottimo apparato bibliografico).
Non ve lo aspettavate? Nemmeno io, ma una cosa è certa, Collodi e la sua opera sono esattamente figlie del loro tempo! E se vi piacciono i libri illustrati e questo Pinocchio un pochino inusuale, vi invito a leggere e ammirare il Pinocchio di Stefano Bessoni, ed. Logos.
Relativo di Davide Skerl, edito da Edizioni Underground?, è una raccolta di racconti brevi (più una sorpresa finale) da leggere tutta d’un fiato, 102 pagine. Evelyn ha disegnato sia la copertina sia l’illustrazione contenuta all’interno del libro.
Il libro inaugura una nuova serie dedicata al male e i racconti sono un vero e proprio pugno nello stomaco, crudi e feroci, che non vi lasceranno indifferenti. Non c’è redenzione per i personaggi, nessuna assoluzione, nessuno è innocente. I racconti, infatti, non parlano di un male assoluto o, peggio, di qualcosa di inumano o lontano da noi. No, i protagonisti di “Relativo” sono persone comuni, potrebbero essere i nostri vicini di casa, i nostri colleghi, i nostri amici o… Noi. Quelle che leggerete sono storie che hanno come argomento il male che rimane relativo in quanto strettamente legato a un’idea di bene distorta o comunemente non accettata. Il bene, infatti, non è assoluto.
Ripensate a quella volta inconfessabile in cui siete stati egoisti, falsi o avete fatto IL MALE solo per tenervi buona una persona. Magari convincendo tutti gli altri che sì, lo facevate a fin di bene…
Evelyn Valenziano
Evelyn Valenziano ha disegnato copertine e illustrazioni per Edizioni Underground?, Edizioni Open, autori self, cantanti, blogger, e anche per il numero di Viva mag di novembre 2018. Ha disegnato per T’immagini Onlus un album da colorare dato in dono ai bambini dell’ospedale San Bambino Gesù di Roma. Nel 2014 ha realizzato i disegni per lo spot dei campionati assoluti di Judo 2014. Ha frequentato un corso per scrivere sceneggiature di fumetti, “Scrivere a fumetti” presso il Circolo Gagarin di Busto A., con Adriano Barone e Alessio De Santa. Ha partecitato a mostre personali e collettive e ha ricevuto premi e riconoscimenti.