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Le città invisibili di Italo Calvino

Le città invisibili è una delle opere scritte da Italo Calvino, eminente scrittore italiano scomparso nel 1985.

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Con quest’opera Calvino mostra di aver subito l’influenza della semiotica e dello strutturalismo che, negli anni in cui il nostro scrittore opera, diventano centrali nel discorso letterario contemporaneo e italiano. La prima edizione de Le Città invisibili fu pubblicata nel novembre 1972 da Einaudi. Al momento dell’uscita del libro, Calvino ne parlò in diversi articoli e interviste e così conosciamo la genesi di questa opera. Nella prefazione Calvino scrive:

Nelle Città invisibili non si trovano città riconoscibili. Sono tutte inventate; le ho chiamate ognuna con un nome di donna; il libro è fatto di brevi capitoli, ognuno dei quali dovrebbe offrire uno spunto di riflessione che vale per ogni città o per la città in generale. Il libro è nato un pezzetto per volta, a intervalli anche lunghi, come poesie che mettevo sulla carta, seguendo le più varie ispirazioni.

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Illustrazione de Le città invisibili (di Anastasia – 2014)

La narrazione dell’opera avviene attraverso il dialogo tra Marco Polo e l’imperatore dei Tartari, Kublai Khan, il quale chiede all’esploratore di descrivergli le città del suo impero. Ed è così che prende forma un racconto in cui sono descritte città reali o immaginarie che accendono la curiosità dell’imperatore. Il libro è costruito da nove capitoli e le 55 città descritte sono poi ulteriormente raggruppate in 11 categorie, ognuna con un proprio titolo. Così abbiamo “Le città e la memorie”, “Le città e gli scambi”, “Le città e il desiderio”… Ogni capitolo è costituito da cinque città escluso l’ultimo che ne contiene dieci. Il libro si presenta quasi frammentato nella struttura, anche se ad un occhio attento non sfugge una costruzione sapiente e ragionata del testo. Esso nasce da un lavoro di collage di appunti che lo stesso Calvino conservava:

Tengo tante cartelle dove metto le pagine che mi capita di scrivere, secondo le idee che mi girano per la testa, oppure soltanto appunti di cose che vorrei scrivere. Ho una cartella per gli oggetti, una cartella per gli animali, una per le persone, una cartella per i personaggi storici e un’altra per gli eroi della mitologia […]. Quando una cartella comincia a riempirsi di fogli, comincio a pensare al libro che ne posso tirar fuori. Così mi sono portato dietro questo libro delle città negli ultimi anni, scrivendo saltuariamente, un pezzetto per volta, passando attraverso fasi diverse. Per qualche tempo mi veniva da immaginare solo città tristi e per qualche tempo solo città contente: c’è stato un periodo in cui paragonavo le città al cielo stellato, e in un altro periodo invece mi veniva sempre da parlare della spazzatura che dilaga fuori dalle città ogni giorno. Era diventato un po’ come un diario che seguiva i miei umori e le mie riflessioni; tutto finiva per trasformarsi in immagini di città: i libri che leggevo, le esposizioni d’arte che visitavo, le discussioni con gli amici.

Nonostante la struttura dell’opera sia ben chiara e i protagonisti ben identificabili, quest’opera di Calvino la si può immaginare come un libro che mai si conclude, con un protagonista che cambia in continuazione. Questo proprio perché il lettore può essere protagonista del libro, costruendolo a proprio piacere, può divertirsi a seguire il proprio filo logico e non la sequenza narrativa proposta dall’autore. Questo tipo di lettura non impedisce a chi legge di scoprire le ragioni profonde che sono alla base del racconto di Marco Polo: comprendere cosa ha spinto l’uomo a vivere in città.

Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni, d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi.

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Illustrazione de Le città magiche (di Pietro Spica)

Questo libro è la testimonianza scritta di una complessità, della complessità della vita, che in maniera esponenziale è espressa dalle città. Queste città come la vita stessa non sono solo dati concreti, ma sono anche sogno e divenire. Non può esistere una vita fissa, essa sarà inevitabilmente divenire, aspirazione, sogno, desiderio e per questo motivo che Calvino, con questo libro, vuole dare una via d’uscita al lettore e al narratore:
Un libro (io credo) è qualcosa con un principio e una fine (anche se non è un romanzo in senso stretto), è uno spazio in cui il lettore deve entrare, girare, magari perdersi, ma ad un certo punto trovare un’uscita, o magari parecchie uscite, la possibilità d’aprirsi una strada per venirne fuori.

A questo punto ci chiediamo, ma come si chiude questo libro? L’ultima frase che Calvino scrive è: “Cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio“. Molti hanno scritto di questa chiusura, come di un finale criptico, ma lo stesso Calvino ci dice che questa non è la conclusione del libro, perché in virtù di quanto detto, di chiusure come questa se ne leggono diverse in un testo che ha la forma di un poliedro dai molteplici spigoli. Non vi resta che leggere Le città invisibili e trovare il vostro finale!

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Italo Calvino (Santiago de las Vegas, Cuba 1923 –  Siena 1985)