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“Le orche e i cavalli possono essere amici”, il tema del bullismo nel libro di Demetrio Verbaro

Il bullismo è una realtà molto diffusa tra i bambini e i ragazzi in età scolastica e questo libro analizza le ragioni sociale che sono alla sua origine

Il libro di Demetrio Verbaro “Le orche e i cavalli possono essere amici” (Pubme) è il frutto di un progetto che l’autore ha realizzato con gli alunni di una Scuola Secondaria di primo grado ed è incentrato su un tema molto delicato e attuale: il bullismo. Oggi più che mai, a causa dei social media e di alcuni fenomeni sociali, i bambini e gli adolescenti sono particolarmente vulnerabili e facilmente cadono nella rete di chi, più malizioso e spregiudicato, mette in atto azioni che apparentemente hanno la maschera dello scherzo, ma che invece possono danneggiare la persona.

La storia che Verbaro ci propone narra la vita di due adolescenti, apparentemente in contrasto tra loro perché vittima e carnefice, ma analizzando dall’interno le loro vite, ci si rende conto che entrambi i protagonisti sono vittime di un sistema sociale malato. La storia è ambientata in un paese della Valle d’Aosta, un luogo d’altri tempi, in cui buone relazioni e natura creano un equilibrio perfetto, ma proprio l’avvento della tecnologia e di internet “distrugge” l’armonia.

“Questa armonia, un equilibrio costruito a fatica in tanti anni, scomparve senza fragore. Non fu un cambiamento repentino, successe tutto lentamente, ma avvenne senza che nessuno se ne accorgesse, come l’acqua che goccia dopo goccia erode una montagna dal di dentro per anni, fino a farla crollare poi all’improvviso, in modo fulmineo”.

In questo contesto si sviluppa la storia incrociata di Kevin e Nicholas.

Di Kevin viene detto: “Prima di quella fatidica data era un ragazzo allegro e pieno di entusiasmo”. Nicholas, invece, viene così descritto: “Era un ragazzo pieno di rabbia, non riusciva a controllarla, si sentiva infelice e non sapeva spiegarsi il motivo”.

I due adolescenti vivono in un contesto familiare differente e nonostante la calma apparente, un conflitto generazionale e problemi e problemi di varia natura, dall’abuso di droga a quello di cibo, con il passare del tempo assumono sfumature pericolose.

Kevin e Nicholas esprimono il loro disagio in maniera differente, ma allo stesso modo distruttivo. Anche se abbiamo a che fare con due persone differenti, a loro modo sono due anime sofferenti, che l’indifferenza o l’egoismo altrui acuiscono giorno dopo giorno.

Questo libro semplice e di veloce lettura apre gli occhi su dinamiche quotidiane e ci dimostra che possono toccare tutti.

Recensione: “Il ragazzo ombra” di Laura Costantini

Il romanzo di Laura Costantini è il primo capitolo della serie ambientata nell’Inghilterra vittoriana.

Il Ragazzo ombra è uno dei romanzi che avevo da recuperare da troppo tempo. L’ho letto nel fine settimana e dopo un inizio un pochino a rilento, la lettura mi ha presa ed è scivolato fino alla fine con grande facilità. Il romanzo, ambientato tra l’Inghilterra vittoriana e l’India coloniale alla fine del XIX secolo, è firmato da Laura Costantini ed è il primo capitolo della serie targata “Diario Vittoriano”.

La prima cosa che colpisce del romanzo è la struttura, la quale alterna la storia dei protagonisti con pagine di diario scritte da uno dei due. A questo si aggiunge il continuo passaggio temporale tra il passato, il presente e il tempo in cui è scritto il diario.  Si tratta di un tempo intimo, in cui il protagonista ha messo per iscritto e rilegge pensieri, sensazioni e considerazioni vissute vent’anni prima.

I protagonisti

Chi sono i protagonisti? Sono due ragazzini, Robert e Kiran, legati da una profonda amicizia, che rappresenta per loro anche una certezza in una vita non sempre facile da digerire. Robert e Kiran potrebbero essere due ragazzi come tanti, ma gli eventi della loro vita li caratterizzano in maniera indelebile. In entrambi i casi hanno un passato familiare difficile.

Robert ha un rapporto conflittuale con il padre, dovuto alla morte della madre nel darlo alla luce. Kiran, invece, deve fare i conti con la sua famiglia di origine, una famiglia indiana facoltosa, che si aspetta da lui la continuazione della casata. Il disagio per la propria condizione, per il dolore che quotidianamente sono costretti ad ingoiare, li farà sentire vicini e la loro amicizia li unirà in maniera unica.

I temi

Il romanzo, scritto bene e con grande accuratezza, porta il lettore a riflettere su alcuni temi importanti. Innanzitutto, sull’incontro di culture differenti. Spesso si guarda con diffidenza ciò che non appartiene alla nostra cultura di origine, ma questa storia ci racconta che non esistono barriere di nessun tipo, soprattutto culturale, ma ad unire le persone è esclusivamente il sentire comune. Altro tema sono, dunque, i sentimenti, che hanno un valore universale, indipendentemente dal sesso delle persone:

I profili dei due ragazzi, ognuno perfetto a suo modo, sembravano sul punto di coincidere in un bacio. Trattenne il fiato mentre le labbra di Kiran si muovevano ad un soffio da quelle di Robert. «Sono qui. Mi senti?» sussurrava. «Ho solo te al mondo. Non lasciarmi. Non posso esistere senza di te. Non lasciare che mi dissolva.

Conclusioni

La storia, i protagonisti, l’intreccio con tutti i suoi intrighi sono veramente ben costruiti e grazie ad una narrazione pacata, che accompagna bene la vicenda e i sentimenti, il romanzo risulta veramente gradevole. L’autrice in questo è molto brava, così come è brava nella descrizione dei luoghi e delle ambientazioni, che non sono mai ridondanti e fini a se stesse.

L’unica pecca, ma questo è un mio gusto personale, riguarda la copertina del libro, che non mi convince molto. Per il resto, Il Ragazzo ombra è un romanzo bello, che si chiude con un finale coinvolgente e aperto, lasciando il lettore con il fiato sospeso. In conclusione, se vi piacciono i romanzi di formazione, le ambientazioni vittoriane, l’amicizia e i sentimenti giovanili, questo è il romanzo giusto.

Incubi e sogni nel libro di Rab

Il libro di Rab è una serie di dipinti scritti a parole, in cui voci narranti si rincorrono, si intrecciano, si scavalcano riuscendo a dialogare con i sentimenti più profondi di ognuno.

La recensione di oggi riguarda un libro diverso dal solito. Il libro in questione è l’ultima pubblicazione di Rab, intitolata Incubi e sogni che giocano a fare l’amore, edito da Robin Edizioni.

Quando mi sono ritrovata a sfogliare il libro per la prima volta, credevo di avere tra le mani una raccolta di brevi racconti. Invece, non appena ho iniziato a leggerlo, mi sono resa conto che si trattava di tutt’altro. L’autore, Rab – pseudonimo letterario di Gabriele Schettino – è un giovane torinese con una forte passione per la scrittura. Tutto è partito dai social per poi approdare alla carta.

Incubi e sogni che giocano a fare l’amore è la sua ultima fatica letteraria, la cui connotazione principale è il dialogo. Non ci troviamo però di fronte al classico dialogo tra due personaggi, ma tra la voce narrante e il suo io più intimo.

Ogni capitolo – il libro ne conta in totale quindici – si suddivide in due parti. In una c’è una sorta di riflessione su uno specifico tema, che nell’altra parte si rende, in qualche modo, concreta in un dialogo, una sorta di scena reale, che ognuno potrebbe aver vissuto.

Nella quarta di copertina, in riferimento al libro, si legge che si tratta di una serie di dipinti scritti a parole, in cui voci narranti si rincorrono, si intrecciano, si scavalcano riuscendo a dialogare con i sentimenti più profondi di ognuno.

In effetti, la riflessione di Rab tocca il lettore, che si vede coinvolto nei pensieri, nelle sensazioni e nelle esperienze che le singole “scene” evocano.

A me è capitato qualche volta e se devo essere onesto di tanto in tanto mi capita ancora. Tempo fa avevo paura di scordarmi che suono avesse la tua voce. Di smarrirla per strada, di non ricordarla più e perdermi per sempre.

Nel cuore della riflessione c’è il binomio sogno-incubo. Dove inizia il primo e dove finisce l’altro? Non è facile definirlo, ma soprattutto perché sono due “realtà” estremamente individuali, anche se in entrambe si possono trovare delle matrici comuni.

I sogni non ci appartengono, dovremmo esserne consapevoli. Sono come le figurine che vengono appiccicate sugli scivoli dei bambini del parco. Appassite dalla pioggia smangiucchiate ai lati, dimenticate e ritrovate lì dopo anni.

Questi sono i sogni, qualcosa che ci resta appiccicato addosso e si deteriora, ma non scompare. E gli incubi, invece?

Gli incubi sono come un sacchetto della spesa che si impiglia tra i rami, portato lì da te.

L’incubo è una parte del sogno. Se non esiste l’uno non può esistere nemmeno l’altro e non si può rinunciare a tutto solo per evitare la parte sgradevole.

Il fatto è che mi sono fatto prendere dalla paura di perdere i sogni. (…) I sogni hanno bisogno di attenzioni, di essere trattati con cura e dedizione. Sono come le rose? Sì, quelle che piacciono tanto a nonna. Sono tali e quali. Ti ci buchi le mani, te li graffi, ma ne vale la pena. Perché quando li vedi sbocciare, poi, il mondo trova un senso.

Incubi e sogni che giocano a fare l’amore è un libro complesso, o meglio che mostra la complessità del sentire umano. È un libro che muove dall’esperienza concreta della vita, sulla quale è necessario riflettere, per trovare l’equilibrio tra il sogno e il suo corrispettivo incubo.

Il coraggio della felicità, il libro di Loredana Scaiano

Il coraggio della felicità è il diario di viaggio di una donna che ha avuto la forza di compiere un viaggio intorno al mondo alla scoperta di sé e dell’altro.

Credete alla possibilità di cambiare vita alle soglie dei cinquant’anni? Di compiere quel passo che vi porta alla felicità che avete sempre sognato e mai raggiunto? Se la risposta a queste domande è no, allora dovete leggere il libro di Loredana Scaiano, Il coraggio della felicità.

Il libro è il resoconto di un viaggio, ma non aspettatevi il solito viaggio di piacere per conoscere il mondo. Il libro di Loredana è molto di più, è un percorso di vita, di riscatto sulle orme di una grande donna, Ida Pfeiffer, che nel 1848 decise di compiere un’impresa mai vista prima: il giro del mondo in solitaria.

Come vi dicevo, nel viaggio di Loredana c’è dell’altro. La sua vita, alla vigilia di questo viaggio, aveva accumulato solo negatività e un matrimonio ormai finito, a cui si aggiunge il forte desiderio di cambiare la vita. L’essersi imbattuta nella storia di Ida Pfeiffer ha dato a Loredana la spinta e il coraggio per compiere il suo viaggio alla scoperta del mondo e di sé stessa.

Parte così un’avventura straordinaria, durata 134 giorni, nel corso dei quali Loredana ha visitato 20 paesi, visitando posti meravigliosi, vivendo emozioni importanti, ma soprattutto ha imparato ad affrontare gli imprevisti della vita. Il viaggio diventa così metafora di vita, perché ci insegna che non tutto può essere programmato e previsto. Anzi, nella vita ci sono più gli imprevisti a destabilizzarci, che la normalità. Ma è in quei momenti di sconforto è necessario reagire e trovare nuove motivazioni.

In tal senso, il viaggio di Loredana è la testimonianza concreta che bisogna avere coraggio se si vuole essere felici. La felicità inizia dal Brasile, l’ultima tappa della Pfeiffer, per continuare poi per il Cile, Cina, Sri Lanka, India, Oman, Iran, Polinesia, Isola di Pasqua e tantissimi altri luoghi che approdano in Grecia, ad Atene.  Culture, cibo, colori, profumi sono solo alcune delle suggestioni che questo racconto-diario ci presenta, ma è soprattutto una sfida al superamento dei preconcetti a cui siamo indissolubilmente ancorati. È questa la vera sfida che Loredana ha superato e forse anche quella che ognuno di noi dovrebbe prima o poi affrontare.

L’azzardo, il secondo libro della saga di Beatrix Ives-Pope

Vi presento “L’azzardo”, il secondo capitolo della trilogia scritta da G. B. Thistle, che con questo libro è alla sua terza pubblicazione.

L’azzardo è il secondo capitolo della saga con protagonista la bella truffatrice Beatrix Ives-Pope, nata dalla penna di G.B. Thistle. Ormai è un appuntamento fisso per me la lettura di questo autore, che ringrazio tantissimo per la fiducia che mi accorda all’uscita di un suo nuovo libro.

Lo ammetto, non vedevo l’ora di avere questo romanzo tra le mani e di leggerlo. Il motivo è semplice: il primo libro mi era piaciuto tantissimo e, soprattutto, la storia era rimasta in sospeso, incuriosendomi sull’evolversi della vicenda.

L’azzardo

La storia riprende a pochi mesi dagli eventi narrati nel primo volume, ma ritroviamo gli stessi protagonisti: ovviamente l’intrigante Beatrix e i suoi amici e colleghi Henry, Daniel e Pat. Anche i nemici sono gli stessi, ma qualcosa nell’intera vicenda è cambiato.

A scandire il primo libro, La trappola, è soprattutto il lavoro che la banda di Beatrix deve portare a termine, ma sullo sfondo già intravediamo una vicenda molto più complessa e che tocca la vita privata della protagonista. Questo aspetto, nel secondo libro, è molto più sviluppato, anzi direi che è completamente concentrato su questo e si inizia a capire che nella faccenda, avviatasi anni prima, è coinvolto il padre di Beatrix, che fino a quel momento è… e non ve lo posso dire, altrimenti vi rovino la lettura. Mi perdonerete!

La protagonista

Altra differenza fondamentale con il primo romanzo riguarda proprio la protagonista. La trappola ci presenta una Beatrix calcolatrice, professionale, fredda, ad eccezione del suo amore per la figlia. Il questo secondo libro, invece, l’autore ha lavorato molto sul profilo psicologico e sentimentale della sua protagonista. Vediamo una Beatrix più “umana”, combattuta nei sentimenti e a tratti insicura; segno questo di un passato, nel quale ha sofferto e che l’ha evidentemente segnata.

Finale

Ovviamente, la vicenda resta di nuovo in sospeso e proprio sul più bello, lasciando il lettore sulle spine , ma posso dirvi che l’autore mi ha anticipato che il terzo volume chiuderà la serie e questo, devo essere sincera, mi dispiace un po’! Vi consiglio di recuperare questi libri se vi piacciono le storie alla Ocean’s Eleven.

Intanto, non ci resta che aspettare il terzo capitolo e magari rileggere tutti i libri di G. B. Thistle. Se volete saperne di più, potete cliccare sui seguenti link. Buona lettura!

La trappola, una storia di inganni e trasformismo

L’uomo che cambiò il futuro | Il nuovo romanzo di G. B. Thistle ci fa viaggiare nel tempo

“Prime luci del mondo”, la silloge poetica di Giulia Coppa

Giulia Coppa, dopo un romanzo fantasy e una raccolta di racconti, ci presenta una silloge poetica, intitolata “Prime luci del mondo”.

Prime luci del mondo (S4M Edizioni) è la silloge poetica di Giulia Coppa. Si tratta, per me, della terza collaborazione con questa autrice, che sa spaziare dalla poesia al romanzo fantasy, passando per i racconti. Se volete scoprire le altre pubblicazioni potete cliccare qui per conoscere la sua raccolta di racconti intitolata Fervore; se, invece, amate i romanzi fantasy scoprite Memorie di Taenelies, scritto a quattro mani con Eric Rossetti.

La poesia esprime l’anima e il cuore di coloro che si prodigano nella ricerca delle tormentate ispirazioni e della gioia che il mondo cela agli occhi meno indagatori. Prime luci del mondo è il sottofondo e la musica dolente e costante che ognuno di noi incontra nel lungo viaggio delle emozioni e dei sentimenti della vita. La sensibilità del cuore viene elevata nella natura, nei misteri dell’essere umano e nella gloriosa alba della luce sulla terra. Prime luci del mondo parla di tormenti, di pace, di felicità e di dolore.

Non è mai semplice raccontare una silloge poetica. La poesia ha in sé l’intimità di un pensiero, di un sentimento; sa cogliere stati d’animo improvvisi, momenti unici, raccontandoli in maniere non sempre palpabile. È necessario abitare la poesia, tenere il testo tra le mani, assaporarlo parola per parola per coglierne il senso profondo ed entrare a far parte di quel momento unico.

Il sospiro dell’aurora
Opale di luce
Arminia,
iridescente tragedia produce.

Ed è quello che ho fatto con le poesie di Giulia Coppa, le ho tenute per mano molto tempo e mi sono resa conto di avere di fronte un percorso scandito dalle meraviglie della natura e dal tempo che dispiega il corso della vita. Albe, tramonti, vento, luce, fiori, rumori, ombre sono elementi costitutivi del sentire di Giulia Coppa. La riproduzione di questi suoni, che all’apparenza sono l’insieme di vocali e consonanti, in realtà concentrano in sé l’essenza vere dell’essere umano, il quale si divide tra bene e male, tra gioia e dolore. In tal senso è interessante citare Dedica all’essere umano, di cui vi riporto la strofa conclusiva:

(…)
O tu, che ti cibi di te stesso,
del mondo e dell’animo sospeso
tra la morte e la paura del riflesso
della bestia che saresti senza aver compreso
dell’universo l’energia
che regge ogni attimo inatteso.

Giulia Coppa dimostra di essere una scrittrice a 360°, che sa trasformare le emozioni in parole e con questa raccolta padroneggia con una certa sicurezza il verbo poetico, seppur nel verso libero e spesso ermetico e chiudo questa mia recensione con una sua poesia, che testimonia questo suo narrare introspettivo e non sempre decifrabile in pieno.

Anima mia
Straziata anima mia.
Pervasa di odio anima mia.
Privata dell’amore anima mia.
Anima mia, fulgida melodia di vita.
Anima mia, sorgente di fresca sinfonia.
Anima mia, eterna si apre nell’assenza di tempo
la via.

Il segreto di Ippocrate nel romanzo di Isabella Bignozzi

Isabella Bignozzi ci racconta la storia Ippocrate, il famoso medico a cui è attribuito il giuramento che ancora oggi i medici fanno prima di intraprendere la loro professione.

È da più di due millenni che chi intraprende la professione di medico compie un rito tanto suggestivo quanto importante. Sto parlando del Giuramento di Ippocrate, attribuito al maestro di Kos. E proprio su Ippocrate si è concentrata la mia ultima lettura, che in realtà si protraeva da un po’ di tempo, perché il libro mi ha emozionata così tanto, che mi dispiaceva terminasse. Sto parlando de Il segreto di Ippocrate di Isabella Bignozzi, edito da La Lepre Edizioni.

Il titolo può trarre in inganno, poiché sembra evocare chissà quale mistero, in realtà è la storia della vita di Ippocrate e del “mistero” della sua arte medica, fatta di studio, osservazione, cautela e tanta tanta umanità.

La conoscenza dei fatti è molto originale, perché essa avviene attraverso la narrazione che lo stesso Ippocrate, ormai vecchio, stanco e alla fine dei suoi giorni, fa al suo discepolo e genero Pòlybos. Nelle dieci parti in cui è suddiviso il libro, ci viene presentato il pensiero medico e filosofico di Ippocrate, ma ci sono date anche le spiegazioni delle sue teorie e assistiamo alle varie fasi di crescita umana e all’apprendimento scientifico di colui che è, evidentemente, considerato uno dei padri della medicina. A tal proposito è molto interessante come l’autrice ci racconta proprio questo percorso di apprendimento.

Ippocrate, Busto. Fonte Wikipedia

Ippocrate è figlio di Fenarete e di Eraclide e apparteneva ad una famiglia aristocratica, che ha sempre avuto interessi in campo medico. Pare che appartenessero alla corporazione degli Asclepiadi e le cronache ci dicono che Eraclide sembrava amasse affermare di essere un discendente proprio di Asclepio, il dio della medicina. All’epoca, anch’egli era un medico famoso e rappresentò per Ippocrate un importante punto di riferimento ed esempio per tantissimo tempo, ma non mancarono nella sua formazione altri maestri esemplari, probabilmente non solo greci.

I numerosi viaggi intrapresi da Ippocrate, e ancor prima da suo padre, ci dimostrano quanto fosse – e lo è ancora – necessaria la condivisione di conoscenze, osservazioni ed esperienze. Ippocrate sicuramente era un medico eccellente, divenuto famoso per il suo contributo nel fermare l’epidemia di peste che si sviluppò ad Atene nel 429 a.C., ma vista l’ampia distanza temporale dai fatti, non è mai facile distinguere la realtà da cosa nel tempo è divenuto leggenda. Isabella Bignozzi, però, è riuscita a darci un romanzo che, seppur frutto della fantasia, risulta coerente e ben documentato laddove possibile. Basta dare anche solo un’occhiata veloce alla bibliografia e alle note per rendersi conto che si ha di fronte un testo che è molto di più di un semplice romanzo.

Giuramento di Ippocrate. Fonte Wikipedia.

Quello che più mi ha colpito nella lettura di questo libro è stata la capacità dell’autrice di darci dei personaggi veri, tangibili, coerenti con il loro ruolo e con una umanità che si presenta anche con i suoi momenti di incertezza e di fragilità. Non si parla solo di Ippocrate in questo libro, ma la sua vita si intreccia e si lega a tantissimi altri personaggi, noti e meno noti, reali o letterari, che ci mostrano come si svolgeva la vita quotidiana del tempo, quali erano gli usi e i costumi sociali e religiosi e non solo in ambito greco.

In tutto questo fanno da sfondo i grandi avvenimenti della Storia, che se non è certo siano stati vissuti in prima persona dal medico di Kos, di certo erano conosciuti e, in qualche modo, presenti nella vita del nostro protagonista. L’ultimo aspetto che mi piace mettere in evidenza è il modo come la Medicina e l’Arte medica viene presentata: essa è un campo di indagine, di ricerca, di continua sperimentazione, e approcciarsi ad essa significa predisporre animo e mente all’aiuto incondizionato verso l’altro, lasciando da parte inutili e vacui personalismi. In questo Ippocrate, nella lettura che Isabella Bignozzi ci fa, è un esempio imprescindibile da seguire.  

“Vivo nel terrore di non essere frainteso”. Gli aforismi di Oscar Wilde

Oscar Wilde non ha mai scritto un libro di aforismi, ma a farlo per lui fu la moglie Constance Lloyd. Alcuni li ritroviamo nella raccolta edita Feltrinelli.

Oscar Wilde – Fonte Web

Chi non ha mai letto un aforisma o non se ne è servito per descrivere un pensiero e uno stato d’animo? Sul web se ne trovano tantissimi e forse i più diffusi e anche i più sagaci sono quelli di Oscar Wilde. In realtà, l’autore de Il ritratto di Dorian Grey non ha mai scritto di suo pugno un libro di aforismi, ma il  primo testo pubblicato con questi brevi pensieri comparve nel 1895 con il titolo di Oscariana e fu curato dalla moglie di Wilde, Constance Lloyd.

Wilde e la sua famiglia
Fonte web.

Il libro che ho appena letto, Oscar Wilde. Aforismi è stato pubblicato dall’editore Feltrinelli nella sezione dei Classici della collana Universale Economica ed è stato tradotto e curato da Silvia Mondardini.

I suoi aforismi hanno una particolarità: tendono tutti ad acquisire la fisionomia del paradosso che, più che essere una forma corrente dell’espressione di Wilde, ne è quasi una categoria del pensiero. Gli aforismi wildeani sembrano infatti delle battute da uomo da palcoscenico, che non hanno solo l’intento di stupire o far riflettere, ma posseggono una grande forza agonistica”

In questo volume, Silvia Mondardini ha concentrato la sua attenzione sul Wilde “grande conversatore, salottiero, compagno di riflessioni e di risate, uomo dotato di un fascino da vero incantatore che, al di là dei pruriginosi fatti di cronaca, aveva fatto innamorare di sé buona parte della società vittoriana”.

Leggendo questa raccolta, che segue una strutturazione basata su temi ben precisi, si nota la profondità intellettuale di questo scrittore, suscitando nel lettore ora lo stupore, ora il riso, ma anche l’indignazione o l’entusiasmo. Io leggendo il volume ne ho selezionati alcuni (tanti in realtà) e ora ve ne propongo qualcuno.

  1. Gli uomini diventano vecchi, ma non diventano mai buoni.
  2. Spesso penso che Dio, nel creare l’uomo, abbia in qualche modo sopravvalutato la Sua capacità.
  3. Nessun uomo è abbastanza ricco da poter ricomprare il proprio passato.
  4. L’evoluzione dell’uomo è lenta. L’ingiustizia dell’uomo è grande.
  5. Un uomo non può sempre essere giudicato in base alle sue azioni. Può rispettare la legge, e tuttavia non valere niente. Può infrangere la legge, ad essere eccellente.
  6. Un uomo che moraleggia è solitamente un ipocrita, mentre una donna che moraleggia è decisamente insignificante.
  7. Nessun uomo può avere successo nel mondo a meno che non abbia una donna che lo sostenga, e le donne governano la società.
  8. Più uno studia la vita e la letteratura più fortemente sente che dietro tutto ciò che è meraviglioso sta la persona, e che non è il momento che fa l’uomo ma è l’uomo che crea l’epoca.
  9. Adoro recitare. È tanto più reale della vita.
  10. Se un uomo tratta la vita artisticamente, il suo cervello è nel cuore.
  11. Si può vivere anni talvolta senza vivere affatto, e poi tutta la vita si concentra in una sola ora.
  12. È pura e incontaminata vita campestre. Si alzano presto al mattino perché hanno così tante cose da fare e vanno a letto presto perché hanno così poco a cui pensare.
  13. Siamo i demoni di noi stessi, e rendiamo questo mondo il nostro inferno.
  14. Il mondo è un palcoscenico, ma le parti della commedia sono assegnate malamente.
  15. Mi sorprendo sempre. È l’unica cosa per cui vale la pena vivere.

    Oscar Wilde, 1882. LEHTIKUVA / EVERETT COLLECTION / Jerry Tavin (Fonte web)
  16. Ma il passato non ha alcuna importanza. Il presente non ha importanza. È con il futuro che dobbiamo avere a che fare. Perché il passato è ciò che un uomo non avrebbe dovuto essere. Il presente è ciò che l’uomo non dovrebbe essere. Il futuro è ciò che sono gli artisti.
  17. Tutte le donne diventano come le loro madri. Questa è la loro tragedia. Un uomo no. E questa è la sua tragedia.
  18. La felicità di un uomo sposato dipende dalle persone che non ha sposato.
  19. Nessuno dovrebbe avere segreti per la propria moglie, lei li scopre regolarmente.
  20. Una famiglia è un ingombro terribile, specialmente quando non si è sposati.
  21. Morire per una credenza teologica è il peggior uso che un uomo possa fare della propria vita.
  22. Un sermone è una salsa triste quando non hai nulla a cui accompagnarlo.
  23. Sono fin troppo consapevole che siamo nati in un’epoca in cui solo i cretini sono trattati seriamente, e vivo nel terrore di non essere frainteso.
  24. Date ai bambini la bellezza, non la descrizione di massacri sanguinosi e di risse barbare che definiscono storia, o della latitudine e longitudine di luoghi che nessuno vuole visitare, che chiamano geografia.
  25. Una scuola dovrebbe essere il luogo più bello del mondo in ogni città e villaggio – talmente bello che la punizione per i bambini disobbedienti dovrebbe essere impedire loro di andare a scuola il giorno seguente.
  26. I parenti sono semplicemente un noioso gruppo di persone che non hanno la più pallida idea di come vivere, né il minimo istinto circa quando morire.
  27. Non mi farò mai un nuovo amico in vita, anche se forse me ne farò qualcuno dopo che sarò morto.
  28. L’unico obbligo che abbiamo nei confronti della storia è quello di riscriverla.
  29. L’indifferenza è la vendetta che il mondo si prende sui mediocri.
  30. È sempre con le migliori intenzioni che si realizza il peggiore lavoro.

 

RECENSIONE | Il romanzo di Serena Marotta che parla di donne

Il libro che vi ho recensito oggi è frutto di una collaborazione con Serena Marotta, una giornalista impegnata nel mondo della cultura, ma è anche una scrittrice promettente.

Serena Marotta è una giornalista palermitana che si occupa di cultura e di importanti inchieste, ma è anche una scrittrice eclettica. All’attivo ha due pubblicazioni. La prima è “Ciao, Ibtisam! In caso Ilaria Alpi”, il secondo è il suo primo romanzo dal titolo I sensi. Uomini di un certo tipo”.

Il libro ha come protagonista Giada, una giovane e attraente giornalista, che sta scrivendo un libro sul disagio mentale e per questo motivo si reca all’ospedale psichiatrico per intervistare medici e pazienti. Qui incontra Paolo, uno dei dottori, di cui si innamora perdutamente, passione che coinvolge anche l’uomo e che vediamo crescere, fermarsi e, poi, riprendere con più vigore di prima.

La storia la conosciamo attraverso il punto di vista della protagonista, che non nasconde le sue paure, incertezze, i suoi entusiasmi nei confronti di questa nuova storia d’amore, anche se non mancheranno altri incontri e passioni momentanee. Assistiamo, dunque, ad un percorso di crescita sentimentale e umana, che trasforma la protagonista in una donna consapevole e decisa.

Al di là della storia in sé, quello che più mi ha colpita nel romanzo sono due tematiche che vengono toccate. La prima è sicuramente la malattia mentale. È la prima volta che mi capita di leggere un romanzo in cui si parla di esperienza psichiatrica come percorso di recupero della persona. Serena Marotta, infatti, mostra attraverso i suoi personaggi che è possibile il recupero psichico della persona, la quale può tornare a vivere una vita normale e soddisfacente. La malattia mentale può essere combattuta e da essa si può anche uscire, per ritornare ad essere un parte importante della società e non solo una pedina posta ai suoi margini.

Il secondo aspetto che mi ha colpita è come l’autrice abbia saputo mostrare le difficoltà di un lavoro precario, fatto di contratti a tempo determinato o da freelance e se poi sei donna la difficoltà è anche maggiore.

Questo libro parla delle donne, delle loro passioni, dei loro sogni e delle loro difficoltà e insicurezze. Ci parla di donne normali, che devono spesso combattere per ottenere un riconoscimento e tutto questo attraverso uno stile semplice, ma persuasivo, che ci tiene attaccati alla pagina e alla storia della sua protagonista.

RECENSIONE: Il respiro del vino, un viaggio appassionante con Luigi Moio nel mondo del vino

Il vino racchiude in un solo bicchiere l’odore del mondo intero”. Questa frase posta nel libro di Luigi Moio, Il respiro del vino. Conoscere il profumo del vino per bere con maggior piacere  (Mondadori) è molto suggestiva e ci racconta più di quanto possiamo immaginare. Lì per lì sembra una frase come tante, una frase accattivante, ma se ci si sofferma un attimo a pensare ci si rende conto che in un bicchiere di vino c’è veramente il mondo intero, fatto di cultura, storia, umanità, lavoro, arte, passione e…molto molto altro!

Di questo, ma non solo di questo, si parla nel libro di Luigi Moio, dedicato al vino, alla sua produzione, alla sua conoscenza, degustazione e valutazione.

Luigi Moio è professore ordinario di Enologia al Dipartimento di Scienze degli Alimenti dell’Ateneo Federiciano. Da più di vent’anni si occupa degli aspetti sensoriali, biochimici e tecnologici dell’aroma del vino. È autore di tantissime pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali. Esperto scientifico per il ministero delle Politiche agricole dal 2015 è nella commissione di enologia dell’OIV (Organizzazione internazionale della vigna e del vino) con sede a Parigi. È accademico dei Georgofili e dell’Accademia italiana della vite e del vino.

Luigi Moio, dunque, non è un semplice appassionato, ma un profondo conoscitore del vino, un professionista, un esperto ai massimi livelli, che oltre alla passione ha aggiunto la conoscenza. Moio ci parla di vino non come un semplice prodotto da vendere, ma ce lo racconta con una passione tale da non lasciare indifferente nemmeno in lettore più distratto o meno interessato.

È un dato di fatto che il vino ormai attrae sempre più appassionati e affascina un pubblico davvero eterogeneo. (…) L’immenso potere seduttivo da sempre esercitato dal vino sull’uomo è, innazitutto, riconducibile alla sfera delle emozioni.

Con questo libro è possibile entrare nel mondo del vino anche se non si possiede alcuna conoscenza enologica, perché Luigi Moio ci sa raccontare, con la competenza e la semplicità dei grandi uomini, tutto quello che è necessario sapere per poter gustare, riconoscere e valutare un calice di vino. L’autore ci prende per mano e ci accompagna, passo dopo passo, nei filari dei vigneti italiani, ci racconta le varie caratteristiche delle uve in un percorso olfattivo, il quale ben presto coinvolge la persona nella sua interezza.

Negli ultimi anni, poi, la considerazione che il vino è un bene culturale e l’espressione di tradizioni territoriali ne ha accresciuto il fascino esaltandone anche l’aspetto estetico. In particolare, mi riferisco al suo profumo, poiché un vino che non ha un profumo non è altro che una semplice dose d’alcol.

Con il suo libro Luigi Moio mette su carta la sua profonda conoscenza del vino accumulata in anni di ricerca e di studio: in questo libro sono confluite tutte le argomentazioni sul profumo del vino da me trattate negli ultimi vent’anni di ricerche, incontri, seminari, lezioni, integrate da tanti spunti ritrovati nei miei diari personali, con l’unico obiettivo di soddisfare l’interesse per l’entusiasmante mondo del vino già palesato da studenti, tecnici, sommelier, appassionati e perfino persone astemie, molte delle quali hanno poi cambiato idea, con mia grande felicità.

Il volume coniuga perfettamente il carattere divulgativo dell’opera e quello scientifico, proprio del ruolo accademico dell’autore. Nonostante lo spazio che viene dato alla chimica e agli aspetti tecnici e prettamente scientifici, questo libro risulta – anche grazie ad uno stile chiaro ed essenziale – accessibile anche ai non addetti ai lavori.

Questo libro, infatti, può essere letto in due modi, cioè soffermandosi sui contenuti più scientifici oppure tralasciandoli e, senza per questo perdere il filo del discorso, traendo godimento delle sole parti discorsive.

Bere un bicchiere di vino non è un’azione meramente pratica, ma è una esperienza dei senti, che attraverso la ritualità dei gesti “ci aiuta a riappropriarci del nostro tempo e del nostro equilibrio interiore”.