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RECENSIONE | Apriti cielo! Il libro che racconta le disavventure di due steward

Quando ero piccola ho sempre visto il lavoro di hostess, steward e pilota d’aereo estremamente affascinante. Credevo che volare in ogni parte del mondo significasse lavorare e viaggiare allo stesso tempo. Se questo per alcuni banali e superficiali aspetti è vero, dall’altro non ho mai tenuto in considerazione che il lavoro di hostess e di steward significasse anche stare a contatto con le tantissime persone che frequentano i voli e si muovono da un paese all’altro. E il mio carattere probabilmente non è proprio il migliore per questo lavoro e quindi  l’idea è sfumata subito, ma dopo aver letto il libro di Franco Lombini e Mario Tadiello ho avuto la certezza di aver preso la decisione giusta e scartare quella ipotesi è stata proprio una scelta saggia (anche se il lavoro che fa per me, a quanto pare, ancora non è stato inventato!).

Ma basta con queste considerazioni e veniamo al libro: Apriti cielo! Confessioni minime di due steward al servizio di sua Maestà, edito Bookabook.

Quando il reale diventa surreale e la follia un modus vivendi, hai due opzioni: o ne parli con un bravo psicologo (ma non sempre funziona) o con una buona dose (q.b.) di ironia ne scrivi al mondo intero.
Questo libro è il frutto del lavoro di due steward che hanno deciso di mettere nero su bianco le loro (dis)avventure, riempiendo il “vuoto d’aria” di cui non si è mai parlato. Finora.

Si tratta dell’esilarante racconto dei due autori e steward, che nelle tantissime ore di volo hanno raccolto una serie di “esperienze” a dir poco surreali. Devo ammettere che sto ancora ridendo pensando ad alcune situazioni, che sono talmente assurde che non possono che essere vere. Cinquanta racconti brevi per altrettante situazioni, che vi lasceranno increduli. Se certe situazioni potremmo aspettarcele, vi assicuro che molte vi lasceranno senza parole, anzi senza fiato dalle risate. Una su tutte, Torà e parrucca, che non riesco proprio a togliermela dalla testa.

Al di là dei fatti e dei soggetti artefici delle vicende, quello che mi ha colpito molto del libro sono due aspetti: il primo è legato allo stile, ironico come pochi sanno essere alla perfetta maniera british; il secondo è la capacità degli autori di raccontare situazioni surreali senza l’ombra del giudizio. Mostrano un impeccabile aplomb, tipico degli ambienti anglosassoni, ma privo di quella che noi rusticamente chiamiamo “puzza sotto il naso”.

Apriti cielo! è un libro molto divertente, che potrebbe accompagnare la vostra estate, anche se sono sicura che lo finirete in un attimo, come l’ho letto io in un pomeriggio e non vedo l’ora che venga pubblicato il secondo volume, per il quale, se conferma il livello del primo, bisogna solo predisporsi a farsi un mucchio di risate!

FRANCO LOMBINI è nato e cresciuto a Forlì. Dopo la laurea in Interpretariato e Traduzione si è trasferito in Inghilterra dove ha abitato per oltre vent’anni, conseguendo un’altra laurea in Studi Classici e un Master in Traduzione Letteraria. Alla professione di assistente di volo, oggi affianca anche quella di traduttore editoriale.

MARIO TADIELLO nasce a Bonaldo (VR). Laureato in Interpretariato e Traduzione, ha vissuto in Inghilterra per venticinque anni, ottenendo un’altra laurea in Studi Classici e un Master in Traduzione Letteraria. Da oltre vent’anni solca i cieli al servizio di Sua Maestà e traduce per l’editoria.

Fulvio Rendhell: una vita nell’occulto

L’articolo di oggi riguarda un argomento che forse non ho mai trattato sul mio blog, ma che mi ha sempre affascinata e attratta in qualche modo. Sto parlando di occultismo, spiritismo e magia. Non mi sono messa a fare gli spiritismi, tranquilli, ma ho avuto modo di approfondire le figura di uno degli spiritisti più famosi d’Italia, ovvero Fulvio Rendhell, e questo grazie al documentario/intervista intitolato: FULVIO RENDHELL. Una vita nel mondo degli spiriti e della magia. Il dvd nasce da una idea di Alessio Sanniti, mentre la regia e il montaggio sono di Antonio Zannone.

Un ritratto inedito di uno dei più grandi occultisti del ‘900: Fulvio Rendhell. Dall’infanzia trascorsa in una famiglia di medium fino alla fondazione del circolo spiritico Navona 2000. L’incredibile storia del padre fondatore della magia moderna intesa come vera scienza.

Il documentario è un lungo racconto che il protagonista dell’occulto italiano compie della sua vita a partire dall’infanzia. Subito è apparso chiaro che il piccolo Fulvio non era un bambino come gli altri, ma aveva un dono: quello di poter entrare in contatto con entità immateriali, ovvero gli spiriti. Il destino di questo bambino è in qualche modo già segnato e il suo futuro già tracciato. Non può prescindere da una realtà che fa parte di lui e che può essere uno strumento di bene. È questo forse il messaggio profondo che Fulvio Rendhell ci trasmette: se hai ricevuto un dono, non puoi sprecarlo, ma hai il dovere di metterlo a disposizione degli altri.

Il racconto prosegue con quelli che sono i momenti salienti della vita e della carriera di quest’uomo, che sicuramente è fuori dell’ordinario. Non mancano i racconti di sedute spiritiche, di incontri particolari e veri e propri “esperimenti” di materializzazione di ectoplasmi. Fulvio Rendhell ha fondato negli anni ’70 del Novecento il circolo spiritico “Navona 2000, che ebbe una grande eco internazionale e fu frequentato da persone di spicco sia del mondo culturale che politico. Quella di Rendhell è una storia veramente particolare e se siete scettici, dovere assolutamente vedere questo documentario, ma solo se non siete facilmente impressionabili.

Scheda tecnica:

Titolo: FULVIO RENDHELL. Una vita nel mondo degli Spiriti e della magia.

Durata: 43 min. ca.

Lingua: italiano

Prodotto da: Firefly

Da un’idea di: Alessio Sanniti.

Regia e montaggio: Antonio Zannone

Color Grading: Luca Alessandro

Musica: Alessio Sanniti

Extra: Intervista a Fulvio Rendhell di Silvia Vecchi.

#VITECELEBRI | Giovanni Boccaccio: gli anni della formazione

Il terzo appuntamento di #VITECELEBRI, l’iniziativa promossa in collaborazione con Mary di Babele Letteraria, prevede questo mese un focus su Giovanni Boccaccio. Anche in questo caso l’attenzione viene data ai primi anni della vita di questo autore, con la promessa di ritornarci in seguito per trattare un altro aspetto della sua vita.

La nascita e i primi anni di studio

Giovanni Boccaccio nacque nel 1313, ma non si conosce con precisione la data completa. Incerto è anche il luogo di nascita: Firenze o Certaldo. Suo padre, Boccaccino, era un mercante non sposato, che concepì Giovanni con una donna nubile di cui non possediamo ulteriori notizie. Quando Giovanni nacque, Firenze era una città prospera e potente in ambito mercantile, manifatturiero e finanziario. Suo padre riuscì ad acquisire posizione e, come si può immaginare, vedeva in Giovanni il suo successore. Infatti, Giovanni, dopo le scuole che noi definiamo elementari (condotte presso il Maestro Domenico Mazzuoli da Strada), si iscriverà alla scuola “d’abaco” o “di algoritmo”. Questa scuola era propedeutica alla professione dei futuri mercanti. Qui gli studenti apprendevano nozioni di carattere matematico-scientifico per l’ambito commerciale e imparavano a scrivere le lettere d’affari. Giovanni è indotto così a frequentare questa scuola su volontà del padre, così come più di una volta dichiarerà nei suoi scritti (anche se la teoria della costrizione è tutta da dimostrare), scelta che non gli avrebbe permesso di frequentare gli studi umanistici. Gli anni più importanti della sua formazione si svolsero a Napoli, essendosi trasferito con il padre a partire dal 1327 e restandoci fino al 1340. Comunque sia:

Frequentata contro voglia o seguita con partecipazione, questa scuola di impostazione pratico-scientifica ha lasciato un segno sul suo eclettico umanesimo, tanto è vero che nei primi scritti giovanili l’amore per l’erudizione storico-mitologica, l’aspirazione all’alta eloquenza, la pratica della letteratura e della poesia in volgare convivono con forti interessi scientifici, soprattutto astronomici. Va anche detto, però, che il non aver seguito studi regolari di latino ha pesato negativamente sulla sua padronanza di una lingua appresa da autodidatta.

Com’era Giovanni Boccaccio fisicamente e caratterialmente?

Il volto tondeggiante e paffuto che conosciamo di Boccaccio grazie ai numerosi dipinti che lo ritraggono ci danno l’idea di una persona pacata, sorridente, affabile. Invece, pare, che Boccaccio avesse quasi un caratteraccio. Marco Santagata usa questa espressione per definirlo: introverso, pieno di scrupoli, diffidente e, a quanto pare, molto permaloso. Sicuramente Boccaccio è stato un uomo estremamente curioso e dall’intelligenza viva.

Nel corso della sua vita è stato attratto dai più disparati ambiti del sapere e, come scrittore, ha sperimentato un gran numero di generi letterari; è stato un uomo di corte, mercante, amministratore del Comune; si è adoperato a diffondere la letteratura in volgare ed è stato parte attiva di elitari circoli umanistici. A tanta apertura e disponibilità si accompagna una straordinaria capacità di recepire, assorbire, introiettare: anche grazie a questa disposizione innata è diventato il più polivalente e sperimentare scrittore del suo secolo.

Ritornando al fisico tondeggiante, pare fosse una caratteristica costante nella vita di Boccaccio. Fu, infatti, di massiccia corporatura e tendente all’obesità. Quest’ultima, nell’ultimo decennio della sua vita fu un vero problema, che gli aggravava gli aspetti più spigolosi del carattere. L’obesità, divenuta probabilmente una vera e propria patologia, gli creò problemi vari tra cui la limitazione negli spostamenti e nei movimenti.

Fu piuttosto grasso, ma di alta statura, la faccia rotonda, il naso un po’ schiacciato sopra le narici, le labbra alquanto turgide, ma piacevolmente delineate.

Gli studi di Diritto

Come abbiamo detto, Boccaccio fino a quel momento si era dedicato all’arte mercantile, ma chiaramente non gli era congeniale e ben presto se ne rese conto anche il padre. Il 1334 è una data fondamentale, poiché sancisce l’uscita di Giovanni dal mondo della mercanzia per intraprendere un nuovo percorso. Boccaccino pensò sempre a qualcosa di pratico e remunerativo, quindi indirizza il figlio agli studi di diritto canonico, che Boccaccio seguirà prendendo il titolo di chierico, ma mai di canonico (anche la vicenda ecclesiastica di Boccaccio non è del tutto chiara). Un dato certo è questo passaggio di status e la data del 1334-35 come lo spartiacque per Boccaccio. È in questo periodo, infatti, che ha inizio la vera e propria formazione per Boccaccio, processo che lo trasformerà in letterato e scrittore in lingua volgare.

In sostanza, fra il 1334 e il 1335 comincia a delinearsi un’evoluzione (testimoniata anche dalla Caccia di Diana) caratterizzata dal passaggio da un’impostazione scientifico-erudita a una maggiore attenzione per gli aspetti letterari e retorici.

Curiosità

Per tutta la vita Boccaccio scrisse, ma non solo nel senso di autore di opere letterarie, ma nel senso di “copista” di opere altrui e proprie. Ha ricopiato per tre volte la Divina Commedia e in vecchiaia le sue opere. Rispetto a Petrarca non aveva risorse economiche tali da poter usufruire di servigi di copisti di professione, e quindi faceva da sè. Tuttavia quella di Boccaccio non è solo una esigenza materiale, ma il suo copiare è quasi un’azione compulsiva; è come se avesse il bisogno di scrivere. Scriveva e ricopiava con la stessa intensità con cui leggeva, essendo un lettore onnivoro.

Il libro di riferimento consultato per questo articolo è Boccaccio. Fragilità di un genio di Marco Santagata, edito Mondadori.

SEGNALAZIONE | “Calma e quieta è la notte”, il romanzo di Vittorio de Martino, vince Il Premio Nicola Zingaretti 

Inizio questa giornata dandovi una bellissima notizia. Il romanzo di Vittorio de MartinoCalma e quieta è la notte“, edito da La Lepre Edizioni ha vinto la XII Edizione del Premio Letterario Nicola Zingarelli per la sezione Narrativa edita. Congratulazioni!!!

Ecco i comunicato stampa che annuncia la notizia:

Per la seconda volta in tre anni il Premio Zingarelli per la narrativa edita viene assegnato a un romanzo pubblicato dalla Lepre edizioni!

Per la XII Edizione del prestigioso Premio Letterario Nazionale “Nicola Zingarelli” la giuria assegna il primo premio – nella sezione narrativa edita – a Vittorio de Martino con il romanzo storico “Calma e quieta è la notte” [La Lepre Edizioni | Collana Visioni 2019 | www.lalepreedizioni.com]. Come si legge nella motivazione: “Romanzo storico ambientato nel 1566, colpisce per la complessità della trama, che porta il lettore a muoversi nello spazio e nel tempo assieme ai protagonisti. Lettura assai piacevole.”

Vittorio de Martino, romano classe 1959, studia pianoforte e danza classica. Entra alla Scala, poi si dedica al teatro, diventando assistente alla regia con Eduardo De Filippo e Giancarlo Menotti. Si trasferisce a Parigi, dove si laurea in Storia dell’Arte e lavora come insegnante e guida turistica.

Molto particolare è la nascita di questo primo romanzo come ama spesso raccontare il suo autore: “Ho scritto questo libro venti anni fa e me lo sono dimenticato. Venti anni dopo, il crollo di una libreria me l’ha fatto ritrovare, mi è sembrato buono e La Lepre lo ha pubblicato. Oggi non lo scriverei più. Lo aveva scritto un uomo che, al termine della giovinezza, si era accorto che la sua vita era destinata un giorno a finire. Sono storico dell’arte, ho bisogno del cannocchiale del passato per vedere più nettamente”.

Può una fiaba condurci alla realtà? Questa la domanda della Lepre che ci introduce alla vicenda ambientata in una piccola cittadina ungherese: Szgetvàr. Siamo nel 1566 e una mattina la cittadina si risveglia sotto l’assedio dello sterminato esercito di Solimano il Magnifico. È destino che tutti debbano morire. Un vecchio si ritira nei bagni turchi deserti e, in quel silenzio irreale, aspetta la fine. Lì, apparentemente per caso, incontra un ragazzo che, nell’attesa, gli racconta una storia.

Si dipanano così due trame parallele, fuori l’assedio, con l’orrore della morte che incombe, dentro invece il tempo sembra fermarsi durante il racconto: una storia d’amore tra due ragazzi che conoscono solo il presente. Lei scompare, lui la insegue. Prima a Venezia, poi su un’isola abitata da monaci banditi, dove un misterioso prigioniero prepara una nuova carta del mondo, poi a Istanbul. Lei è rinchiusa proprio nel palazzo di Solimano. Alla fine le due storie, l’assedio e il racconto d’amore, convergono, e il vecchio capisce che non può trattarsi di un caso. L’epilogo, a sorpresa, getta nuova luce sull’intera vicenda. L’inizio e la fine di questa storia sono eventi storici, il resto appartiene al regno del possibile.

RECENSIONE | Isole ribelli, il romanzo di Mirco Fagioli che parla di ambiente

Noi siamo diversi, ci conosciamo tutti, noi camminiamo piano, ci sediamo e parliamo guardandoci negli occhi. Noi siamo ciò che loro non hanno il coraggio di essere.

Questa frase, tratta dal romanzo di Mirco Fagioli, Isole Ribelli (Bookabook), mi ha colpita molto perché rimanda ad un quotidiano che forse non esiste più. Il libro di Mirco Fagioli, infatti, parla di rispetto per l’ambiente, per la natura, per la vita in generale, parla di benessere del pianeta contro le speculazioni di governi e multinazionali.

Il romanzo è ambientato nella Val Grande, un vero e proprio paradiso terrestre situato al confine con le Alpi Svizzere. La Val Grande è abitata da poche persone, autoctoni e persone che fuggendo da qualcosa, come il protagonista Tullio, trovano in questo luogo la sua seconda isola. La storia di Tullio è molto complessa e dolorosa. Nella sua vita ha subito l’abbandono della madre, l’adozione e le brutte compagnie. Tullio si trasforma in un delinquente e la sua condotta lo porterà alla galera. Nel suo percorso c’è anche una donna, fondamentale nell’intera vicenda, che diventerà sua moglie. Verso la moglie Tullio svilupperà una vera e propria ossessione, che rappresenterà per lui la condanna definitiva. In carcere, però, compie un percorso psicologico che gli permetterà di riannodare i lacci della sua vita e lo porterà alla decisione di isolarsi in un luogo ameno: la Val Grande.

Tutti i media facevano a gara a ricordare che la Val Grande era la zona disabitata più vasta d’Italia, qualcuno addirittura azzardava dandole il primato continentale. (…) Questa valle è un pezzo di creato, qui si sente la vicinanza con Dio, si sente nel silenzio, nelle stelle che brillano nella buia notte, nelle aquile che sfrecciano lontane.

La vicenda si fa molto interessante quando la valle viene individuata per la costruzione di una nuova autostrada con l’inevitabile sconvolgimento di tutti gli assetti naturali e faunistici.

L’autostrada dovrebbe collegare la Genova-Alessandria-Gravellona Toce con il traforo del San Gottardo in Svizzera, precisamente ad Airolo. (…) La notizia assume una certa rilevanza perchè il tracciato, completamente montano, dovrebbe attraversare anche il Parco Nazionale della Val Grande, e immagino che anche a voi cari ascoltatori il pensiero sia corso a ciò che è avvenuto in Val di Susa.

Tullio non accetta l’idea che la valle venga deturpata e decide, aiutato dai cittadini del posto, di dar vita ad una serie di manifestazioni per attirare l’attenzione sulla questione. Ha ottenuto, in via del tutto confidenziale, tutta la documentazione relativa, e sa di dover ottenere anche il supporto mediatico e sceglie Radio Popolare, una emittente radiofonica indipendente che nel milanese ha un notevole seguito di ascolti. La scelta di Radio Popolare non è del tutto casuale, perché lì lavora Michele , con il quale Tullio ha un legame particolare, che non vi svelo per non rovinarvi la lettura.

La vicenda che Mirco Fagioli racconta procede tra manifestazioni, spionaggio, indagine giudiziaria e, ovviamente, storie personali. Il romanzo è veramente appassionante non solo per la tematica trattata, ma anche perché l’intreccio e lo stile dell’autore coinvolgono il lettore, che lo leggerà in brevissimo tempo. Quello che colpisce è anche il percorso umano che i protagonisti compiono in questo romanzo. Non si parla solo di Tullio, ma di tutti i personaggi che incontriamo, i quali coinvolti in questa vicenda, troveranno risposte alle proprie domande.

In conclusione, Isole ribelli è proprio un bel romanzo, che consiglio non solo agli amanti dell’ambiente e delle lotte ambientaliste, ma anche a chi ama i romanzi di crescita personale.

RECENSIONE | La magia di una storia dimenticata, il romanzo di Simona Rossi

La magia di una storia dimenticata è il romanzo d’esordio di Simona Rossi, edito da Società Editrice “Il Ponte Vecchio”.

Ho una storia da raccontare, una storia rimasta chiusa nel cassetto di un tavolo per circa centocinquant’anni. Un giorno per un caso fortuito, il doppio fondo di questo cassetto è stato aperto e ne è uscito un pacco con un centinaio di lettere.

Queste sono le prime parole che si leggono nel prologo al romanzo e sicuramente accendono la curiosità anche del lettore più distratto. È una storia, quella raccontata da Simona Rossi, tra verità e fantasia, tra storia familiare e storia di una nazione.

In questa favola c’è una principessa, una Cenerentola moderna che al posto della scarpetta di cristallo indossa le ballerine comprate al mercato; incredibilmente, sono le sorellastre cattive a calzare la scarpa di cristallo. La matrigna è l’incubo della fanciulla, è il passato che non smette di tormentarla, di notte, svegliandola di soprassalto.

La voce narrante di questa storia coincide con quella dell’autrice, che ritrova in cantina un vecchio tavolo e in quel tavolo farà una scoperta sorprendente.

In cantina vi era un vecchio tavolo, solo, al centro di una buia e fredda stanza. Era rimasto lì, dimenticato da tutti, come in attesa di qualcuno che se ne prendesse cura. Il tavolo che mio nonno aveva costruito e sistemato in quella che un tempo era diventata la cucina di mia nonna, poi di mia mamma, poi la mia. La cucina della mia infanzia, dove sono nata e cresciuta, dove la nonna mi insegnava a fare la pasta.

Il ritrovamento che viene fatto, alimenta la curiosità della scrittrice che inizia a desiderare di saperne di più e soprattutto a capire il nesso che esiste tra quelle lettere, i loro autori e la sua amata nonna, “che forse in tutta questa storia è il filo conduttore”.

Al momento, ho una sola certezza: sono stata la prima a fidarmi delle lettere. Le ho trovate, le ho lette, ci ho creduto e la mia vita è di colpo cambiata. Un tuffo nell’oceano di un passato risvegliato attraverso ricordi che giacevano nell’abisso e che, come un tesoro, sono riemersi, diventando la ricchezza del presente.

Inizia, così, per Simona Rossi una vera e propria indagine archivistica per risalire all’identità dei protagonisti, Alberto e Amalia in primis, a cui si aggiunge la ricostruzione di legami e affetti, che si incrociano, inevitabilmente, con i fatti storici. Chi sono i protagonisti di questa storia? Alberto è un giovane che proviene da una famiglia dell’entroterra calabrese, ma che ha ben chiaro il suo futuro: vuole studiare Giurisprudenza a Bologna. La notizia non entusiasma la famiglia e, in particolar modo, il padre, che in un primo momento gli pone il veto, ma poi, vinto dalla determinazione del figlio, lo lascerà partire.

Padre, ho deciso di andare, ho ricevuto la comunicazione di ammissione alla facoltà di Giurisprudenza, partirò per Bologna. (…) Voglio diventare avvocato, voglio dare un significato alla mia vita, qui non c’è futuro. Se rimango e se voglio mangiare, rischio solo di diventare un brigante come tanti, come il figlio del vostro amico Giovanni.

Ottenuto il consenso della famiglia, Alberto Ghini, appena diciassettenne, parte per Bologna e si stabilisce presso la tenuta di Amalia Tomba, che in cambio della manodopera del ragazzo offre vitto e alloggio. La padrona di casa è una donna buona, amata da tutti e rimasta prematuramente vedova, si è chiusa in un lutto strettissimo che le vieta di vivere ogni gioia. Amalia si sente responsabile della morte del marito, avvenuta secondo lei per un suo capriccio. L’arrivo di Alberto smuoverà qualcosa nella donna, che vedrà nel giovane il figlio mai avuto. La fitta corrispondenza tra i due, che si sviluppa negli anni, serve all’autrice e al lettore per ricostruire la storia di questi straordinari protagonisti, ma anche uno spaccato di storia politica e sociale dell’Italia della seconda metà dell’’800.

Non posso svelarvi molto della trama, ma sono sicura che troverete avvincente la narrazione e l’”indagine” che viene svolta nel libro, di cui il lettore è in qualche modo parte integrante. Una storia commovente e coinvolgente, ricca di ideali, sentimenti e speranza, che ci insegna a credere nei sogni.

Sapete in cosa credo? Nelle favole, per poter visitare mondi lontani, per imparare sempre qualcosa di nuovo sulla vita, per ridere e divertirsi. E soprattutto per far sì che i sogni si tramandino di generazione in generazione, diventando immortali.

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SEGNALAZIONE | Il fantasma e la campana di Tiziana Riccio

La segnalazione di oggi, in attesa di leggere il libro, riguarda l’opera di Tiziana Riccio Il fantasma e la campana.

 

Sinossi:

Una bambina che non ha più ricordi fa uno straordinario incontro che ne segnerà il cammino: un fantasma errante che si nasconde in una foresta oscura e dimenticata. Entrambi saranno i protagonisti di una misteriosa avventura che vedrà legati per sempre i loro destini a un oscuro amuleto. Quale segreto custodirà l’antico talismano? Uno straordinario viaggio alla scoperta di un regno perduto…Tiziana Riccio nasce nel 1981 a Roma.Si diploma in Assistente all’ Infanzia.Nel mondo dei Piccoli muove i primi passi come illustratrice amatoriale. Educatrice in un asilo nido privato, diventa poi dirigente di una struttura.Ha una grande passione per i viaggi, i quadri, la politica, lettura e la musica classica.Accresce e approfondisce fin dall’adolescenza l’ ispirazione per la scrittura e crea fiabe per bambini e illustrazioni delle stesse.Attualmente è una mamma felice. Coltiva l’amore per la scrittura sull’ispirazione di una grandissima illustratrice e scrittrice per bambini del 1800: Beatrix Potter.

L’Autrice:

Tiziana Riccio, nasce a Roma nel 1981. Si diploma in assistenza all’infanzia, Nel mondo dei piccoli, muove i primi passi come autrice di storie ed illustratrice amatoriale. Per un anno è stata educatrice di asilo nido. Ha una grande passione per le fiabe, i viaggi, dai quali trae molta inspirazione, la lettura, i quadri e le illustrazioni dei grandi maestri del nostro tempo. Scrive ed illustra personalmente le sue storie.
Attualmente è una mamma felice e coltiva l’amore per la scrittura, sull’inspirazione di una grande autrice ed illustratrice per bambini del 1800, Beatrix Potter.

 

 

RECENSIONE | Anja, segretaria e moglie di Dostoevskij, nel romanzo di Giuseppe Manfridi

Anja. La segretaria di Dostoevskij è un romanzo di Giuseppe Manfridi, edito da La Lepre Edizioni, in cui è narrata una parte della vita dello scrittore russo. L’autore ha concentrato la sua attenzione ad un anno in particolare, il 1866, e ad un arco temporale di un mese circa. Dostoevskij non ha ancora compiuto cinquant’anni, ma è affaticato nel corpo e nello spirito. È ammalato da tempo e afflitto dai debiti causati dal fallimento di una attività editoriale intrapresa con il fratello defunto, Mikhail.

A fatica, ma lo riconoscerebbe, anche se la mole dell’uomo si è fatta negli anni notevolmente massiccia e afflitta da una lieve gibbosità. L’aspetto è senile, malgrado i cinquant’anni non ancora compiuti. La capigliatura, già a suo tempo in crisi, è ancor più malridotta.

Per far fronte al debito di 3000 rubli, una somma enorme per l’epoca, Dostoevskij è costretto dal suo editore a firmare un contratto capestro, che lo obbliga a consegnare in brevissimo tempo un romanzo, pena la perdita dei diritti su tutte le opere passate e future, con la conseguente e inevitabile perdita di status di scrittore. Il suo editore, all’epoca il maggiore, è Stellovskij, che nel romanzo ci è presentato così:

Vista da vicino e non di sotto, di dietro una finestra, la testa calva dell’editore, col suo emisfero circolare che pare fatto col compasso senza la minima impurità, è decisamente bella. La cute, ben lustra, ha la qualità di un’epidermide giovane. Nel complesso, il fascino di una simile calvizie dà valore a tutta la testa, che il vetro offuscato faceva invece immaginare sgradevole, ma quasi per principio, solo per il fatto di essere calva e basta. Altrettanto bello è il viso: stretto e lungo, magro ma sano. Sottili e magre le labbra, sottili e lunghe le sopracciglia, larghi e verdi gli occhi. La fronte è rilassata. Nessuna ruga. Sulle guance sfinate, le fedine erompono a semiluna in due folti e soffici grovigli di riccioli castani e il labbro superiore adombra un accenno di baffetti in crescita. L’uomo, dal portamento sinuoso e dai gesti armonici, veste di scuro, con un bel panciotto di velluto trapunto da una fitta serie di piccole pietre preziose a bottoncino, ciascuna provvista di una sua scintilla.

Questa descrizione rende bene la distanza e la differenza tra l’editore e lo scrittore anche in termini di condizioni sociali ed economiche. L’editore è un imprenditore e si dimostra un uomo senza scrupoli. Sa che Dostoevskij è in difficoltà e cerca di sfruttare a suo vantaggio la situazione. Dal canto suo, lo scrittore non si tira indietro, sa di avere la possibilità di scrivere un libro in brevissimo tempo, l’unica difficoltà consiste nella stesura materiale del testo. Dostoevskij è malato, soffre da tempo di epilessia ed è fiaccato nel profondo.

Anna Grigor’evna Snitkina – Fonte Wikipedia

Gli vengono in soccorso gli amici, che gli suggeriscono di rivolgersi alla scuola di stenografia, una nuova e promettente attività, che si va man mano affermando. Lo scrittore si rivolge all’Istituto Ol’chin e il direttore individua in Anna Grigor’evna Snitkina, la migliore tra le allieve. Per Anja, questo uno dei suoi diminutivi, è una emozione grandissima. Conosce le opere di Dostoevskij, le ha lette e se ne è appassionata grazie anche al padre, morto da poco, che le ha trasmesso la passione per la letteratura e gli scrittori contemporanei. Anja è presa da un turbinio di emozioni; è giovanissima e la sua giovinezza include timori, angosce, ma dal canto suo possiede determinazione e carattere, che le permetterà di guadagnarsi la fiducia dello scrittore. Non è facile delineare bene i contorni di questi personaggi. Essi sono complessi, pieni di sfaccettature, che emergono dall’incontro gli uni con gli altri.

La prima parte del romanzo è, infatti, popolata da diversi protagonisti che fanno parte sia del mondo di Dostoevskij che di Anja. Ognuno rappresenta un tassello importante nella vicenda, ma quello che più di tutto ha colpito la mia attenzione sono gli ambienti. Manfridi è molto bravo a restituirci le atmosfere e a descriverci i luoghi, dando al lettore la possibilità di vivere realmente quel momento. Questo, ad essere sincera, ritengo si estenda anche ad altre cose: gli oggetti, gli indumenti e in maniera più ampia al pensiero e ai sentimenti dei protagonisti, garantendo la possibilità al lettore anche di stabilire un collegamento empatico ora con Anja ora con Dostoevskij. C’è nel romanzo un’altra protagonista che è presente, ma non parla: Pietroburgo, la città che sta sorgendo.

Una città in cui il domani è a disposizione dappertutto, a portata di mano di chiunque. Non c’è luogo che non la identifichi. La sua natura è esplicita, e pure dove non appare la si annusa, la si coglie a colpo d’occhio. La si patisce, a volte, come negli spurghi delle grondaie che annaffiano a gettiti implacabili i marciapiedi inzuppando gonne, ghette, scarpine di seta e stivali d’ordinanza.

(…)

Pietroburgo ha inventato il traffico moderno, un traffico che nulla ha a che fare coi sovraffollamenti infetti di Londra e di Parigi è il traffico di chi va costantemente da qualche parte, di chi ha fretta, di chi si muove di continuo, senza troppe distinzioni di censo.

(…)

«C’erano mille cose da fare nella mia città nuova di zecca». Nuova di zecca: anche noi l’abbiamo definita così, Pietroburgo. Limpida. Pulita. Intonsa. Un motore alla sua prima accensione, quando ancora la fuliggine, le polveri tossiche e i vapori incandescenti non lo hanno insozzato come è normale che avvenga.

Il romanzo ovviamente parla anche dell’unione di Dostoevskij e di Anja, che diventerà sua moglie e sarà lei a curare poi la stesura delle opere dello scrittore anche dopo la sua morte. In questo caso potremmo dire “galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse”…o lo dettò.

PODCAST | Puntata #12: Una sintesi su Primo Levi e la sua opera

Il podcast di oggi risponde ad una richiesta di un insegnante, che mi ha chiesto una scheda sintetica su Primo Levi e sulle sue opere maggiori. Un altro mio piccolo contributo alla didattica online.
Per info e richieste scrivetemi all’indirizzo email info@lapennanelcassetto.it
Vi ricordo che potete riascoltare i miei podcast su Spreaker e su YouTube e potete visitare i miei profili social Instagram, Facebook e Twitter.
Buon ascolto!

Dantedì | La vita nuova, una lettura breve dell’opera di Dante Alighieri

In occasione del Dantedì, questa giornata interamente dedicata al nostro Sommo Poeta, riprendo, insieme a Babele Letteraria, il primo appuntamento di Vite Celebri, che era proprio dedicato a Dante Alighieri (clicca qui per leggere l’articolo)  Questa volta, però, vi parlo di una delle sue opere: La vita nuova.

La vita nuova rappresenta, nel percorso poetico di Dante, un momento di maturazione e di svolta; è come se quest’opera mettesse il punto al termine di un itinerario poetico, quello cortese, vincolato a canoni ben precisi e talmente forti da influenzare la produzione letteraria sia in Provenza che in Italia.

La vita nuova fu composta tra la fine del 1292 e l’inizio del 1293 (per alcuni 1294) e racchiude una passione d’amore ideale, quella di Dante per Beatrice. Scrive a tal proposito Natalino Sapegno:

(La vita nuova) rappresenta il tentativo di sistemazione di una materia autobiografica trasferita su un piano tipico e simbolico, secondo uno schema che rimarrà fondamentale nella poesia di Dante fino alla Commedia.

L’opera ha una struttura particolare; essendo composta da componimenti in versi e da parti in prosa, viene definito “prosimetro”, un genere medievale appunto composto da versi e prosa. Nel caso particolare La vita nuova è composta di trentuno componimenti poetici, tra sonetti, ballare, stanze di canzone e ballate, collegati tra loro da un testo narrativo per un totale di quarantadue capitoli. Il titolo deriva dal brano di esordio dell’opera in cui Dante inizia la narrazione del suo amore per Beatrice, raccontando del primo incontro avvenuto all’età di nove anni. Dopo altri nove anni l’incontro si ripete e questa volta Beatrice  rivolge un saluto a Dante, inducendolo a comporre il sonetto A ciascun’alma presa e gentil core.

Non mancano, ovviamente, gli elementi tipici della poetica cortese, come la donna schermo, che serve a Dante per celare la sua “passione” per Beatrice o il turbamento per la privazione del suo saluto, il quale genera salvezza, e ancora il tòpos del “gabbo” tipico anche questo della letteratura cortese. Proprio l’episodio del gabbo serve a Dante a svoltare su una strada nuova, soprattutto per quanto riguarda i temi e il modo di poetare, volto solo alla lode di Beatrice.

La vita nuova di Dante è per me un’opera eccezionale, che tutti dovrebbero leggere anche solo per l’esperienza che racconta. Al di là dei modelli letterari e gli autori a cui Dante si è ispirato (tra cui Boezio, Cicerone, Brunetto Latini), quest’opera ci mostra il genio di un uomo il cui poetare se pur lontano nel tempo, risulta fresco e attuale.