Parole urlate, promesse vane, realtà caotiche… il silenzio è quello che vorrei. Non assenza di suono, ma spazio per il pensiero, per quello che eravamo, per quello che saremo. Un sentimento: amarezza per il tempo perduto.
Bambini festanti riempivano le strade con il loro vociare allegro. Lo ricordo bene, se chiudo gli occhi li rivedo sotto lo sguardo rassicurante degli anziani appagati da una vita di fatiche: c’è chi diventa adulto saltando la corda, i più grandi si rincorrono, si nascondono e giocano a campana; le più piccole inventano storie e rendono vive le loro bambole di pezza.
La strada era la nostra casa, un luogo sicuro e incoraggiante e quel gioco ci rendeva migliori; quel gioco inventato, quel gioco costruito con il poco che avevamo era la nostra identità, era il desiderio di vivere una vita autentica. Cosa ci è rimasto di tutto questo?
Ora scendo in strada e c’è solo il rumore di auto, suoni che provengono da cellulari che squillano… volti chini su schermi che promettono chissà cosa, schiavi del nulla. Non ci sono più i bambini! Allora li cerco (i bambini) e li trovo nelle loro case, fermi davanti le televisioni, la testa appoggiata ad un braccio o immersi nei videogiochi, proiettati in una realtà finta, subìta, che non lascia alcuna possibilità di scelta. Lo sguardo è triste, ha perso la profondità di chi costruisce con volontà la propria vita, di chi combatte le piccole battaglie per trovare il proprio posto nel mondo.
Oggi dove sono i bambini con la spada di legno? Dove sono le bambine con la bambola di pezza? Quali sono le vie piene di gente?
Per favore ditemelo, ditelo ai vostri figli! Non lasciamo che tutto sia perduto… o, forse, già lo è.
I miei fratelli ci giocavamo con le spade di legno, ma ti parlo degli anni ’60..
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Allora sapranno cosa significa veramente giocare: viaggiare con l’immaginazione e imparare ad affrontare la vita.
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